Le case nate dalla pietra del Mediterraneo e dai primordi della Corsica meridionale

Invadere militarmente un’isola non è sempre o necessariamente un’impresa facile, soprattutto quando è ricoperta da una fitta vegetazione di 2.500 specie vegetali differenti, offrendo innumerevoli recessi per nascondersi a forze popolari motivate a mantenere l’indipendenza. Lo scoprì molto presto la Francia, dopo l’acquisizione nominale della Corsica a seguito del trattato di Versailles del 1768, come pagamento dei debiti contratti dalla Repubblica di Genova, ormai da molti anni in declino. Ma soprattutto, prima della decisiva e inevitabile battaglia di Ponte Novu dell’anno successivo, il superiore, più attrezzato esercito dell’Europa continentale si sarebbe scontrato con l’intraprendenza della milizia messa assieme dal Padre della Nazione e generale Pasquale Paoli, lo statista corso, patriota ed avvocato che aveva costruito verso la metà del XVIII secolo una delle costituzioni più democratiche e progressiste di tutta Europa, liberamente basata su quella Inglese. Ma la guerra nelle decadi a venire, secondo molti abitanti del posto, non sarebbe mai finita, mentre conducevano scorribande e attacchi con tecniche di guerriglia a partire dalle loro basi nascoste tra i rilievi dell’entroterra. All’interno di fattorie, caverne e la perfetta via di mezzo tra le due cose: l’abitazione tradizionale, di manifattura preistorica ma migliorata ed attrezzata proprio alle soglie del secondo secolo Moderno, nota localmente come oriu; una visione che potrebbe aver ispirato de Lo Hobbit tolkeniano, le rivedute leggende fantastiche sugli gnomi o ancora l’invenzione successiva dei Puffi, da parte del fumettista francofono Peyo. Principalmente concentrate nella parte meridionale del territorio isolano, come potenziali resti di una società del paleolitico di cui sappiamo poco o nulla, queste costruzioni (al plurale, orii) costituiscono l’esempio di uno sfruttamento di condizioni geologiche particolari, quelle in grado di condurre al processo noto per antonomasia come “tafonizzazione”. Un’erosione a nido d’ape di corpi rocciosi indivisi, in cui l’effetto combinato di vento, pioggia e la penetrazione delle acque all’interno di microscopiche fessure causa l’erosione di pietre come il calcare a partire da singoli fori che si allargano, costituendo l’equivalenza paesaggistica del formaggio svizzero Emmentaler. Offrendo cavità che agevolmente lavorate, grazie all’impiego degli attrezzi in selce dell’Era tecnologica clactoniana, potevano essere ingrandite e trasformate in accoglienti spazi ove trovare un qualche tipo di rifugio dagli elementi, o mettere al sicuro i propri beni maggiormente preziosi. Da cui l’etimologia ritenuta maggiormente probabile per il termine sopracitato, che potrebbe provenire dal latino horeum – granaio. Una funzione ormai da lungo tempo dimenticata ai tempi dell’irredentismo corso, quando la maggior parte degli orii era impiegato come rifugio dalla nuova società pastorale. E quando necessario, base operativa per coloro che intendevano difendere con la spada e le armi da fuoco i meriti di quell’ideale stile di vita…

Sopra: Munacia d’Auddè All’inizio: Oriu di Grossettu

Sottoposti a studi archeologici limitati nel corso degli anni, quasi come se l’isola che avrebbe dato i natali a Napoleone ci tenesse a mantenere il proprio alone di mistero ed inspiegata unicità culturale, la maggior parte degli orii si trovano in luoghi abbastanza isolati da impedire una loro facile contestualizzazione o cronologia, ancorché l’ipotesi maggiormente probabile vede quelli più antichi risalire all’epoca immediatamente successiva all’ultima glaciazione, costituendo l’espressione dei veri nativi dell’isola, lungamente antecedenti all’insediamento di genti fenice durante l’Età del Ferro. Dimostrando anche la lunga evoluzione di una tale prassi abitativa, dai primi e più rudimentali eremi alla costruzione di vere e proprie fortezze, in larga parte andate perdute, dotate di mura ed alti torri difensive, mostrando già nella Preistoria la necessità di considerare aspetti bellici nella costruzione degli insediamenti locali. Il tutto in un contesto, come quello del famoso sito megalitico di Filitosa datato attorno al terzo millennio a.C, entro cui la costruzione di dolmen, menhir e statue antropomorfe costituiva un qualche tipo merito per una classe clericale o regnante, così come lo scavo delle opportune necropoli sotterranee destinate ad ospitare i loro defunti. Ma già successivamente alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, i discendenti dei Corsi avevano in un certo senso abbandonato i loro ancestrali trascorsi, con il ruolo di religione dominante trasferito al Cristianesimo e una lunga serie di nozioni folkloristiche connesse al lascito tangibile dei propri predecessori. La stessa Filitosa sarebbe dunque diventata nei secoli a venire campu guardatu (il luogo proibito) mentre le locali costruzioni di pietre sovrapposte furono case di l’Orcu o stazzona di u Diavolu, mentre alle località con tombe semi-sotterranee venne associata l’espressione di cimiteri d’i Turchi o i Mori, una terminologia mirata a sanzionarne la natura di luoghi costruiti dagli infedeli. Caso a parte, di lor conto, costituirono gli orii, semplicemente troppo utili come rifugi perché potessero venire lasciati privi di un’utilizzo. Ai secoli XVI e XVII si può individuare, dunque, un tentativo di recuperarne l’impiego tramite l’installazione di pareti in muratura, spesso a secco, nelle aperture delle più spaziose case trogloditiche, talvolta trasformate in veri e propri simboli delle rispettive regioni d’appartenenza. Particolarmente celebre risulta essere, ad esempio, il caso dell’oriu di Canni non troppo lontano da Porto Vecchio, sormontato dalla caratteristica roccia appuntita, rimasto proprietà di una singola famiglia da un periodo stimato di 250 anni, durante cui venne attrezzato di forno per la cottura, finestre, una porta ed un secondo piano completo di vera e propria camera da letto. Tra gli altri orii maggiormente caratteristici figura quindi quello “doppio” di Grossettu, tra Munacia e Sarraghja, dotato di doppio ingresso costruito all’uomo e sormontato da una letterale calotta di pietra a forma di fungo, probabile parte di un pre-esistente macigno errante. Di notevole importanza per il patrimonio è anche il cosiddetto sentiero di Munacia d’Auddè, un itinerario percorribile a piedi ove figurano numerose magioni scavate nella pietra viva risalenti in un’epoca che è proseguita fino al tardo mesolitico, millenni dopo convertite a luoghi di risposo e sosta durante i periodici spostamenti pastorali dell’alpeggio e della transumanza. Un’ulteriore prova pratica, del tutto palese a chi ha spirito d’osservazione, della capacità di adattamento ed operosità delle genti corse.

Sito archeologico di Filitosa

E per anni continuarono a combattere, nascondendo i fucili e la polvere all’interno delle antiche pietre, convinti del diritto ad un’indipendenza che nessuno, nell’Europa dei grandi imperi, avrebbe mai potuto immaginare di lasciargli ottenere. Finché lo stesso Pasquale Paoli, nel 1795, non dovette fuggire in esilio verso l’Inghilterra, dove sfruttò la sua grande eloquenza e capacità dialettica per testimoniare la questione corsa tra gli intellettuali londinesi, continuando a sostenere quegli stessi ideali che erano stati alla base della Rivoluzione Francese. Un sogno naufragato dall’ascesa di colui che, tra tutti, si sarebbe trovato nel posto giusto al momento sbagliato, proprio a causa di una concatenazione stocastica degli eventi intercorsi. Giacché se la Corsica non fosse stata venduta un secolo prima dai genovesi prossimi al fallimento, il probabile maggior stratega della storia non avrebbe mai avuto una cittadinanza francese. E chi avrebbe mai potuto guidare le implacabili bocche da fuoco, con paragonabile successo, fino alla rinascita autocratica di un miglior concetto di “grande” Nazione?

Oriu di Canni

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