La sensazione tangibile del suono e il passo della Storia. Le voci stesse di quelle persone che, spendendo tempo e denaro, trasformavano il significato della vita nell’effimero momento di un trionfo. Per poi sprofondare, d’un tratto, nell’annientamento della propria stessa essenza e spirito immemore di tanta speme. “Rosso, rosso, se esce nero è la fine.” Oppure: “Solo un’altra mano, sono certo che stavolta non supererò ventuno!” E qualche volta andava bene. Altre no: la fortuna è una Dea che non fa uso della vista. Ma anche i bulbi oculari, come si usa dire, desiderano avere una parte. Ed è statisticamente provato che un luogo attraente, costruito in base a logiche che si richiamano alle proporzioni e la bellezza del mondo, conduce gli uomini a dimenticare se stessi. Spendendo. Ah, se soltanto queste mura potessero efficacemente… Tener fuori il sole di mezzogiorno e la brezza marina? Affermano d’altronde le leggende urbane, risalenti all’inizio del secolo passato, che molti furono i suicidi interconnessi alle vicende dell’edificio costruito in stile Art Nouveau sul Bulevardul Regina Elisabeta, di coloro che annegarono tra le onde o si lanciarono dalle finestre dell’antistante Palace Hotel. Al di là della singola strada più attraente della principale città portuale rumena: Constanța, luogo di viaggio per i nobili di una classe sociale ormai lontana. Dominata, in maniera imprescindibile, dalla figura di un sapiente sovrano.
Quando d’altra parte nel 1910, Ferdinando I diede il suo beneplacito alla costruzione dell’ormai desueta istituzione, essa era già un concetto tutt’altro che nuovo. Per questa piccola metropoli sul confine del mare, ambiente in cui il gioco d’azzardo figurava tra le dominanti attrazioni da oltre un ventennio, attraverso l’esistenza di due precedenti e sfortunati edifici. Il primo risalente al 1880 come un mero padiglione in legno, con due terrazze che spiccavano sulla scogliera all’ombra dello storico Faro Genovese, finché il proprietario Constantin Creangă non lo vide andare in pezzi a seguito di una possente tempesta nel 1891. Subito seguìto dal cosiddetto Cazino Constanța voluto e gestito dalla stessa amministrazione cittadina, che operò per circa una decade da una struttura anch’essa lignea, ma che viene ricordata per il possesso di una certa unicità architettonica ed indubbio fascino visuale. Benché le dimensioni e capienza non fossero probabilmente giudicate sufficienti, se è vero che già nel 1903, un gruppo d’influenti figure locali si misero d’accordo affinché anche la loro comunità potesse usufruire del tipo di palazzo del gioco d’azzardo costruito recentemente a Montecarlo, per volere del Principe Carlo III. Ma fu quella l’inizio di un capitolo, per quanto produttivo, non del tutto scevro di ostacoli sulla realizzazione dell’idea di base…
Che l’architettura potesse rappresentare una funzione collaterale della politica era già lungamente noto nell’Europa dell’Est, ma ciò ebbe modo di palesarsi in maniera particolare tramite le alterne vicende che avrebbero portato all’emersione di questo intrigante edificio. Dal coinvolgimento originario dell’architetto Daniel Renard con uno stanziamento di 70.000 lei per la costruzione delle fondamenta. Ed un progetto fortemente influenzato dal gusto architettonico francese, essendosi detta figura laureata per l’appunto a Parigi nel 1900, dove aveva appreso la professione sotto l’egida di alcuni dei maggiori rappresentanti delle correnti artistiche connesse alla corrente dell’Art Decò. Il che significava, in altri termini, rigettare totalmente il neoclassicismo in voga in quegli anni in Romania, per erigere le proprie mura in base a canoni asimmetrici, eclettici, parzialmente astratti ma con chiaro intento di fare riferimento alla natura. Qualcosa di magnifico e terribile al tempo stesso, per lo meno dal punto di vista di una certa classe politica, che all’epoca si trovava all’opposizione. Ma come sappiamo fin troppo bene lo status quo, in tal senso, non è mai assicurato e nel 1905, con appena il tempo di avviare i lavori, avvenne un capovolgimento delle forze al vertice con l’ascesa di un governo conservatore. Allorché il cantiere venne fermato, l’architetto allontanato ed al suo posto fu coinvolto il celebrato praticante del Neo-Rumeno, Petre Antonescu. Risultato: l’iniziale costo delle fondamenta raddoppiato, mentre nuove tracce venivano disposte per mura rigorose che parevano l’incontro turrito tra un un teatro ed un tempio pagano del Mondo Antico. Sogno pienamente realizzabile, almeno finché soltanto due anni dopo il partito Liberale ritornò al potere, ripristinando Renard alla posizione di preminenza, che decise di rifare nuovamente tutto da capo. Il costo totale ormai aveva raggiunto le svariate centinaia di migliaia di lei, e prima del completamento con tanto di arredi entro il 1910 avrebbe facilmente superato il milione, equivalente a circa otto milioni di euro al conteggio attuale. Il risultato finale presentava splendide vetrate a forma di conchiglia, con vista sulla città e sul mare, una grande sala centrale, due biliardi e 17 tavoli per vari giochi di carte.
Non c’è molto da sorprendersi dunque per lo sfarzo con cui il palazzo venne inaugurato il 10 agosto di quell’anno, alla presenza del Re, del Primo Ministro e del sue vice delle Opere Pubbliche, spendendo magnifiche parole mentre si aprivano le danze aperte all’elite di un intero paese che guardava verso le candide mura con senso di apparente ammirazione. Il successo in termini pecuniari si rivelò fin da subito soddisfacente, benché dal punto di vista architettonico le critiche non si fecero aspettare: in molti, effettivamente, criticarono le linee guida estetiche “immorali” che non riprendevano in alcun modo l’estetica dei palazzi circostanti. Né i percepiti valori tradizionalisti dell’alta società rumena. Il che non impedì la costruzione del prestigioso Hotel Palace, visitato tra gli altri dallo stesso Zar di tutte le Russie Nicola II, soltanto due anni dopo l’apertura nel 1912. Mentre il Casinò veniva dotato di una sala banchetti ed uno spazio per l’ascolto di concerti da camera, soprattutto suonati mediante l’impiego del violoncello. E sembrava che nulla potesse, in alcun modo, frenare l’ascesa di questo sito urbano come meta turistica preferita sull’intera sponda occidentale del Mar Nero.
Almeno finché venti di guerra, nel 1916, non portarono le forze della Triplice Alleanza a bombardare estensivamente il porto strategico di Constanța, danneggiando anche il casinò e costringendo a trasformarlo, essenzialmente, in un ospedale da campo improvvisato. Da quel momento, le antiche sale non vennero più egualmente ripristinate ai fasti di un tempo. Finché nel 1941, durante il passaggio delle forze tedesche, esse non si acquartierarono nell’edificio colpito da ulteriori bombe, prima di procedere verso i loro obiettivi in prossimità della capitale rumena.
Dopo il concludersi dei due grandi conflitti del Novecento, il governo comunista succeduto alla monarchia costituzionale fece degli sforzi per restaurare l’importante punto di riferimento, sfruttando in modo particolare il lavoro forzato di alcuni prigionieri politici, che negli anni ’50 furono costretti loro malgrado a rimettere in piedi mura pericolanti e consolidare i tetti parzialmente crollati. Ma nonostante il breve utilizzo come ristorante, negli anni ’90 il grande casinò viene definitivamente chiuso, in quanto giudicato strutturalmente insicuro. Molti i tentativi, da quel momento, di trovare i fondi per farne qualcosa di utile, come un centro culturale o spazio museale per varie tipologie di eventi. Il cui ultimo e maggiormente costoso, iniziato nel 2020 con uno stanziamento di oltre 18 milioni di euro forniti in parte dalla Banca Mondiale, avrebbe dovuto condurre alla riapertura entro il 2022, ormai in significativo ritardo mentre le impalcature diventano una vista comune sull’ineccepibile scenario del lungomare. Benché le ultime notizie parlino, non senza un certo contagioso ottimismo, di un traguardo probabilmente raggiunto entro la fine di quest’anno, che potrebbe riportare almeno in parte alla rinascita di queste auguste sale. Chi sopravviverà vedrà, come si dice, l’ennesimo lancio del dado inusitato. Che può egualmente condurre al trionfo, piuttosto che alla dannazione finale. Purché l’intento sia sincero. E la mente ferma su aspettative realistiche, evitando per quanto possibile il richiamo del vuoto finale.