Quello che non ci riesce necessariamente facile da immaginare, come abitanti di un paese che non raggiunge quasi i 10 milioni di chilometri quadrati, è la maniera in cui i turisti cinesi possono essenzialmente dividersi in due categorie distinte: quelli che viaggiano per il mondo al fine di assorbire nuovi luoghi e cognizioni, e coloro che invece, sia accontentano di ritrovare entro i confini nazionali tutto ciò che avrebbero ragione di voler sperimentare nella vita. Mari e monti, valli e fiumi, dighe, città storiche dai trascorsi millenari. Siti culturali ed archeologici, ma cosa dire dei monumenti? Quelle costruzioni frutto di un particolare profilo culturale, la risultanza dei processi estetici che sono la formale risultanza della collisione tra le aspirazioni collettive e la realtà tangibile della natura… Luoghi ed espressioni tipiche da cartolina, se portate alle più estreme conseguenze, dimenticando tutti i presupposti che ne hanno saputo consentire l’effettiva manifestazione al termine della catena dei momenti. Prendete, per esempio, la Provenza. Una regione che in Europa si conosce da una pletora d’immagini, tra cui distese viola da cui sorgono pareti antiche d’edifici o borghi medievali, trasformati nelle icone pittoresche dei nostri giorni. Così le valli ricoperte di lavanda, che compaiono nei quadri di Cezanne e Van Gogh, costituiscono soltanto una singola parte dell’equazione. E non è certo facile creare l’altra, mediante l’utilizzo di pietre, vetro e mattoni. Ragion per cui il Parco Scientifico e Tecnologico Agricolo Sino-Francese di Meishan, nel Sichuan, ha deciso per uno dei suoi punti panoramici più rinomati di seguire piuttosto il sentiero figurativo. Con la costruzione di una chiesa che non è una chiesa, un luogo di culto evanescente d’indubbia e singolare composizione, in cui le pareti esistono più che altro come un costrutto immaginario. Del fantasma scintillante, trasparente e magnifico, che si erge orgogliosamente dalla pianura.
La legittima e formale domanda di cosa, esattamente, stiamo guardando trova a questo punto soddisfazione grazie alla qualifica di Wú yǐng jiàotáng o “Chiesa Senza Ombra” (無影教堂) l’iperbole configurata come installazione artistica, piuttosto che vero e proprio luogo di culto, con la collaborazione dello studio architettonico Shanghai Dachuan. La cui capacità di ergersi, come un punto di riferimento inconfondibile, ha costituito nel corso degli ultimi anni una calamita irresistibile per quantità incalcolabili di fotografi da social network, in cerca di fondali adatti per incorniciare le immagini delle proprie vacanze…
La Chiesa Senza Ombra misura dunque meno del tipo di edificio che di cui vorrebbe restituire l’idea, con i suoi 65 metri quadri di estensione ed uno sviluppo per lo più verticale, grazie all’impiego di uno svettante campanile a pianta quadrata. Ciò che colpisce un primissimo momento sono chiaramente i materiali usati per costruirla. O a voler essere pignoli, il singolo materiale: nient’altro che travette di alluminio dalla forma rettangolare, assemblate assieme senza saldature visibili o alcun tipo di sostegno strutturale. Traguardo molto più difficile da raggiungere di quanto si potrebbe tendere a pensare, così come ogni singolo elemento strutturale è stato nascosto alla vista per quanto possibile, mediante l’uso di artifici architettonici come lo studio prospettico e la presenza di un accenno di controsoffitto. Elemento per lo più accennato, come il resto d’altronde, per cui la chiesa in questione vorrebbe dichiaratamente costituire un omaggio visitabile all’intera corrente artistica dell’Impressionismo. Ecco dunque questa cattedrale gotica in miniatura, che si staglia sul paesaggio permettendo alla luce di filtrare attraverso, così da costruire giochi e proiezioni che non potrebbero sussistere nel caso dell’assenza (effettivamente impossibile) di un’ombra. Ma certamente ne minimizzano gli aspetti opachi, trasformandola in pedina di un complesso gioco tra i contrastanti elementi.
Una proposta originale dunque, così diversa dal tipico esempio di parco a tema cinese, in cui la riproduzione senza fantasia di luoghi come Parigi, Venezia o Firenze tende a diventare un sincero omaggio agli originali e al tempo stesso una banale trappola per turisti. Sebbene tale approccio alla costituzione in essere di meccanismi sia al tempo stesso presente nel sito visitabile di Meishan, inaugurato formalmente ad ottobre dell’anno scorso, con tre zone panoramiche attualmente complete del suo complesso progetto di crescita quasi decennale: quella umida/acquatica, con canali ricavati dalla bonifica del terreno paludoso della zona del distretto di Dongpo, una sezione coltivata mediante funzionali processi agricoli mirata a riprodurre la campagna europea, e naturalmente l’immancabile assembramento di case culturalmente corrette, che vorrebbe costituire un piccolo ritaglio di Avignone o Arles. Il che pone la chiesa semi-trasparente come indubbio ed immancabile piece de resistance dell’intera composizione paesaggistica, nonché singolo elemento di maggiore qualità estetica e concettuale, capace di elevare l’intero parco attraverso la mera preminenza del suo inconfondibile aspetto fuori dal contesto presente.
L’idea di un luogo in cui è possibile comunicare con menti ed entità superne è d’altra parte fortemente condizionato dai trascorsi culturali dei singoli membri di una congregazione. E sarebbe interessante tentare di capire quanti tra i 67 milioni di Cristiani in Cina potrebbero trovare un’installazione simile come valida risultanza manifesta del rapporto con Dio, piuttosto che una mera commercializzazione di quel mondo che per tanti secoli ne ha voluto rendere tangibile l’esistenza.
Quasi-chiesa situata nelle intercapedini degli spazi negativi, così come all’interno delle ossa stesse dell’esistenza. Una struttura inflessibile che racchiude e incapsula ogni cosa? Distinta dallo spazio per lo spirito, per questo capace di rappresentare l’incontaminata energia che si manifesta soltanto attraverso l’effetto visibile del suo passaggio. Particella insostanziale di un universo quantistico, che tendiamo ad osservare indirettamente. Non che ci risulti possibile, mediante un qualsiasi approccio conosciuto dalla storia dell’Arte, avventurarci in quel sentiero in direzione opposta.