Incubus è il nome di creature che soggiogano i pensieri vulnerabili, si aggirano nel buio alla ricerca di sinapsi da fagocitare con le proprie bocche simili a proboscidi uncinate notturne. Mostri della fantasia dell’uomo, che risiedono dove la fantasia è reale; in quello spazio tra il sonno e la veglia in cui qualcosa si agita dinnanzi alle nostre pupille. Abbastanza solido, sufficientemente tangibile perché l’idiosincrasia diventi carburante dello spostamento tra i regni. Di un’infinità di universi possibili, tutti egualmente terrificanti. Ed Incubus è anche il soprannome, liberalmente assegnato online, ad una particolare categoria di esseri soggetti a metamorfosi, creature che strisciano verso il tramonto, si librano quando la Luna è alta ed in prossimità dell’alba, prima di cercare con chi riprodursi, suggono la risultanza dell’altrui perdita transitoria di coscienza. Sono di volatili diversi, figli di una discendenza più antica, dinosauri che da tempo hanno raggiunto la grandezza di un chihuahua. Per poi continuare a rimpicciolirsi. Finché sopra un ramo di quella foresta in Sudamerica, non dorme appollaiato il Tamnofilide o antbird dal mento nero, passeriforme lungo una dozzina di centimetri che si ciba abitualmente d’insetti tra cui formiche, ragni e beh… Farfalle. E che non penserebbe mai, durante le ore di veglia, di ritrovarsi a dare nutrimento ai suoi stessi ancestrali nemici. Semplicemente, piangendo! Una scoperta non del tutto sorprendente, pur essendo infusa di un carattere decisamente surrealista, quella fatta dal naturalista Leandro Moraes qualche anno fa nell’Amazzonia, ove scorse con i propri occhi la questione in corso d’opera. Il frangente senza precedenti registrazioni note, di un lepidottero posato sulla testa dell’uccello ormai sopito, che succhiava in mezzo alle palpebre dal pozzo umido del bulbo oculare contenuto all’interno. Gesto alquanto terribile a vedersi… Eppur totalmente privo di conseguenze; se è vero che il pennuto non soltanto evitava di ribellarsi. Bensì mancava, addirittura, di risvegliarsi!
È una tecnica ben collaudata, d’altra parte, quella della erebide del genere Gorgone, qui documentata in una pratica d’insetti vari che già sapevamo coinvolgere mammiferi, rettili e persino persone. Il cui nome sufficientemente descrittivo risulta essere “lacrimofagia”. Mangio tristezza in altri termini, o più semplicemente la conseguenza collaterale dell’azione umettante, che ogni essere dotato di organi per la vista ben conosce come necessariamente continuativa per l’esigenza protettiva dell’organismo. Risultando al tempo stesso, così deliziosamente salmastra, tanto saporita e gustosa…
Tra i principali esperti sui mangiatori di lacrime al mondo figura nel frattempo Hans Bänziger dell’Università Thailandese di Chiang Mai. Che alla guida di un team di ricercatori scoprì per la prima volta una decina d’anni fa il modo in cui certe api prive di pungiglione velenoso appartenenti alla tribù delle Meliponini fossero solite posarsi sopra le pupille di coloro che si arrampicavano sui loro alberi, durante un ricerca mirata all’approfondimento botanico di talune infiorescenze del Sud dell’Asia. Con una tale continuità e precisione, che non ci volle molto per capire come tale pratica fosse del tutto intenzionale, dovuta al desiderio dell’insetto di operare in modo simile a quella falena della giungla equatoriale. Ma con sufficiente spregiudicatezza, da non aspettare neanche che la propria “vittima” cadesse tramortita tra le braccia del proverbiale Morfeo. Da qui l’idea, tipicamente in linea coi processi mentali della mente scientifica, di offrir se stesso e i suoi colleghi come un’esca per le api alla ricerca di un bersaglio, confrontando i dati statistici raccolti precedentemente mediante l’utilizzo di esche di varia natura (carne, zucchero, ovomaltina…) Il che ci avrebbe condotto alla consapevolezza di come tra tutte le varietà d’insetti, esistano varie vie d’accesso all’acquisizione del sale necessario alla sopravvivenza: sudore, sangue, persino semplici pozzanghere fangose in cui risiedano tracce di quella sostanza. Ma uno solo che permetta di acquisirlo assieme a proteine di primaria importanza, quale l’albumina. E ciò è la lacrima di esseri più grandi, preferibilmente, ma non solo, dormienti.
Da qui la configurazione delle parti anatomiche dedicate all’acquisizione di sostentamento in falene come la Gorgone amazzonica, che una volta raggiunta l’epoca riproduttiva è solita trarre il suo sostentamento unicamente dal nettare dei fiori e la polpa dei frutti. Ma usa la lacrimofagia al fine di sequestrare nel proprio organismo sostanze necessarie alla costituzione di uno spermatoforo fornito del cosiddetto dono nuziale, una concentrazione di sale e altre sostanze fornito alla controparte femminile assieme al codice genetico, nel momento in cui dovrà prepararsi a deporre le uova. Così da garantire, ancora una volta, la nascita di una generazione di bruchi voraci, collaudati fagocitatori di tutte le creature che individuano la clorofilla come mistico sinonimo dell’esistenza terrena.
E sono molte le fotografie o testimonianze videografiche reperibili online, di farfalle come questa che tentano di procurarsi il quibus necessario a tal fine, infastidendo soprattutto rettili, come tartarughe o caimani. Particolarmente celebre tra queste. la scena del 2016 in cui il ricercatore dell’Università del Michigan Mark Cowan ha ritratto il sauropside in questione mentre ornato di una letterale corona di ali variopinte, rigorosamente suddivise in base alla specie mentre attendevano pazientemente il proprio turno d’infiltrare le membrane oculari al di sotto dei loro piccoli piedi. Una prassi che d’altronde non sembrava infastidire in alcun modo l’animale bersaglio, piuttosto incline a continuare a scaldarsi sotto la preziosa luce solare. Così come anche riportato dal team di Bänziger, che soltanto dopo un’intera giornata di siffatte partecipazioni ha cominciato a riportare arrossamento e prurito, causa le letterali decine di api posatesi l’una di seguito all’altra nell’interno dei propri organi sensoriali. Benché non tutto sia completamente privo di possibili conseguenze nefaste; giacché gli insetti, visitando gli occhi di questa o quella creatura, potrebbero idealmente diventare ospiti di vari tipi di batteri o altri agenti patogeni di trasmissione delle malattie. Una casistica ampiamente studiata per quanto concerne la congiuntivite bovina e che in almeno un caso documentato, quella del moscerino Liohippelates, si è rivelata in grado di trasmettere un’infezione ai danni degli umani, la temuta framboesia che colpisce i bambini del terzo mondo in America, Sud-Est Asiatico ed Africa Occidentale. Giacché Incubus non è soltanto un nome mitologico del tutto privo di appigli materiali. Bensì la chiara metafora, della maniera in cui la vita sulla Terra non conosce la misericordia dei fattori latenti. Bensì permette a ognuno di trovare spazio per la propria cupa convenienza. Incluso il mondo degli artropodi, dove la necessità è mancanza di virtù. Ed il sonno della ragione, qualche volta, permette di materializzarsi all’imprescindibile ma occulta realtà.