Assoluta unità d’intento, metodo e utilizzo è una locuzione che non riesce a contenere totalmente la portata di un complesso di questa natura. Dotato di una configurazione che può essere soltanto giudicata come totalmente aliena: due parabole perpendicolari al suolo si ergono dai lati della strada presso vie di scorrimento ai margini del più importante polo elettronico e industriale della Cina meridionale. Simili a piume dalla geometria simmetrica, le pareti circondano un atrio con la forma vagamente triangolare, o per dare continuità al tema, il becco di un volatile di proporzioni gargantuesche. Sulla linea dello skyline, dunque, una ghirlanda di raggi metallici formano la “cresta” dell’animale, che assomiglia di suo conto alla cassa toracica di un dinosauro dimenticato dal tempo… Elementi discordanti! Come molti altri nella pletora di forme che si affollano nel lotto quadrangolare; tra cui l’arco di una conchiglia (forse un auditorium?); un ellissoide avvolto dai suoi stessi frattali; le casupole biomimetiche in sequenza, simili alle zampe di un crostaceo del Pleistocene. Eppure non ci sono dubbi, da ogni punto di vista rilevante, che il campus della Marisfrolg, completato nel 2023 dopo oltre 13 anni di lavoro, sia dotato della magica scintilla di una singola creatura vivente. E paia in grado di sollevarsi, come il mecha di una serie animata degli anni ’80, per mostrare al mondo ciò di cui è capace.
Come fatto a suo modo nell’ormai remoto 1993 da Zhu Chongyun, l’abile imprenditrice oggi a capo di un conglomerato multinazionale, i cui principali obiettivi strategici si concentrano esclusivamente nel suo paese. Ragion per cui, probabilmente, il suo nome affiora nella percezione d’Occidente non prima dell’acquisto, nel 2014, dello storico marchio italiano Krizia direttamente da Maria Mandelli, che si dice avesse individuato nella self-made woman asiatica una figura degna di ereditare i meriti del suo lungo lavoro. Un passo compiuto in parallelo, guarda caso, all’approvazione dei piani per la costruzione del nuovo quartier generale, qualcosa in grado di riecheggiare dello spirito del proprio intento, al punto da trovarsi a figurare, successivamente, in tutti i materiali di marketing e come biglietto da visita sul sito stesso della grande azienda. Merito di Antoni Gaudí, che l’ha chiaramente ispirato, e soprattutto merito dello studio neozelandese Architecture van Brandenburg, cometa “imprevista” responsabile di una così straordinaria concentrazione di giovani talenti, sotto l’egida del fondatore di origini sudafricane Fred van Brandenburg, che individua nella sua carriera due fondamentali punti di svolta: il momento in cui, nei tardi anni ’80, decise di emigrare con la sua famiglia da un paese dominato dai falsi valori dell’apartheid. E quando nel 2004, durante un viaggio di piacere, si trovò a visitare di persona il parco Guell di Barcellona, sul versante meridionale del Monte Carmelo. Uno dei capolavori di colui che, già nel tardo XIX secolo, aveva capito i meriti di sfidare la convenzione alla ricerca di uno stile dialettico capace di attraversare le generazioni. Ispirandosi direttamente alle infinite meraviglie della natura, piuttosto che costruire grigi e ripetitivi edifici senza un cuore…
Segue nella biografia dell’autore un periodo di rinnovamento, nella seconda fase della propria vita, quando tra i 60 e 70 anni ritorna più volte nella capitale della Catalogna, per sedersi a colloquio con un professore d’ingegneria del Politecnico, Juan Bassegoda Nonell. Allorché i due, in una manciata complessiva di ore, riescono ad elaborare una nuova strada evolutiva per lo stile del neozelandese “fulminato” sulla via del modernismo europeo. Ciò che ne risulta, è una completa riprogettazione della dimora privata a cui stava lavorando in quel momento, subito accolta con entusiasmo dal committente, che gli permette di scoprire come l’adozione di buoni metodi permetta non soltanto di creare qualcosa di originale, ma anche risparmiare sulla spesa complessiva, raggiungendo vette precedentemente inesplorate. E pesate quanto alte, qualora il budget non conosca chiari limiti come nel caso di questo edificio record nel più vasto paese dell’Asia Orientale. L’incontro avvenuto con la Sig.ra Zhu all’inizio degli anni 2010, mirato a progettare il biglietto da visita tangibile e monumentale dei suoi molti marchi, resta colpito non soltanto dal creativo ma il suo stesso processo, che lo vede utilizzare estensivamente la sperimentazione manuale proprio come in una casa di moda. In uno studio dove sei giovani architetti o “discepoli”, lasciati liberi d’improvvisare, costruiscono modelli in scala del progetto desiderato come si trattasse di una scultura, poiché come ama ripetere lo stesso Branderburg: “Se non potete costruirlo con le vostre mani, non potranno certamente farlo a dimensioni reale.” E che scala: con i suoi 190.000 metri quadri d’estensione, sufficienti a classificarlo come la più grande partecipazione ad un progetto asiatico da parte di uno studio d’architettura neozelandese. Un perimetro cui si entra idealmente attraverso l’atrio, con una sala dell’altezza di 35 metri circondato da un laghetto longilineo, sotto cui è posizionato il parcheggio sotterraneo dell’azienda. Per poi proseguire nelle gallerie espositive dei capi della Marisfrolg, oltre cui il visitatore può raggiungere un solarium e l’area di ristorazione del complesso. Ma è oltre quest’ultima che la magia si compie, vista la collocazione in situ degli uffici propriamente detti, coadiuvati da una torre d’osservazione, un giardino sopraelevato di 400 metri quadri di estensione e la boutique di sartoria per i capi di maggior pregio. Permettendo di comprendere come il campus rappresenti, ben più che una semplice dimostrazione di stile, l’effettiva convergenza di diverse sedi decentrate alla stessa maniera messa in pratica dall’asettico anello di Apple a Cupertino. Benché i metodi e finalità collaterali, a tale obiettivo di fondo, non potrebbero allontanarsi ulteriormente.
Non è perciò del tutto priva di fondamento, la definizione di strutture come queste come l’ultimo baluardo contro la progettazione digitale che vede il computer come fondamento stesso dell’intento creativo, piuttosto che un singolo strumento tra molti, capace di proiettare ed adattare alle diverse circostanze la visione del pensiero umano. Laddove non c’è intelligenza artificiale che possa elaborare qualcosa di totalmente nuovo, senza il fondamento di un intero repertorio d’opere passate, trasformate e digerite in un continuum mai davvero privo di continuità e contesto. Andando a limitare il senso stesso ed il significato dello spirito dell’arte contemporanea applicata ad un certo tipo d’architettura, in cui ogni parametro dovrebbe nascere da un sentimento, piuttosto che basarsi su aridi ragionamenti di convenienza. E non è forse proprio questo l’effettivo spirito che guida anche le scelte di business all’interno di un settore dove l’eleganza è tutto? Dove gli uccelli non decollano, senza disporre prima di una meta rilevante. Oltre a miglia da vendere, nella riserva degli stomaci ricolmi d’ambizione e corpi chitinosi che si avvolgono su loro stessi.