Smentita l’ipotesi del mare di magma sotto il suolo della luna incandescente di Giove

Tra i più interessanti misteri del Sistema Solare figura la natura eterogenea delle quattro maggiori lune gioviane, scoperta gradualmente attraverso i secoli a partire dalla loro prima identificazione ad opera di Galileo Galilei. Che li aveva chiamati i satelliti medicei, in onore del proprio mecenate, senza poter ancora entrare nel merito di cosa esattamente fossero, e quale potessero costituire i loro tratti distintivi di riferimento. Generazioni sarebbero trascorse, prima che la rivoluzione astronomica da lui iniziata permettesse di comprendere che Europa era una sfera ricoperta di ghiaccio, Ganimede un vero e proprio pianeta nano con tanto di nucleo ferroso, Callisto il bersaglio martoriato da una pioggia meteoritica incessante ed Io… L’inferno stesso, trasformato in luogo visitabile del nostro piccolo ritaglio di Via Lattea attorno all’astro diurno che dà la vita. Concentrazione d’attività vulcanica senza termini di paragone, con centinaia di eruzioni continuative in ogni singolo minuto della sua roboante sussistenza, come esemplificato dal primo pennacchio rilevato nel 1979 dall’osservatrice astronomica Linda Morabito, del NASA Jet Propulsion Laboratory. La stessa istituzione oggi incaricata di gestire la missione decennale della sonda Juno, che da luglio del 2016 si trova attorno al gigante gassoso che costituisce il più massiccio pianeta che disegna un’orbita nel vicinato. Attrezzata con nove sofisticati strumenti scientifici già responsabili di numerose scoperte di rilievo, sui corpi bersaglio di quel lungo viaggio, tra cui sensori per lo spettro dell’infrarosso e delle microonde. Immaginate dunque la sorpresa del team di scienziati quando l’ultima in ordine di tempo, e forse maggiormente significativa scoperta di quest’anno sarebbe stata supportata dal più “semplice” degli attrezzi a bordo, nient’altro che la telecamera sensibile alla luce visibile, capace d’inviare nuove immagini fotografiche della luna ricoperta di fiamme, furia e laghi di fuoco. Osservando le quali, in base allo studio pubblicato sulla rivista Nature soltanto lo scorso 12 dicembre da R. S. Park, R. A. Jacobson e colleghi si è giunti alla realizzazione che un’assunto perpetrato ormai da lungo tempo andasse dopo tutto confutato. Perché se veramente Io avesse posseduto uno strato magmatico nel proprio sottosuolo, la sua forma sferoidale ne sarebbe risultata ancor più irregolare. In funzione di quelle stesse forze gravitazionali impressionanti, generate dal pianeta paterno e che ogni secondo scagliano nello spazio esterno una quantità stimata di una tonnellata di particelle ionizzate a partire da quella superficie mutevolmente discontinua. Un ulteriore chiarimento, niente meno che fondamentale, per il funzionamento effettivo di un luogo tanto terribile ed inospitale…

La domanda inevitabile di cosa a questo punto alimenti i vulcani di Io necessita dell’immediata applicazione di quell’importante strumento scientifico, il rasoio di Occam che elimina le spiegazioni improbabili, lasciando la realtà. Ciascuna formazione vulcanica del satellite mediceo in questione deve trovarsi in corrispondenza di un singolo e distinto lago magmatico sotterraneo. Un letterale serbatoio, creatosi a partire da una crepa nella materia prima che si trova al di sotto, creatosi per l’effetto delle massicce e già citate energie tidali cui viene soggetto questo corpo astrale durante le sue rotazioni attorno a Giove. Che pur misurando 3.643 Km di diametro, soltanto 169 dei quali in più rispetto alla Luna terrestre, non potrebbe risultare maggiormente diverso dal più familiare pegno roccioso della dea Selene. Costituendo a tal proposito l’unico corpo solido del Sistema Solare ad essere del tutto privo di crateri da impatto, come dimostrato dalle prime immagini inviate dalla sonda Voyager 1 lanciata nel 1977, che ci permisero di caratterizzare i suoi molti avvallamenti con la qualifica di patera, ovvero conche di origine vulcanica che oggi sappiamo essere ricolme di veri e propri laghi di roccia fusa. Denominate con appellativi di varie figure mitologiche, tra cui Loki, Pele, Amaterasu, Thor… Anch’esse oggetto di un’approfondita attenzione durante le orbite sempre più vicine della missione Juno, che avrebbe portato ad una comprensione maggiormente profonda della loro essenza. Questa volta grazie allo strumento, per inciso di produzione italiana, del JIRAM (Jovian Infrared Auroral Mapper) uno spettrometro dell’infrarosso capace di rilevare a distanza il calore. Così da scoprire, anch’esso nel mese di giugno del 2024, l’esistenza di un alone attorno a tali depressioni, indicativi di un processo d’interscambio continuo con il sottosuolo, in una sorta d’incessante lavatrice di fuoco che potrebbe costituire, dal punto di vista quantitativo, l’attività vulcanica principale della luna in questione. Proprio a partire da quei serbatoi tidali, non ancora approfonditi, la cui imprescindibile esistenza è stata resa pubblica sul finire del presente anno solare. Un’eccezionale prova pratica di quanti e quali estremi possano essere raggiunti, da una materia almeno in via teorica percorribile dai piedi umani, se soggetta alla possenza inusitata di un corpo gravitazionale semi-solido, quale è Giove.

Dei 95 corpi che, a diverse distanze, ruotano attorno al gigante marmorizzato, nessuno presenta d’altro canto la stessa convergenza di massa, vicinanza e condizioni specifiche, da poter vantare una così stretta correlazione tra i suoi processi geologici ed il campo gravitazionale che continuamente lo deforma, assottiglia, sottopone a devastanti trasformazioni. Un’influenza almeno in parte ricambiata, come dimostrato già nel 2021 sempre dalla navicella Juno, che mediante lo strumento JEDI di rilevazione delle particelle Gioviane, ha notato l’imprevista conseguenza del continuo intercambio tra l’esosfera polverosa di Io e suo padre: un’accelerazione di elettroni, protoni e ioni fino a tre milioni di chilometri l’ora, sufficiente a farne alcuni tra gli oggetti più veloci noti alle scienze naturali. E generando tempeste di fulmini dalle proporzioni impressionanti nelle striature marmorizzate del mega-pianeta sottostante.
Analogia del rapporto tormentato, che tanto spesso il Padre degli Dei sembrava avere con le molte figlie frutto dei propri leggendari adulteri? Che la legittima consorte, Giunone, era solita osservare attraverso le nubi meditando una soddisfacente, per quanto tardiva rivalsa. Così come la sonda costruita dai terrestri, che porta il suo stesso nome, visita i recessi di quel tormentato vicinato. Sempre nell’incessante speranza, improbabile ma mai del tutto priva di fondamento, di poter trovare un giorno la vita.

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