Un tè ceruleo e un tè vermiglio, da un fluido viola nel bicchier cangiante. Grazie a te, oh fiore…

Il pilastro dell’apprendimento scientifico, soprattutto nei paesi anglosassoni, è la sperimentazione. Così nelle scuole, al cospetto di classi curiose e partecipative, viene ritenuto conveniente dimostrare in cattedra diversi tipi di reazioni. Sostanze chimiche accuratamente mescolate, per cambiare le tonalità dello spettro visibile, che si trasformano, diventano leggenda. Soltanto non avviene, nella maggior parte dei casi, che i presenti facciano la fila per procedere all’assaggio del prodotto di quel rituale. Non sarebbe di sicuro salutare, per l’organismo. Situazione diametralmente opposta, d’altra parte, per quanto concerne la Clitoria ternatea, pianta endemica per l’appunto della sola isola di Ternate, parte del vasto arcipelago indonesiano. Ed il cui nome comune occidentale, evitando il riferimento scientifico all’apparato riproduttivo femminile umano (cui si dice il fiore sia inerentemente simile) ricade al tempo stesso nel problema adiacente, per lo meno una volta tradotto in lingua italiana; trattandosi di butterfly pea o “pisello farfalla”. Chiamiamola perciò Aparajita, come previsto dal canone della medicina ayurvedica dell’India, con riferimento alle sue presunte capacità di alleviare lo stress ed altri disturbi mentali persistenti. Il che ha sempre costituito per questa fabacea, rampicante o strisciante, soltanto uno degli effetti benefici previsti, mai provati in modo inconfutabile dalla scienza ma che sembrerebbero includere l’eliminazione degli ossidanti, dei microbi, delle infiammazioni e persino la capacità di allontanare il diabete. Risultando nota, al tempo stesso, per il suo uso in campo cosmetico, come colorante naturale ed in cucina, particolarmente per la preparazione di bevande infuse relativamente insapori. Ma così straordinariamente affascinanti! Questo perché la versione preparata della pianta, una volta trasformata in polvere essiccata al sole, dona immediatamente al liquido un cupo color lavanda; il che è soltanto l’inizio dell’affascinante vicenda cromatica. Laddove il collaudato rituale internettiano, particolarmente popolare sui canali di Instagram e Douyin/Tik Tok, prevede a questo punto l’aggiunta in rapida sequenza di particolari ingredienti: dapprima una fetta di limone, con l’effetto di schiarire il fluido fino ad un violetto/azzurrino. Quindi qualche petalo d’ibisco, che lo trasformerà di nuovo, conducendolo a un vermiglio intenso. Difficile resistere, a questo punto, alla tentazione di assaggiare il gusto di una tale magica essenza…

In natura l’Aparajita, piantata in tutta l’Asia equatoriale con coltivazioni anche negli Stati Uniti meridionali, si presenta dunque come un’erba dalle foglie ellittiche ed ottuse, capace di elevarsi in condizioni ideali fino ai 5 metri di altezza in base all’asse dei suoi germogli sottili, arrotondati e scanalati che si attaccano ai muri o tronchi pre-esistenti. Il fiore, con cinque sepali della lunghezza unitaria di fino a 2 centimetri, si sviluppa a quel punto in lunghezza per un totale di 5,5, in una forma obovata e bordata che lo ha visto paragonare anche ad un paio di “ali di piccione”. Gli stami sono una decina, circondati da brattee irsute che dimostrano la natura ermafrodita del vegetale. Largamente utilizzata come pianta ornamentale o viticcio nei suoi luoghi d’origine, essa è conosciuta anche per il frutto in baccello, simile a un fagiolo dal gusto amaro una volta maturo, largamente impiegato come ingrediente medicinale secondario o più frequentemente, semplice cibo per gli animali. Diverso il caso dei fiori propriamente detti, quando sottoposti ad un processo di preparazione, la cui trasformazione in polvere è alla base dell’impiego maggiormente produttivo del vegetale. Questo grazie alla presenza al suo interno di sostanze chimiche appartenenti al gruppo degli antociani, un tipo di flavonoidi comunemente responsabili delle colorazioni naturali blu, viola, rosa, rosso ed arancione. Ma che nell’accezione specifica, denominata delfinidina, possiede piuttosto la capacità di reagire al pH delle sostanze con cui entra in contatto, producendo l’arcobaleno di colori così entusiasticamente dimostrato nei frequenti video realizzati sull’argomento. Senza l’uso di sostanze chimiche ed in conseguenza di ciò, anche senza voler credere al valore per lo più aneddotico delle sue presunte doti taumaturgiche, evitando presumibilmente di produrre effetti negativi per l’organismo umano. Il che non ha permesso d’altra parte a questa pianta, allo stato attuale, di ottenere un qualsivoglia tipo di certificazione alimentare per gli Stati Uniti o l’Unione Europea, territori dove la sua vendita non è nominalmente consentita per un uso prettamente gastronomico di alcun tipo. Il che non sembrerebbe averne impedito, d’altra parte, l’inclusione in una vasta varietà di video su YouTube e altrove atti a dimostrarne le notevoli capacità cromatiche, se non il sapore particolarmente gradevole, paragonato senza eccessivo entusiasmo, in alternanza, all’asparago, un fagiolo immerso nell’acqua, o più semplicemente erba bagnata. Ragione in funzione della quale, per l’appunto, in Oriente è comune aggiungere il pisello farfalla in qualità di mero additivo a preparati di più ricca composizione, ingrediente per le torte, o al minimo la compagnia di una limonata rinfrescante, entro cui il suo principale contributo sarà incline a configurarsi come l’inaspettata e stravagante variazione cromatica che tende a derivarne. Un qualcosa di simile a quanto ottenuto dai titolari del canale Sous Vide Everything (qui sotto) trovatisi a sperimentare l’improbabile iniziativa di mescolare la polvere dei fiori con il burro, utilizzandola come condimento per la carne dal “vago sapore intrigante” ma che in effetti sembrerebbe aver prodotto più che altro un effetto visivo. E qui verrebbe anche da chiedersi quanto possa risultare appetitosa, nei fatti, una bistecca del colore di una buccia di melanzana!

Sarebbe in ogni caso opportuno, per ogni presunto super-cibo proveniente da terre lontane, non lasciarsi andare a spontanei entusiasmi. Sostenendo tesi poco scientifiche, o arrivando addirittura a proporre simili ingredienti come cure alternative per malattie croniche efficacemente mitigate almeno in parte grazie all’uso di rimedi comprovati dalla scienza. Che non è soltanto una delle metodologie possibili, bensì l’unica basata sulle norme della logica ed un attenta disanima del rapporto tra causa ed effetto. Nonostante quanto possano variare i risultati frutto della mera apparenza, come la variazione mirabile di una singola, mai del tutto inerte sostanza. Giacché la conoscenza degli Antichi potrà anche essere vasta. Ma ancor più grande, per una mera evoluzione progressiva del paradigma, può essere soltanto quella dei Moderni.

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