È un assioma totalmente giapponese, l’interpretazione del gesto artigianale che può raggiungere sostanzialmente la perfezione. Grazie all’esperienza individuale, soprattutto, ma anche le precise soluzioni tramandate lungo il correre delle generazioni, da maestro ad apprendista, come più importante eredità tangibile di antiche ed importanti linee di sangue (o d’adozione). Proprio per questo è soprattutto nel contesto culturale di quell’Arcipelago, che determinati tipi d’oggetti costruiti raggiungono un livello di nobiltà e costo notevolmente del tutto sproporzionati ai loro contesti d’impiego, soprattutto se connessi a loro volta all’operato di altre personalità sapienti: vedi le preziose forbici da giardinaggio, i pennelli da calligrafia, i coltelli da cucina… E forse proprio questo campo delle lame, più di ogni altro, vede l’utilizzo di singole parti o materiali con un’importanza pari o addirittura superiore al risultato finale, sia nelle modalità di presentarsi che nei materiali utilizzati. Il prezioso acciaio bianco del Giappone, più volte ripiegato come quello di Damasco, laddove parimenti celebrato è il tipo di sostanza frutto di foreste usata per la costruzione dell’impugnatura. Idealmente il frutto di alberi del genere honoki, ovvero appartenenti alla specie Magnolia hypoleuca, con stimate capacità di resistere all’usura e la contaminazione da parte di agenti esterni. Anche se nessuno avrebbe mai pensato, prima dell’ultima mezza decade, che potesse egualmente presentarsi come impervio alle problematiche dello SPAZIO esterno.
È il tipo di notizia che riesce a presentarsi, tra l’ennesimo tragico bollettino di guerra ed il ritorno ad epoche politiche che credevamo ormai accantonate, non mancando di strappare almeno l’ombra di un sorriso da chiunque abbia mai scrutato il cielo con un senso di curiosità ed avventura, l’ambizione a poter vivere nell’epoca in cui finalmente, grandi misteri possano essere svelati a beneficio dell’umanità divisa: l’Università di Kyoto, rappresentata dal suo portavoce e professore di discipline sinergiche spaziali, nonché ex-astronauta Takao Doi, annuncia di aver completato il primo lancio nello spazio di un satellite spaziale costruito principalmente in honoki. Non ancora un colossale apparato per le telecomunicazioni, s’intende, bensì un cubo di 10 cm di lato e non più di 2 Kg creato sulla base delle linee guida del progetto CubeSat, così come delineate nel remoto 1999 dal prof. californiano Jordi Puig-Suari, al fine di permettere a studenti o associazioni di spedire i propri esperimenti fino all’ultima frontiera dei nostri giorni spropositati. Un DADO ligneo, nello SPAZIO, dunque. Possibilità infinite…
L’iniziativa teorizzata per la prima volta nel 2020, da un gruppo di studio sotto la guida di Murata Koji del dipartimento della Foresteria e dei Biomateriali, era stata incoraggiata da una tesi facilmente sostenibile mediante l’impiego del senso comune. Se il legno di particolari piante ad alto fusto è tra i materiali più durevoli e facilmente accessibili al mondo, con le uniche vulnerabilità di marcescenza dovuta all’umidità o incendio in presenza d’ossigeno, non è forse totalmente naturale immaginare il suo ambiente ideale nel grande vuoto che si trova oltre l’atmosfera terrestre? Leggero, resistente, permeabile ai segnali radio. E soprattutto, sostenibile oltre i limiti di qualsiasi sostanza polimerica o elettrosaldata all’interno di un qualche tipo d’industria siderurgica pesante. Il legno, dopo tutto, cresce da solo ed al tempo stesso riesce a farlo riciclando l’anidride carbonica, stabilizzando il suolo, offrendo riparo e conforto alle menti sovraccaricate dalla frenesia dei nostri giorni dedicati alla risoluzione, e costante sovrapposizione d’ulteriori problemi. Tutte doti che tra l’altro rientrano del tutto ragionevolmente nel bagaglio auspicabile per futuri insediamenti sulla Luna o Marte, dove le magnolie potrebbero idealmente un giorno venire coltivate, qualora contingenze in essere dovessero rendere più semplice l’approvvigionamento d’acqua rispetto a quello di sostanze di ben altra rigidità o natura. Ma non tutti i vantaggi delineati in connessione alle logiche del progetto Lignosat creato in collaborazione con la ditta edile Sumitomo Forestry risultano proiettati verso un remoto futuro, come ha spiegato lo stesso Takao Doi nei colloqui avuti con la stampa e televisione internazionali, figurando in posizione preminente tra di essi l’obiettivo di ridurre, quanto prima, una delle tendenze maggiormente problematiche nel contesto dell’esplorazione spaziale dei nostri giorni: il costante aumento della spazzatura orbitale. Quel colossale nugolo di detriti, parti di astronavi, satelliti ormai derelitti, che si aggirano senza una meta e nessun tipo di scopo al di sopra delle nostre teste, complicando le operazioni di manovra per i loro successori. E potendo idealmente ricadere un giorno in luoghi abitati, causando una pletora non del tutto indifferente di potenziali problemi. Laddove la proposta giapponese essendo fatta con un materiale dalla resistenza termica limitata, una volta ritornata a contatto con l’attrito dell’aria vedrà il proprio guscio esterno disintegrarsi totalmente, scomparendo il battito dell’ala di una cosmica farfalla spintasi troppo vicino al Nirvana del pozzo gravitazionale terrestre. Un’immagine, se vogliamo, non del tutto priva della perfezione metaforica di un’ancestrale koan.
Il progetto Lignosat, mirato a riproporre gli originali successi aeronautici nell’uso di parti di albero per la creazione degli aerei all’inizio del Novecento alle sfrenate periferie dei luoghi esplorabili nel nostro tempo, è ad ogni modo ancora agli albori. Con una prima serie di esperimenti condotta in un periodo di 240 giorni nel 2022 a bordo del modulo giapponese Kibo per la Stazione Spaziale Internazionale, atta a dimostrare la capacità di resistenza del legno di magnolia alle radiazioni cosmiche ed il vento solare. Seguita da una raccolta fondi online nella primavera del 2023 di 7.770.000 yen (47.000 euro) per la creazione del cubico Lignosat 1, con un lancio previsto inizialmente per l’aprile di quest’anno ma che è stato finalmente incorporato nel carico di un razzo Space-X soltanto all’inizio del novembre 2024. Cui seguirà il rilascio ad altitudini orbitali previsto, in base alla tabella di marcia, entro l’inizio del nuovo anno. Per restare nello spazio un periodo di esattamente sei mesi, inviando grazie alla strumentazione di bordo dati approfonditi sulla fattibilità futura di questo assoluto cambio di paradigma nella scelta dei materiali. Giacché per scrutare approfonditamente i prossimi capitoli, occorre pensare in grande. Ad astronavi costruite come colossali galeoni dei tempi delle esplorazioni oceaniche, ospitanti piccole foreste pronte a costituire la materia prima delle nuove colonie. Fin lassù dove radici non attecchiscono, da un minimo stimato d’incalcolabili epoche geologiche trascorse. Il che non significa, previ opportuni accorgimenti, che la situazione in essere non possa subire repentine, quanto utili deviazioni.