Oh, maestro del poliporo di Transilvania! Degno artigiano del fedora fungino!

Camminando lieve sul tappeto di foglie, udendo augelli che denunciano il passaggio dell’autunno, mentre ombreggiano le foglie i fili di vegetazione sovrapposta, ebbi a chiedermi: non sarebbe forse un ottimo proposito, da ogni punto di vista una gran cosa, se il tragitto dei pensieri intersecasse il mutamento di ogni cosa circostante? Se sinapsi cogitanti nel profondo di tale calotta, più che fredda nella tersa aria delle alture d’Europa, diventassero silvane ovvero parte di quel mondo mai tangibile, sempre selvaggio, così alieno all’urbana moltitudine vociante dell’altrui clamore? Ma il cranio non è mai al sicuro, dalla pioggia, vento e neve, se non è coperto da quel nobile indumento. La cui fonte tende ad essere purtroppo il frutto dell’industria inquinante. Oppure… No.
Amadou è il nome di un antico materiale, che proviene da una fonte che sussiste nell’ambiente privo di persone. Un fungo non del tipo nato in seguito alla pioggia, in timidi anelli semi-nascosti tra le erbe. Bensì fiero ed altezzoso, sopra i tronchi che insistentemente infesta, con le proprie ife che perforano cortecce, come fossero panetti di morbido burro da cucina. E suggendo come un parassita il ricco fluido che giace all’interno, assumono la linfa d’albero facendone benzina per il proprio metabolismo. Tante mensole che crescono, morbide e poi dure in mezzo alla penombra. Ma è nel mezzo tra i due estremi, che diventano il tesoro di chi giunge col progetto chiaro e un appropriato cesto da raccoglitore fungaiolo. Sia chiaro: non con fini alimentari. Giammai possa sembrarvi valida l’idea, di consumare il Fomes fomentarius alias “fungo dell’esca del fuoco” il cui uso come letto di scintille fin da tempi avìti è contenuto in tale nome programmatico, nonché dimostrato dal trasporto in una borsa di quel cavernicolo trovato sulle Alpi Venoste, Ötzi congelato in mezzo ai ghiacci sempiterni della Preistoria. O per meglio dire, uno degli utilizzi possibili, giacché lo stesso Ippocrate, grande medico del V secolo a.C, parlò estensivamente delle sue capacità di arresto ematico, ovvero fungere da bendaggio in grado di arrestare le emorragie. Così come in Cina si era soliti attribuirgli la capacità di allontanare il cancro gastrointestinale, se bevuto in forma di tè. E che dire degli amanti della pesca, che in tempi recenti hanno imparato a farne uso per asciugare le mosche artificiali da usare come esche nei fiumi? Ancorché persista in altri luoghi, l’antica idea che sia perfetto come fonte di un pregiato materiale. Essendo in grado, se trattato con il giusto metodo, di trasformarsi in strisce di cuoio del tutto simili a quelle di provenienza animale. Diventando l’ideale parte costituente di borse, accessori decorativi. Ma soprattutto dei fantastici, distintivi copricapi adatti ad ogni clima e temperatura…

L’origine del cappello di amadou è tradizionalmente centrata nella regione rumena della Transilvania, dove anticamente diversi villaggi rurali erano soliti trarre profitto dalla produzione organizzata, trasporto e vendita nei grandi mercati di Cluj-Napoca, Brasov e Sibiu. Come conseguenza di una tecnica artigianale ormai del tutto marginale ed in grado di sopravvivere soltanto grazie all’opera di alcune famiglie, concentrate notoriamente presso il villaggio di Corund, nella “Regione del Sale”. Un luogo visitato dagli amanti delle tradizioni micologiche e occasionali esperti documentaristi, interessati a far conoscere al senso comune qualcosa che tendenzialmente aleggia fuori dall’impreparata cognizione del presente industrializzato. Poiché colpisce e al tempo stesso può sorprendere, il concetto che sia possibile ottenere un prodotto tutt’altro che inferiore a quelli moderni, partendo dalla semplice manipolazione di un fungo. Senza l’uso di sostanze chimiche pericolose, bensì provvedendo a mettere a bagno gli esemplari raccolti, una volta ritornati nel laboratorio, in semplice acqua o carbonato di sodio (anticamente, a quanto sembra, si soleva utilizzare l’urina) finché non si accentui la separazione tra la parte dura, legnosa e la preziosa polpa che si trova nella parte sottostante, chiamata trama. Il cui rapporto di presenza è una diretta conseguenza dell’esperienza del raccoglitore, che studia lungamente quali sia l’età e grandezza adeguata dei corpi vegetativi da selezionare, pena un gran dispendio d’energia nella preparazione del prodotto finale. Giacché segue nel processo quel passaggio che consiste nel tagliare via la scorza con apposito coltello simile a un falcetto, avendo cura di sfruttare l’appropriata protezione di un’apposita ginocchiera. Ciò che segue è al tempo stesso semplice e rivelatorio; null’altro che il tiraggio a mani nude, un margine alla volta, del sottile strato risultante. Finché non diventa in tutto e per tutto una stoffa, simile per certi versi al cuoio, per altri al feltro. Resistente, impermeabile, assorbente, termicamente isolante. Da ogni punto di vista, perfetta. Passaggio ulteriore per l’abbellimento, l’apposizione di un timbro o marchio di riconoscimento mediante stampo intagliato con figure di foglie, stemmi o animali, apposto tramite l’impiego di un semplice ferro da stiro. Prima che la stoffa ritagliata ad hoc, trovi posto ad asciugare sugli appositi manichini a forma di testa umana. Da cui otterrà la forma ritenuta opportuna per la realizzazione del progetto finale.

Un miracolo della tecnologia e la scienza dunque, se soltanto fossimo inclini a utilizzare tali termini per conoscenze vecchie di diversi secoli o persino millenni. Laddove il mondo ci ha insegnato che dovremmo attribuire meriti ulteriori unicamente in base alla complessità delle catene di montaggio, relegando ciò che è antico al mero ruolo di oggettistica, da lasciare a prender polvere in mezzo alla polvere dei meri magazzini concettuali.
Ma chi acquista simili gadget dal profondo significato storico, in genere, lo fa con criterio. Non soltanto in base al prezzo, che oggi supera abbondantemente su Internet i 250-300 euro, ma anche per il simbolo che rappresentano attraverso le epoche feconde. Così come il micologo Paul Stamets, che compare in una foto celebre con un fungo amadou gigantesco, ben stretto tra le mani sapienti. Mentre ne indossa un altro sopra il capo, neanche fosse la cosa più normale del mondo! La stessa Alice nel paese delle Meraviglie, ai suoi tempi, non avrebbe saputo fare di meglio…

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