Non è una lucertola e nemmeno un drago. Sembra un dinosauro? No, tuatara

La presenza di un terzo occhio non è propriamente inaudita nella classe dei rettili. Organo sensoriale ausiliario, posizionato sulla sommità del capo, dotato di una retina e capace di percepire la luce e il movimento, esso possiede una funzione sopra ogni altra: rilevare il periodo dell’anno grazie alla percezione della durata dei giorni. Una capacità niente meno che fondamentale, per animali le cui uova vengono regolate termicamente, favorendo la nascita di un sesso in base alla vigente temperatura. Ancorché sia necessario sottolineare, a questo punto, come tale metodo decisionale abbia nella maggior parte dei casi uno scopo chiaramente definito: produrre più maschi quando la temperatura è fredda, ovvero in assenza di fonti abbondanza di cibo, per favorire la fecondazione seriale. Laddove il rapido tuatara neozelandese (Sphenodon punctatus) vede il suo metodo riproduttivo prevedere l’esatto opposto, per cui temperature al di sotto dei 20 gradi garantiscono una percentuale di femmine tra i nuovi nati pari all’80%. Simili creature, d’altra parte, hanno molti meno problemi a sopravvivere nei mesi freddi rispetto ai loro simili dei tempi odierni, con una capacità di mantenere caldo il proprio metabolismo superiore a quella degli altri esseri a scaglie, incluse le tartarughe, essendo adattati a vivere nell’entroterra delle isole dell’emisfero australe, dove gli inverni possono risultare rigidi ed estendersi per una durata significativamente superiore alla media dei tropici terrestri. Non per niente, stiamo parlando di creature tri-oculari appartenenti a un altro tempo! Considerate, a tal proposito, quanto segue: il nostro predatore lungo della lunghezza di un metro circa, il cui nome in lingua Māori significa “Becca la tua schiena” fu classificato nel 1831 come una lucertola agamide dal naturalista John Edward Gray, il che l’avrebbe resa imparentata alla lontana con le iguane del Nuovo Mondo. Finché 30 anni dopo, Albert Günther del British Museum non trovò nel corso dei studi di tale animale caratteristiche comuni a uccelli, tartarughe e coccodrilli. La creazione del nuovo ordine (non famiglia) dei Rhynchocephalia, fu dunque seguita dalla presa di coscienza di un fattore inaudito: il tuatara costituiva, a tutti gli effetti, l’ultimo esponente di un’intera linea di sangue perduta. Espressione evolutiva di un tipo di creatura non soltanto assai più antica del concetto di lucertola, ma precedente addirittura alla venuta dei dinosauri. I cui simili scomparvero da questa Terra, molto probabilmente, nel periodo del Triassico risalente a 238-240 milioni di anni a questa parte. Pur non costituendo dal punto di vista formale, come si usa dire in questi casi per la continuità dei fenotipi ereditati, un esempio inconfutabile di “fossile vivente”…

Basta a tal proposito una rapida disanima del suo stile di vita, per comprendere il perfetto adattamento del tuatara ai propri ambienti di appartenenza. Prevalentemente carnivoro ed insettivoro, laddove i suoi antenati possedevano la capacità di trarre nutrimento dalla vegetazione, questo perlustratore del sottobosco dalle abitudini prevalentemente notturne non disdegna neppure la cattura occasionale degli uccelli, che cattura all’interno dei nidi assieme alle uova mediante tecniche di avvicinamento furtivo. Fondamentale, per la sua sopravvivenza, è anche un volume sufficientemente significativo di guano, terreno fertile per la moltiplicazione degli artropodi di cui è solito nutrirsi, tra cui scarabei, grilli, vermi, lumache. Attestato anche il cannibalismo, in funzione del quale l’animale attacca e divora membri più piccoli della sua stessa specie. L’accoppiamento avviene preferibilmente all’apice dell’estate, cui fa seguito la costruzione di un nido nascosto sotto una pietra o nei cespugli, dove la femmina depone tra le 5 e le 18 uova ogni 4 anni, il più lungo ciclo attestato in qualsiasi altro rettile vivente. Con la gestazione capace di arrestarsi durante i mesi freddi, il che tende a prolungarla anche per un doppio ciclo stagionale. Una lentezza dei metodi per mettere al mondo eredi che si riflette anche nel tempo necessario al raggiungimento della maturità sessuale, che avviene non prima dei 10-20 anni di età. Per un tipo di creatura che d’altronde, in cattività, è stata dimostrata capace di raggiungere agevolmente i 100 anni di vita, una dote particolarmente utile per la continuazione della specie, all’interno di ambienti dove la presenza dei predatori risultava essere limitata.
Dal punto di vista anatomico, la situazione risulta essere decisamente più enigmatica ed anacronistica, con molti tratti utili a distinguersi dalla comune tipologia rettiliana. In primo luogo la presenza di denti direttamente fusi all’osso della mandibola, che l’animale non è in grado di rigenerare. Ragion per cui con l’avanzare degli anni, il tipico esemplare risulta costretto a nutrirsi di prede progressivamente più morbide, dovendo limitarsi a morderle e masticarle con il duro becco che costituisce la parte frontale del suo muso appuntito. Una semplificazione delle soluzioni e dei fenotipi previsti che si riflette anche nel sistema riproduttivo, il quale nei maschi non prevede alcun tipo d’organo d’intromissione (pene o emi-pene) bensì la necessità di un contatto diretto della cloaca, potendo altresì beneficiare dello sperma più veloce e resistente attestato nella propria classe di appartenenza.

Data l’incapacità sostanziale per il nostro amico di difendersi da aggressori particolarmente voraci quali mustelidi, gatti e cani, dal punto di vista della conservazione la situazione del tuatara è piuttosto complicata. Trattandosi di creatura la cui popolazione attuale è al momento sufficientemente numerosa (siamo attorno ai 55.000 esemplari secondo lo IUCN) ma la cui attestazione sulle due isole principali neozelandesi ha cessato di attestarsi, salvo rari casi eccezionali, già molti anni prima della colonizzazione europea. Ciò probabilmente per la diffusione antecedente del kiore o ratto polinesiano, un feroce concorrente nonché nemico diretto degli esemplari giovani e perciò più piccoli di tuatara. Importante, tal proposito, si è rivelata in epoca contemporanea l’adozione di politiche specifiche per la protezione della carismatica creatura, la cui popolazione si era precedentemente ridotta, in base ad una stima, del 25% rispetto al totale. Finché negli anni ’90, una serie d’iniziative su larga scala non hanno radunato sistematicamente gli esemplari sulle isole Stanley, Red Mercury e Cuvier, per procedere contestualmente ad una totale de-rattizzazione del territorio. Operazione replicata sul finire della decade anche alle Hen and Chicken, Coppermine e Alderman, riconfermando l’esecuzione di un piano perfettamente riuscito, nonché uno dei maggiori successi documentati nel salvataggio di una specie rara.
Con il raggiungimento dell’età adulta dunque, l’occhio pineale del tuatara viene coperto da una scaglia, perdendo in parte la sua capacità sensoriale. Una predisposizione probabilmente motivata dalla necessità di muoversi rapidamente tra i rami bassi. Benché l’animale non perda mai la predisposizione a volgersi in alto, per scrutare meditabondo le stelle nei cieli. Forse interrogandosi come noialtri, grazie allo strumento dell’intelligenza istintiva, sulla posizione che gli astri sembrano possedere ad ogni ripetuto ciclo della volta celeste. E quale fosse lo scenario, in quel remoto contesto, conosciuto dai loro remoti e non più misteriosi predecessori.

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