Per tre giorni a bordo di una barca sul grande Nilo, e quattro a dorso di cammello, la giovane coppia aveva viaggiato. Lui con un lungo scialle di lino per nascondere le armi e lei in un ampio vestito, che seguiva le curve di una gravidanza ormai in stadio avanzato. Lo splendore del grande Occhio diurno non li aveva scoraggiati, e neppure il gelo delle argentee notti primaverili, dal bisogno di raggiungere la meta finale: il tempio dedicato a Bes di Bahariya ai margini del Deserto Nero, un luogo di raccoglimento, meditazione. Ma più di ogni altra cosa, profezie. Così nell’ultimo tratto del percorso, stagliandosi contro piramidi distanti, ripensarono attentamente al ruolo che avrebbero giocato nelle tradizionali ore dedicate al rituale. L’esercizio antichissimo impiegato, da oltre un millennio, per ottenere la supervisione di Colui che avrebbe contribuito ad una nascita sicura. Ed accuratamente protetta, come fece per il dio-falco Horus negli anni in cui restò nascosto da Set. Pensarono all’offerta per i sacerdoti ed alle giuste parole, tramandate da generazioni nella famiglia di lei e di lui. Nella maggior parte delle circostanze, naturalmente, i visitatori non ricevevano la stessa coppa da bere. Le sostanze potevano variare. E non tutti ricevevano visioni piacevoli, durante il sonno profondo nella residenza del Dio guardiano. A metà del giorno successivo, finalmente, giunsero al santuario. Al sopraggiungere delle ore serali, i serpenti del destino arretrarono dai margini della coscienza terrena. Mentre il rito della mente anticipava, in qualche modo, la venuta di una nuova anima su questa Terra battuta dai venti del misconosciuto Destino…
Ogni cosa che circonda il culto di Bes, probabilmente singola divinità più eclettica dell’intero pantheon egizio, è avvolta da un alone di mistero che per anni gli archeologi hanno tentato di disperdere mediante l’approfondimento delle fonti a disposizione. Consistenti, principalmente, d’iscrizioni geroglifiche e le rappresentazioni atipicamente frontali (gli altri Dei venivano sempre ritratti di profilo) della sua figura possibilmente affetta da microsomia o nanismo, generalmente sormontata da uno svettante copricapo piumato. Di un guerriero spesso armato di spada, vistosamente privo di abiti e dotato di un’espressione agguerrita, avendo il compito tradizionale di scacciare i demoni con propri idoli o tavolette votive. Caso a parte poi avrebbero rappresentato un particolare tipo di manufatti successivi, possibilmente di ispirazione siriana o mediorientale, in cui la testa di Bes veniva utilizzata come modello per una coppa o tazza usata per bere. Principalmente diffusi in epoca tolemaica, ovvero durante la dinastia macedone durata 275 anni partire dal 305 a.C, fondata in origine da uno dei diadochi o compagni del defunto Alessandro Magno. Simili oggetti, che gli studiosi avevano da lungo tempo considerato per inferenza dotati di un qualche profondo significato rituale o religioso, sono rimasti lungamente misteriosi nei termini specifici del proprio utilizzo, in mancanza di spiegazioni scritte o immagini capaci di mostrarne i trascorsi. Almeno fino alla pubblicazione, lo scorso 13 novembre, di uno studio condotto da scienziati della Florida sotto la guida del Prof. di origini italiane Davide Tanasi, che ha deciso di approcciarsi all’argomento da un’angolazione totalmente nuova. Quella della scienza futuribile sfrutto delle odierne tecnologie computerizzate…
Ci sono degli effetti immediati ed altri meno palesi, nell’approccio scientifico messo in pratica dall’Università della Florida, su una serie di reperti tra cui una specifica coppa di Bes di epoca tolemaica proveniente dall’Oasi di El-Fayūm, donata al museo di Tampa da David S. Hendrick III (1914-2005) destinata a confermare teorie e svelare segreti precedentemente mai sospettati. Il primo è stato la scansione tridimensionale dell’oggetto in questione, capace di ottenere misurazioni precise interne ed esterne del suo aspetto, utili a sostenere uno studio comparativo e filologico maggiormente approfondito. E la seconda, un’approfondita analisi del recipiente, così come tentato in precedenza, ma mai con la complessità dei macchinari ottici messi in campo da Tanasi, che nella sua pagina web racconta dell’importanza da lui sempre percepita nell’impiego della tecnologia moderna in campo archeologico e per lo studio delle antiche civiltà umane. Così da rivelare, principalmente attraverso un sistema chiamato microSpettroscopia di Fourier trasformata all’infrarosso (SR µ-FTIR) l’effettiva composizione del fluido che, durante l’antico utilizzo del manufatto, era stato ingerito dai suoi utilizzatori. Una miscela straordinariamente significativa, per la varietà degli ingredienti che la componevano ed i probabili effetti psicotropici che dovevano averla caratterizzata. A cominciare dal famoso loto blu egizio (Nymphaea caerulea) una pianta acquatica considerata un simbolo della creazione, nonché ad oggi fiore nazionale dell’Egitto. Il cui contenuto di cloroformio, acetato di etile ed n-butanolo ha notoriamente effetti euforici, rilassanti e sedativi, potendo indurre il sonno profondo e conseguenti visioni oniriche di varia natura. Qui mescolato, al fine di ottenere effetti più potenti, alla pianta con lievi effetti allucinogeni della ruta siriana (Peganum harmala) ed ulteriori tracce del genere vegetale Cleome, alcune specie del quale venivano impiegate in Africa per preparare mentalmente e psicologicamente le donne al parto. Un’associazione concettuale ancor più potente nella presenza totalmente inaspettata, tra i campioni raccolti dalla tazza, di fluidi corporei umani quale muco vaginale, sangue, latte materno e saliva, tutti simbolicamente connessi all’atto fondamentale di mettere al mondo un essere vivente. Una miscela di sostanze, dunque, tutt’altro che gradevoli, il cui sapore era stato presumibilmente mascherato da vali additivi identificati al microscopio dagli scienziati, tra cui uva, liquerizia, pinoli, miele. Per ingannare i sensi così come nell’antico mito strettamente connesso alla figura di Bes, in cui la Dea consorte di Horus, Hator si apprestava a discendere sulla Terra per saziare la propria sete di vendetta a spese degli abitanti del mondo materiale. Se non che il dio nano si sarebbe posto sulla sua strada, porgendogli una coppa dal contenuto misterioso il cui sapore simile a sangue avrebbe, in qualche modo, placato tale ira ancestrale.
Le usanze ed il comportamento dei nostri predecessori sono sempre un argomento degno di essere approfondito, poiché ci permette di comprendere gli schemi mentali che hanno condotto, attraverso lunghe epoche trascorse, allo stato attuale della civiltà e società umana. E sarebbe difficile, a tal proposito, individuare un contesto maggiormente interessante e stratificato di quello connesso agli Egizi del Mondo Antico, le cui alterne vicende ed i contesti sociali lungamente soggetti a trasformazioni ancora nascondono un labirinto dalle innumerevoli nicchie particolarmente difficili da esplorare. Come rituali allucinogeni impiegati per assistere una donna nel momento di quella che, soprattutto allora, era una prova particolarmente ardua da superare. Ben venga dunque la scienza, soprattutto se assistita dall’odierna tecnologia e strumentazioni inimmaginabili fino a poche decadi a questa parte. I più grandi strumenti per la crescita intellettuale possono trovare posto nel nostro passato. E in quel remoto, ancora inconoscibile Domani.