La quiete dopo la colata lavica, nell’imperturbabile parcheggio della Laguna Blu islandese

La stampa internazionale ama le parole agglutinanti dal suono caratteristico ed oriundo, come Sundhnúkur: sul finire dell’anno passato, assurta di nuovo, per ragioni di tipo geologico, al preoccupato podio del senso comune. Difficile non applicare un’espressione ricorsiva, dal punto di vista del paese più a settentrionale dell’Atlantico europeo, alla copiosa fuoriuscita dell’ennesima copiosa striscia di pietra fusa, fuoco e fiamme. Evento eccezionale, atipico, terrificante, insolito, per chiunque altro. Ma non le 393.000 persone che vivono sul suolo totalmente vulcanico, di una terra emersa non più antica di 20 milioni di anni. E perciò capace di vibrare quasi quotidianamente, al sommovimento di ciò che riempie le tenebre di quel sottosuolo avìto. Eppure addirittura in quel contesto, la prolungata situazione vissuta per gli ultimi 12 mesi nella penisola di sud-ovest Reykjanes ha caratteristiche profondamente insolite, al punto da aver mantenuto una posizione di preminenza nei notiziari locali per un periodo mediamente superiore alla stragrande maggioranza degli eventi simili; per la vastità del territorio colpito, l’ampiezza delle crepe formatesi all’interno di esso e la quantità di fuoco e fiamme, che hanno continuato a illuminare il paesaggio notturno d’Islanda. Nonché la maniera in cui, per un gran totale di cinque volte al conteggio attuale, questi eventi hanno portato la provincia a dover chiudere una delle proprie attrazioni turistiche di maggior rilievo: i famosi bagni termali della Bláa lónið (Laguna Blu) un bacino artificiale dalle rinomate capacità terapeutiche, in funzione delle sostanze minerali che costituiscono la parte maggiore del suo fondale. Fino al caso limite delle ultime 24 ore, capaci di generare una contingenza probabilmente destinata ad avere conseguenze maggiormente significative per l’utilizzabilità del sito. Visto il modo in cui la notte scorsa, sfuggendo agevolmente al perimetro delle costose barriere disposte sul tragitto calcolato della sua colata, il flusso lavico si è spinto fino alle propaggini dell’area di parcheggio lungo il ciglio della strada Grindavíkurvegur. Perciò dove l’asfalto un tempo campeggiava immoto, ordinata periferia della viabilità veicolare, il crepitìo rombante si è protratto mentre come nel frangente apicale di una tragedia epica, la montagna si faceva innanzi. Trascinando via i lampioni, distruggendo le strutture dei supervisori, ricoprendo con milioni letterali di tonnellate ogni singola cosa. Dopo di che, il silenzio.

La questione è chiaramente delicata, dal punto di vista dell’immagine nazionale e tutto ciò che questa coperta. Giacché il paese colonizzato per ultimo dai popoli scandinavi, con un attuale prodotto interno lordo di 28 miliardi dovuto in buona parte all’estrazione delle sue ingenti risorse energetiche, tende a vantare un’impianto infrastrutturale particolarmente elaborato e conseguenti contromisure poste in essere generalmente significative, anche rispetto alla terra compromessa da disastri simili dell’arcipelago hawaiano all’altro lato del pianeta Terra. Tanto che risale già alla fine di dicembre 2023, il primo stadio nella costruzione delle elaborate barriere di contenimento dell’altezza iniziale di 4 metri, costato entro la primavera un gran totale di 40 milioni di euro, almeno in linea di principio capaci di proteggere le proprietà delle 3.800 persone evacuate preventivamente dalla vicina città di Grindavík, nonché le aziende e industrie locali. Con la direzione dei bagni termali di Bláa lónið, più volte comparsa a margine della comunicazione mediatica della reiterata agitazione sotterranea, enfatica nelle proprie rassicurazioni ad ogni riapertura dell’attrazione, laddove ben poche preoccupazioni sembravano dapprima divergere dal normale dipanarsi di tali eventi. Se non che dopo una breve riapertura di soli tre giorni a partire dal 6 gennaio, il sito dovette essere chiuso ancora, per un nuovo sciame sismico con fontane magmatiche capaci di raggiungere i 70 metri d’altezza, durato fino al mese di febbraio. Senza perdersi d’animo, i bagni sono quindi stati riaperti e chiusi più volte nel corso di quel mese, benché fonti su Internet parlino della cessazione dei viaggi organizzati per dignitari e ambascerie straniere, come precauzione atta a scongiurare possibili incidenti di portata internazionale, con danno d’immagine persino più duraturo. La situazione ha visto dunque un breve miglioramento, con l’acquietarsi della linea di caldere adiacenti, fino al mese di maggio, quando le colate hanno ricominciato a muoversi, giungendo a coprire 15,8 Km quadrati di territorio distruggendo un gran totale di 74 proprietà al di fuori del territorio protetto, mentre nuove spaccature continuavano ad aprirsi nella piana a settentrione di Grindavík. La Laguna è stata perciò chiusa nuovamente nella giornata di ieri, con le prospettive di un ritorno alla normalità che paiono ormai drammaticamente distanti.

Secondo il geofisico dell’Università d’Islanda, prof. Magnús Tumi Guðmundsson, il problema nel valutare l’effettiva gravità della lunga eruzione della collina vulcanica Sundhnúkur deriva in modo particolare dalla rapida solidificazione della lava che produce, in grado di trasformarsi in pietra inerte nel giro di appena 10-15 giorni. Ciò preservando la condizione fredda e dunque debole la pietra sottostante, nel prolungarsi di uno stato di vulnerabilità geologica capace di causare la natura ricorrente di questo lungo disastro al rallentatore.
Un problema di percezione pubblica, oltre che logistico e relativo al continuativo impiego dei beni del territorio. Mentre i notiziari esteri, come in altri casi simili a partire dagli anni 2000, continuano a descrivere con termini iperbolici le condizioni geologiche dell’intero paese, presumibilmente affetto da uno stato d’ansia pressoché costante. Non che ci sia molto, nonostante gli approcci già percorsi, che il paese possa fare al fine di arginare questo tipo di comunicazione. Relativa a quei vulcani e conseguenti siti termali che costituiscono, dal punto di vista turistico, una delle maggiori forze turistiche di quel paese isolano. Ma anche una condanna temporanea al verificarsi dei più gravi eventi. Non c’è rischio, d’altra parte, senza una valida opportunità di guadagno. Come ben sapevano gli antenati vichinghi, ogni volta che puntavano la prua delle scattanti barche verso le propaggini del misterioso orizzonte. Alla ricerca di nuovo fuoco, nuovi Dei, magnifiche opportunità e trionfi.

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