L’artista che ha trafitto la foresta usando strali del pensiero anticonformista creativo

La più potente macchina di annientamento del contesto è Internet: attraverso ricondivisioni, gruppi di discussione, anti-librerie e fake-news le circostanze vengono ignorate o sovrapposte, nel superamento delle utili ma restrittive norme di causa ed effetto. Con un punto di vista variabile adeguato all’intento dell’intermediario, taluni soggetti si trasformano in visioni stranianti le cui caratteristiche derivano dal volgere degli attimi, l’inarrestabile ma poco significativa progressione dei momenti. Approccio particolarmente problematico, per l’ambito già fuori dal quotidiano dell’arte. Così visioni di portali ricavati nella prospettiva di una foresta, con perforazioni circolari tra il sottil velo geometrico dei rami, tornano periodicamente a propagarsi da un settore all’altro della sfera digitale, offrendo un’opportunità alla gente di sperimentare con la scrittura creativa. “Certamente trattasi di vie d’accesso per il regno fatato!” afferma qualcuno, No. “È chiaramente colpa di un’arma energetica impugnata dalle misteriose civilizzazioni ultra-mondane.” Risponde anonima la controparte. Quasi come se l’attribuzione a mano umana del bizzarro fenomeno potesse privarlo in qualche maniera della propria unicità, rendendolo il semplice trastullo di un eclettico giardiniere. Il che poi costituisce a pieno titolo, ed al tempo stesso molto vagamente, l’esatto intento e pratica dell’artista finlandese Antti Laitinen, costruttore con forbici e corde di un universo in cui nulla sembra capitare per una ragione precisa, ma piuttosto generando mistiche impressioni “latenti” che poi costituiscono uno dei pilastri sottovalutati di noi moderni. Sempre mantenendo quel rapporto privilegiato ma in diretto conflitto con la Natura, che tanto è stato posto al centro della discussione, sia pur slegata dai suoi metodi creativi, durante l’implementazione metabolica di questa serie nel grande flusso digestivo del Web. Il cui titolo in lingua inglese, Broken Landscapes (Paesaggi Spezzati) poco fa per identificare l’effettiva nazionalità dell’autore, proveniente dalla fredda terra di Finlandia, dove ogni albero mantiene il marchio sacro dell’antico Dio creatore, Ukko delle forze primordiali che congiungono il Cielo e la Terra. La cui furia largamente menzionata nel Kalevala, senza alcun dubbio, non avrebbe potuto fare di meglio che scagliare l’improvvido Kamehameha che nessun materiale appare in grado di arrestare prima dell’infinito. O di più terribile, se osserviamo la questione dal punto di vista dello scoiattolo in cerca di un passaggio tra i recessi dell’alta canopia, come dell’uccello che nidifica alla convergenza dei rimossi rami. Il che in un certo senso, potrebbe costituire proprio l’obiettivo critico & poetico di questo artista di fama internazionale…

L’eclettico Laitinen, che come molti altri artisti post-moderni non chiarisce né descrive il proprio intento creativo in alcuna traducibile maniera, ha del resto fatto di un simile approccio alle tematiche il suo principale marchio di fabbrica, lavorando ai margini di una coscienza collettiva che sembra tentare di approcciarsi ai temi ecologici, per poi sfuggire alla velocità iper-sonica verso la commercializzazione dell’ultimo cellulare o computer portatile adibito all’esecuzione di videogames. Rimasta celebre negli annali della Biennale di Venezia la sua partecipazione nel 2013, in un padiglione occupato da surreali meraviglie fotografiche come una foresta “ritagliata” nello spazio negativo di un quadrato (Forest Square II). O l’opera successiva e del tutto tangibile creata a guisa di cinque betulle fatte a pezzi e rimontate, usando chiodi che ricordano una versione vegetale del mostro di Frankenstein (Tree Reconstruction). Del tutto emblematica, in quella stessa mostra, la complessa “tela” di uno schema geometrico ad incastro con spazi ricavati da ritagli di corteccia, muschio, legno ed altri materiali del sottobosco, arrangiati in una fedele riproduzione dei dipinti geometrici neoplastici di Piet Mondrian (Forest Square III). Ispirazione che lui stesso cita come meramente casuale non avendo mai studiato in modo approfondito la storia dell’arte e non sentendo alcuna necessità di perpetuarne gli inerenti stilemi. Ragion per cui, sopra ogni altra, il giovane finlandese aveva preferito esordire tra il 2002 e il 2004 mediante una serie di opere performative in cui lui stesso ed il suo corpo venivano impiegati come fondamento di una serie di situazioni inusuali e soltanto “incidentalmente” registrate, quali la sopravvivenza per quattro giorni in mezzo alla foresta senza vestiti (Bare Necessities); l’interpretazione convincente di una mummia ritrovata in una palude (Self-Portrait in Swamp); una corsa frenetica in una ruota da criceto, seguita dall’impressione paleolitica su carta del proprio sudore (Sweat Work). Sempre centrale, e al tempo stesso messa di traverso, l’idea tipica del suo paese secondo cui le cose ottenute con fatica valgono di più, vedi l’esempio delle tre pietre (Three Stones) trovate rispettivamente dopo sette minuti, sette ore e sette giorni di scavo.
Finché l’occasione di chiarire almeno in parte il suo messaggio meta-tematico non sarebbe giunta quattro anni dopo, con l’inizio della serie dedicata alla navigazione in mare aperto usando barche di corteccia ed altri materiali simili. La più memorabile delle quali resta senza dubbio l’isola a remi portata fino al Tamigi (Voyage, 2008) con tanto di palma a fare da schienale, famosamente fermata dalla polizia londinese mentre si trovava innanzi all’edificio in stile Brutalista dei Servizi Segreti. Poiché l’occasione non farà l’arista ma di certo, in determinati casi, può contribuire alla creazione dell’arte.

E in fondo, non è ormai palese? L’argomento oggetto di queste creazioni è ormai da un paio di decadi soprattutto l’ambiente. Mettere in evidenza la maniera in cui elaborate alterazioni delle cose in essere, per quanto dichiaratamente guidate dalle buone intenzioni, agiscono per modifica del vigente contesto verso derive spesso bizzarre e molto spesso pericolose. Disumanizzando ciò che avrebbe costituito la logica evoluzione degli spazi viventi, finché l’intento implicito viene ridotto a distante quanto ininfluente astrazione. E tutto ciò che resta è una visione prototipica, verso la realizzazione di un diverso tipo di alberi, una sconosciuta ma proficua interpretazione della Foresta. Che una volta resa discontinua dalla realizzazione dei sapienti buchi opera del proprio atipico commentatore finlandese, tende a un punto di passaggio liminale verso nuove dimensioni latenti. E tutto ciò che esse contengono, come messaggio de facto sullo stato del nostro presente e quello non più tanto incerto dell’incipiente domani. Continuando ostinatamente a sperare che l’aumento entropico dello spazio negativo in mezzo ai tronchi, per la forza dell’industria e del progresso, non diventi un giorno il meno significativo dei nostri problemi.

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