La fortezza sotto assedio tra le foglie della tartaruga con l’elmetto da squalo

È un’idea del tutto pertinente all’epoca seguente alla Preistoria, il fatto che le prede debbano possedere un aspetto mansueto, mentre le creature che si nutrono di esseri viventi aspirano ad indurre con l’aspetto il massimo timore nelle proprie prede o nemici. Se pensi al diplodoco, anchilosauro, stegosauro, triceratopo… Molti di essi possedevano corazze impressionanti e aculei assolutamente degni di nota, per non parlare degli artigli e della forza negli arti necessaria a muovere la loro massa ponderosa. Per fortuna abbiamo l’estetica di taluni rettili a ricordarci quel principio e d’altronde, chi non ha pensato almeno una volta che il miglior accessorio per una tartaruga, potesse essere il caratteristico elmetto prussiano con il rostro, chiamato pickelhaube. La natura, chiaramente, ragiona in termini di conseguenza e l’uomo ne è sostanzialmente una parte. E allora col vantaggio dei millenni, perché mai la selezione naturale non avrebbe dovuto perseguire una finalità equivalente? Ragion per cui una tale possibilità ed il suo risultato pratico convergono, quando si scruta attentamente dei particolari tratti del sistema fluviale Brahmaputra-Meghna, tra l’India settentrionale ed i moderni confini del Bangladesh. Dove si può scorgere in zone assolate, in placida contemplazione del meriggio, un’atipica presenza con il guscio declinata in dimensione digradante, dal capofila di circa una ventina di centimetri, graziato da un aspetto distintamente “triangolare”. Si, si tratta della Pangshura sylhetensis o tartaruga a tetto dell’Assam, con possibile riferimento a un altro tipo di metafora, per cui ricorda la struttura architettonica di una vecchia capanna. Ed una paragonabile immobilità, almeno finché non ritorna in mezzo ai flutti, dove tende a muoversi con tutta l’agilità di un’abile abitante dei settori paesaggistici ripariani. Mentre si aggrappa, con le rigide dita palmate, a tronchi, radici e mucchi di detriti, arrivando persino a muoversi in posizione capovolta, mentre cerca i migliori punti di appoggio da cui praticare le sue attività notturne di ricerca del cibo. Consistenti essenzialmente nel seppellirsi in parte sotto la sabbia dei fondali, con soltanto la testa a emergere al termine del grande collo flessibile, impiegata per ghermire tra le acque i pesci, crostacei e altre creature che passano veloci per l’effetto della corrente. Uno stile di vita ben collaudato e dal poco impatto naturale, sebbene ciò non sia bastante a mantenerlo ragionevolmente al sicuro. Trovandoci in poche parole innanzi, come provato dalla limitata quantità numerica di esemplari incontrati dall’uomo, ad uno dei geomidi più rari, e conseguentemente a rischio critico d’estinzione, di tutta l’Asia e del Mondo…

La tartaruga a tetto (roofed turtle) è animale naturalmente timido ed anche per questo difficile da trovare allo stato brado, senz’altro una delle ragioni principali per cui gli studi biologici condotti sull’argomento risultano estremamente limitati nel corso della storia accademica moderna e contemporanea. Con la prima classificazione avvenuta solamente nel 1870, ad opera del naturalista inglese Thomas C. Jerdon, che ebbe modo d’incontrarne alcuni esemplari durante il suo lavoro come chirurgo militare e naturalista al seguito delle truppe inglesi di stanza nella regione dei Ghat Orientali. Dando il via a una tradizione di ricerca cui potremmo attribuire il gran totale delle notazioni ecologiche di cui disponiamo sull’argomento. il ritratto dipinto fino ad ora della P. sylhetensis incorpora per questo molte caratteristiche della tipica tartaruga di fiume, inclusa la preferenza per le acque a scorrimento rapido, benché risulti attestata anche in zone paludose o laghi a ferro di cavallo, corrispondenti alle sezioni rimaste scollegate dal corso di un grande fiume serpeggiante. Tutti luoghi dove si rifugia e prospera, accoppiandosi primariamente tra i mesi della stagione secca tra ottobre e febbraio, per deporre tra le 6 e 12 uova per coppia riproduttiva all’interno di una piccola buca in prossimità della riva. Occasione in cui è stato possibile notare un significativo dimorfismo sessuale, con i maschi grandi al massimo 10 cm contro la dimensione circa doppia degli esemplari femminili, benché entrambi i generi possiedano la stessa pinna sporgente, spingendo in secondo piano l’ipotesi che possa trattarsi di un tratto di selezione sessuale. Ma piuttosto un’espressione particolarmente sviluppata, di quella forma simile a una chiglia invertita, che tende a presentarsi in varie tipologie di tartarughe fluviali dell’Asia meridionale, possibilmente al fine di aumentare la stabilità e precisione dei movimenti mentre si spostano contrariamente al flusso della corrente. Nella potenziale rete d’interconnessioni genetiche, che dopo un preliminare inserimento nei generi tassonomici di Batagur e Kachuga, ne vide lo spostamento in quello Pangshura creato alla metà del XIX secolo da John Edward Gray, per analogia morfologica con la tartaruga a tetto marrone (P. smithii) e la tartaruga tenda indiana (P. tentoria).
Benché molto più complessa risulti essere, al conservazione della varietà di Assam in uno scenario come quello odierno, soprattutto nell’assenza di normative locali o internazionali, fatta eccezione per l’inserimento dell’indice del CITES per il divieto del commercio, che almeno a giudicare dalla quantità di testimonianze reperibili online e notizie sugli arresti in aeroporto risulta frequentemente ignorato.

Distintiva ed interessante soprattutto in funzione di un singolo tratto fenotipico, la tartaruga in questione è una di quelle creature il cui carisma rischia di risultare insufficiente a suscitare un movimento pubblico per la sua protezione endemica ormai tristemente necessaria. Soprattutto in uno scenario come quello del subcontinente settentrionale, dove il consumo delle carni ed uova di questa tipologia di creature è parte inscindibile del retaggio culturale, per non parlare delle superstizioni folkloristiche secondo cui il guscio degli anfibi appeso in casa dovrebbe agire come un parafulmine per allontanare la cattiva sorte e le malattie. Per cui immaginate voi l’alta desiderabilità che tende suo malgrado a ricevere questa spoglia mortale a forma di triangolo, da un aspetto tanto singolare e proprio per questo, presumibilmente ideale alla realizzazione di tale scopo.
Giacché la salvezza del patrimonio dei geomidi e la loro biodiversità naturale deriva, come ampiamente abbiamo avuto modo di verificare in altri luoghi, dalla diffusa conoscenza di nozioni specifiche e la divulgazione dei singoli fattori in gioco. Il che richiede ingenti fondi ed una lunga quantità di anni, che la piccola tartaruga di Assam potrebbe ormai scorgere soltanto da lontano. Mentre tenta suo malgrado di nascondersi tra gli ultimi recessi delle aree boschive di sua sua esclusiva, ma ormai da lungo tempo declinata competenza.

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