A me lo scheletro dell’Universo, disse il meccanismo dell’orologio

“Basta complicazioni!” Sulle argute vette dell’ignoranza, oltre le incolte valli della sapienza, il saggio si rivolse all’Infinito, lamentando il fondamentale fallimento dell’uomo. Le incomprensibili rivoluzioni degli astri. L’inarrestabile entropia dei momenti. “Ogni teorema, qualsiasi calcolo è del tutto vano. Manca la stasi in essere nella natura. Tutto scorre.” Come sarebbe mai possibile nello stato dei fatti vigente, cristallizzare il cambiamento… Così MAI disse il Dio demiurgo, o supremo essere creatore di conflitti, quando mise in moto la perpetua concatenazione delle cause ed effetti. E neppure, all’interno del proprio laboratorio, colui che impugna pinze per piegare molle negli alloggiamenti appropriati. Il praticante delle tecniche dell’orologio, la piccola macchina che come nel ripetersi di un disegno frattale, prende quella grande, per ridurla in termini del tutto incamerabili all’interno di un singolo sguardo. Ma “grande” e “piccolo”, se noi vogliamo, costituiscono dei termini del tutto relativi. Il che permette a pieno titolo di rimanere affascinati, colpiti, persino storditi dalla perizia cui hanno dato forma, nel lungo periodo di oltre 12 anni, la visione e l’ambizione di un uomo. Assieme a molti pagamenti, verso un marchio che voleva vivere o trionfare unicamente sulla forza delle proprie opere create su commissione. Mark Frank è il nome di quel mecenate, imprenditore immobiliare della zona di Chicago, nonché collezionista (e venditore) di orologi storici, moderni, contemporanei. La cui casa è un incubo dai molti ticchettii, per chi è dannato da un’udito ahimé troppo sensibile, ma anche il sogno di chi ama le macchine e vederle costantemente in funzione. Un principio se vogliamo che si trova pienamente realizzato, più che mai prima d’allora nella storia di quest’uomo ed innumerevoli altri, nella sua grande opera e fondamentale dono all’indivisa collettività pulsante; un’opera che prende per l’appunto il nome di Astro Skeleton Clock, dal peso di 300 Kg e dimensioni paragonabili al busto di un’intera persona. Poiché tre, erano i concetti cardine anteposti agli altri nel proporre la creazione del progetto, al costruttore australiano di Chelmsford (Bowral) noto alle cronache unicamente con l’appellativo familiare e marchio di Buchanan: dimensioni, movimento e complessità. Sostanzialmente i singoli pilastri più importanti di qualsiasi orologio. Per creare il magistrale segnatempo più complesso di ogni altro (o quanto meno, la maggior parte?) Tecnologia analogica ingegnerizzata fino alle sue più estreme conseguenze. Questo è l’oggetto, difficile negarlo, più improbabile ed impressionante dell’intera sezione orologistica di YouTube…

Risultato di una passione è intento generativo più che decennale, il processo che ha portato ad una simile Esistenza è largamente documentato nel dettagliato sito-blog, tecnicamente una vera e propria home page alla vecchia maniera, del mai approssimativo o meno che scientifico Mr. Frank. Una personalità energica e ricca di dedizione, nel perseguire quello che potremmo definire il più stratosferico coronamento di un hobby personale: stabilire innumerevoli record del mondo allo stesso tempo, senza che mai nessuno, in un ambito così desueto e tradizionalista, si preoccupi davvero di prenderne atto. Fino ad ora. Giacché l’Astro Skeleton, come denuncia il nome puramente descrittivo e scevro di alcun tipo di leziosità creativa, si colloca come esponente di una tradizione più che secolare, nata primariamente all’apice dell’Era Vittoriana inglese. Quando nel XIX secolo, nell’area di Clerkenwell vicino Londra, diversi produttori di orologi cominciarono a impiegare componenti traforati, diafani e per quanto possibile incompleti, così da permettere all’osservatore di scrutare l’effettiva ingegnosità del meccanismo interno. Era il concetto dello scheletrato (termine tecnico) un tipo di macchina impiegata al fine di segnare il tempo in cui ogni concatenazione d’ingranaggio, leve e ruote fosse pienamente esposto. A ipotetico vantaggio del pubblico ludibrio e l’altrettanto collettivo accrescimento nozionistico eminente. Per molti anni, questa sostanziale perversione del puro utilitarismo dell’orologio del nonno, trasformato in dedalo difficilmente comprensibile ai non iniziati, venne relegato al campo degli appassionati e pochi altri eletti in grado di comprenderne l’occulto significato, almeno finché la filosofia della maggioranza non giunse a comprendere istintivamente che forma e funzione sono la stessa identica cosa. Giacché ogni cosa che risolva un problema riesce ad essere, nella maggior parte dei casi, altrettanto bella.
Ecco dunque il “mostro” di Frank/Buchanan, uno scheletrato diverso da qualsiasi altro costruito prima del suo anno di completamento, il 2022 e che probabilmente tale resterà ancora per molte generazioni a venire. Frutto di un fortuito incontro, verificatosi nel 2003 presso l’officina del costruttore/riparatore australiano, dove l’ambizioso collezionista di Chicago ed un suo amico si erano trovati a portare alcuni orologi di propria proprietà per una revisione. Finché non appresero di come l’attuale depositario di una tradizione nata proprio a Londra, e da lì emigrata in Sud Africa e le attuali regioni ancor più remote del continente australiano, fosse stato lungamente intenzionato ad intraprendere un progetto a lungo termine. Da che, l’idea. I disegni preparatori di Mark Frank, connotati e migliorati lungo i molti anni di elucubrazioni, parlavano d’altronde di un qualcosa che ben pochi avrebbero potuto immaginare di costruire. La convergenza, del tutto spropositata, di oltre una settantina di meccanismi quasi pienamente visibili, tra cui quelli quasi scontati di ora, giorno, mese ed anno. I meno facili da realizzare per le fasi del nostro satellite, le stagioni, gli orari di alba e tramonto. E quelli del tutto spettacolari, come un planetario completo fino a Saturno (con orbite precise) fatto di gemme semi-prezios; il ciclo delle costellazioni nel cielo notturno; un accurato tellurio per i moti del sistema Sole, Luna e Terra… Fatti muovere grazie a numerose soluzioni create ad hoc, come l’accorgimento che lo stesso Frank denomina, nelle sue numerose trattazioni documentali, come Buchanization, in cui l’ingegnere ha previsto ingranaggi della dimensione esatta necessaria ad incastrarsi nelle concatenazioni dei meccanismi, piuttosto che una convergenza di singoli elementi interconnessi tra loro.
Senza dimenticare, naturalmente, la roboante suoneria formata dalle tre campane magne ai lati del magistrale assemblaggio. Per la massima felicità, difficile mancare di pensarlo, degli eventuali co-abitanti, ospiti o inquilini dell’attuale residenza dell’implemento.

Parlando della quale, un episodio a parte è dedicato nella cronistoria di quel proprietario proprio alla consegna di un’oggetto tanto delicato ed imponente. La quale sembrerebbe aver richiesto, prevedibilmente, la partecipazione di multiple società specializzate e l’implementazione di soluzioni complesse, affinché una tale convergenza di apparati potesse attraversare (ragionevolmente) integra i due oceani tra il Nuovo, ed il Nuovissimo dei continenti. Una missione quasi impossibile e capace di colpire a pieno l’immaginazione di chiunque, appassionato di antiquariato o grandi opere d’arte, ne abbia praticato mercificazione nella pura e vera epoca della logistica globalizzata e tutto ciò che questa comporta. Un’ulteriore prova, se vogliamo, che digitalizzare o connotare grazie all’uso di tecnologie moderne e impersonali non contribuisce sempre a rendere più semplice la nostra esistenza. Almeno quanto riesce a farlo di suo conto, l’osservazione pratica delle cose che succedono in diretta. Anche se ridotte, o scorporate, nel mero funzionamento reiterato dei meccanismi.

Lascia un commento