Parole scritte appese agli scaffali nell’arioso bastimento della conoscenza messicana

Quando si considera la grandiosità di un ambiente urbano, i suoi meriti esteriori e l’accoglienza delle istituzioni nei confronti della gente che vi abita all’interno, pochi maestosi palazzi possono acquisire un’importanza maggiormente significativa della biblioteca pubblica. Un luogo per l’accumulo di conoscenza che è inerentemente aperto e visitabile da chiunque, previo il rispetto di una ragionevole serie di regole e la capacità di attribuire meriti alle pagine che in essa vengono custodite. Questa l’idea, il legittimo principio. Eppure quanti, nelle generazioni successive all’anno 2000, possono dire di aver messo piede all’interno di tali edifici? In un’epoca in cui tutto è digitalizzato, inclusa la parola scritta, ed ogni forma di comunicazione, inclusa la parola scritta, può venire veicolata nel possente fiume delle informazioni, non può che essere portato in secondo piano il valore di simili mura tende ad essere spostato in un secondo, terzo e quarto piano nel piano regolatore di molti centri abitati contemporanei. Ma non la colossale CDMX, città capitale del Messico indiviso, dove a partire dall’inizio degli anni 2000 iniziò a circolare una parola composita dal ricco bagaglio di sottintesi, la… Megabiblioteca. Un progetto per il quale ingenti risorse sarebbero state stanziate, molti esperti chiamati dall’estero, ed il presidente in carica Vicente Fox avrebbe acquisito sempiterna memoria nel cuore e la memoria del suo popolo capace di apprezzare grandi opere costruite nella scala di un antico monumento. Questa, almeno, era l’idea. E non ci sono dubbi che a distanza di quasi vent’anni dalla sua inaugurazione, avvenuta finalmente nel 2006, l’edificio dedicato al filosofo e letterato della Rivoluzione, José Vasconcelos, costituisca una delle attrazioni maggiormente distintive dei dintorni ed un letterale polo turistico per molti, in aggiunta alla propria funzione dichiarata che assolve con stolida efficienza, nonostante l’implicito disinteresse coévo. Un traguardo per cui merita riconoscenza l’architetto messicano e celebre urbanista Alberto Kalach, campione dello stile contemporaneo che in questo suo capolavoro ha concentrato molti dei temi caratteristici della sua produzione: sostenibilità, integrazione con la natura, adattamento dei canoni al contesto specifico e quella che potremmo definire come l’ineffabile capacità di catturare un’estetica eccezionalmente futuribile. Nel presentarsi, una volta che si scelga di esplorare lo stretto edificio di 38.000 metri quadri il cui esterno è stato paragonato ad un parcheggio, piuttosto che un poco ispirato centro commerciale, come un incredibile reame sospeso tra terra e cielo, in cui la luce inonda una struttura metallica fatta di lucide travi e camminamenti semi-trasparenti color verde acqua a sbalzo. Ove chi cercasse un libro in particolare è incoraggiato a camminare, dominando le vertigini, fino all’altezza corrispondente ad un edificio di cinque piani. Un’esperienza precaria della quale, senz’altro, taluni apprezzerebbero poter fare a meno. Eppure…

La nuova biblioteca Vasconcelos di Città del Messico è impressionante perché parla direttamente alla mente speculativa delle persone, offrendo scorci di un luogo fantastico che non sfigurerebbe in molti dei romanzi che si trovano all’interno delle sue traslucide “mura”. I cui vetri protettivi, s’intenda, risultano essere composti di una miscela in grado di diffondere la luce senza concentrarla, abbassando la temperatura e prevenendo nel contempo alcun tipo di danneggiamento alle copertine dei libri. Un’attenzione ai dettagli che Kalach dimostra in ogni aspetto del vasto insieme, incluso il sofisticato sistema di ricircolo dell’aria che previene l’utilizzo di dispendiosa ed inquinante aria condizionata. Mentre un sistema di frangi-sole inclinati, simili a quelli usati dai grandi Louis Kahn e le Corbusier, permettono di moderare l’ingresso dei raggi solari nelle ore prossime al mezzogiorno. Lo stesso ampio atrio centrale, con il pavimento ornato di disegni volutamente asimmetrici, è dunque l’effettiva risultanza di una precisa coreografia, il cui scopo dichiarato è quello di evocare un’imponente arca o nave portatrice di un prezioso tesoro, nelle acque poco acculturate dell’epoca in cui stiamo vivendo. Con il motivo per così dire acquatico ulteriormente evocato dall’opera scultorea Matrix Móvil di Gabriel Orozco appesa al soffitto, uno scheletro di balena decorato da linee geometriche tracciate grazie a meccanismi a controllo numerico computerizzati. Ma è percorrendo la spaziosa scala centrale, ed inoltrandosi nei plurimi piani sopraelevati (tecnicamente, dei mezzanini) che il visitatore potrà riconoscere l’adeguatezza delle integrazioni strutturali a ciascun modulo della megabiblioteca, completa di sale informatiche, spazi d’ascolto per la musica, ambienti dedicati ai bambini e tecnologie per agevolare la lettura in Braille a vantaggio dei non-vedenti. Ulteriore concessione alla completezza dell’offerta come luogo di ritrovo pubblico quello che avrebbe dovuto essere l’orto botanico esterno all’edificio, in realtà trasformatosi in mero giardino a seguito dei problemi amministrativi e la mancanza di fondi pubblici sperimentata negli anni della costruzione dell’edificio. Al tempo stesso uno dei maggiori, e dei più controversi, mai prodotti da un governo a capo della nazione messicana. Definita non senza ragione come una sorta di costosissimo spot mirato alla rielezione del presidente Fox, la megabiblioteca incontrò dunque i primi problemi entro l’anno 2007, meno di un singolo ciclo stagionale dopo l’inaugurazione, imposta entro la fine del suo governo. Anche a costo di prendere molte scorciatoie nell’implementazione dei materiali ed il rispetto delle norme di sicurezza ingegneristiche, che avrebbe portato la autorità responsabili ad imporre una chiusura per sanare 36 punti critici, tra cui l’impiego inadeguato di lastre di marmo per un costo superiore ai 15 milioni di pesos, pari a più di 700.000 euro. Mentre ulteriori 32 milioni sarebbero stati spesi in seguito, durante l’amministrazione del nuovo presidente Felipe Calderón, nel tentativo di sanare ulteriormente la situazione.

Ed alla fine dei conti, ne è davvero valsa la pena? Saranno, come sempre avviene, i posteri a giudicare. In un’interessante intervista rilasciata al The Architectural Review, il direttore nel 2019 Daniel Goldin della biblioteca Vasconcelos raccontava il particolare rapporto istituito dai giovani con il suo elevato laboratorio della conoscenza. Trasformato in luogo di ritrovo, letterale passerella per Instagram, persino luogo d’osservazione improvvisato per i ballerini di breakdance che si esibiscono spontaneamente nella promenade antistante, in corrispondenza dell’importante stazione Buenavista. Trasformando l’arca metallica in molto più, ed al tempo stesso molto meno di quanto era stato originariamente prospettato. “Le comuni biblioteche sono silenziose, prive di una personalità e per questo simili a dei cimiteri” Narrava Goldin, parafrasando: “Eppure, sarebbe stato bello se avessimo potuto veramente riavvicinare i giovani alla cultura.”
Ammesso sia effettivamente possibile tornare ad una percepita epoca dell’Oro che non è integralmente transitata altrove. Bensì mutando ed adattandosi alla tecnologia vigente, ha prodotto molte emanazioni. Alcune utili, altre meno. Ma i libri di un’intera biblioteca ormai entrano in una mezza dozzina di memory card, entro i confini di un singolo scaffale. Immaginate voi quanto ciò possa essere conduttivo all’utilizzo presunto di cotante mura!

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