Il diamante disegnato sullo schermo dei radar, generalmente, non va interpretato in senso letterale. Semplice figura in un diagramma destinato a rappresentare un velivolo in avvicinamento, senza informazioni inerenti in merito alla sua direzione di spostamento, esso sottintende ali perpendicolari a una carlinga longilinea. Salvo casi limite dalla probabilità estremamente remota di presentarsi; immaginate dunque la sorpresa di un ipotetico avversario del nostro futuro presente; alle prese con un contatto destinato a rivelarsi, al suo contatto visivo, con la forma di un letterale rombo volante. E appena il tempo di pensare “UFO!” Prima di udire il suono che indica l’aggancio da parte di un radar di tracciamento per l’ingaggio ravvicinato…
La lezione che possiamo trarre dagli eventi del primo secolo dell’aviazione, nonché l’ulteriore quarto trascorso dall’inizio del secondo, è che non esiste spinta maggiore al progresso tecnologico in questo campo, che la necessità di primeggiare in un conflitto armato, sia materialmente incombente che soltanto prospettato in via teorica nelle simulazioni dei comandi maggiori. Così all’inizio degli anni ’80, con l’emersione nel teatro della guerra congelata di nuove minacce quali gli agili Mig-29 e Su-27 sovietici, l’aviazione statunitense iniziò a nutrire dubbi sulla possibilità di mantenere di un’effettiva posizione di preminenza utilizzando ciò che era, da soltanto mezza decade, il loro principale jet intercettore adibito alla superiorità aerea: l’ottimo, ma relativamente convenzionale F-15 della McDonnel Douglas. Ciò che ebbe modo di scaturirne fu il cosiddetto ATF (Advanced Tactical Fighter) uno dei progetti ingegneristici più impegnativi e costosi di tutti i tempi, da cui sarebbe scaturito l’avveniristico strumento di battaglia capace di sovvertire totalmente le proiezioni d’ipotetici duelli ad alta quota. Ma molto prima che l’iconico F-22 Raptor potesse essere prodotto in serie, un traguardo destinato ad essere raggiunto non prima del 1996, i principali fornitori delle forze armate statunitense avrebbero fornito in risposta al concorso d’appalto circa due dozzine di proposte divergenti tra loro, sostanzialmente alla convergenza di quattro qualità fondamentali: l’aereo del futuro sarebbe stato economico/rapido da produrre; capace di mantenere la velocità supersonica per lunghi periodi; dotato di un basso profilo radar; pensato per ingaggiare il nemico con missili a lungo raggio, ad altitudini e velocità elevate. In un tripudio di forme e soluzioni tecniche, entro l’ottobre del 1986, l’istituzione diventata nel frattempo nota come SPO (Systems Program Office) giunse a selezionare le due aziende finaliste sulla base di una lunga serie di fattori, ma strizzando l’occhio soprattutto all’esperienza pregressa nel cosiddetto black world, il settore dei mezzi da combattimento invisibili ai radar. Il che giunse a mettere a confronto le rispettive proposte della Lockheed e della Northrop. La prima, con l’YF-22, qualcosa che già presentava le linee estetiche e funzionali dell’aereo destinato ad essere il coronamento di un così notevole dispendio di risorse ed ingegno umano. L’altra, grazie all’YF-23, apparentemente guidata da visione e finalità operative nettamente distinte. Tali da lanciare nei cieli di questo periodo sperimentale, una singolare interpretazione del concept di un jet da combattimento, che non si era mai vista prima. E che ancora ad oggi, resta totalmente priva di un termine di paragone…
Nell’ideale confronto prestazionale tra i due velivoli dunque, da sempre utilizzata come chiave di lettura dell’intera questione, emergono visioni simili ma concepite per dare priorità a fattori distinti. Laddove l’YF-22, dotato di ugelli per la spinta direzionale, era capace di manovre molto più ambiziose e pericolose di qualsiasi altro bimotore appartenente alla sua categoria. Mentre l’YF-23, con soluzioni di tipo convenzionale nella proiezione della sua energia di spinta, puntava tutto sulla sua velocità maggiore e la capacità di restare il più a lungo invisibile all’individuazione da parte dei radar nemici. Il che aveva portato gli ingegneri della Northrop, in aggiunta all’utilizzo comune alla stragrande maggioranza degli aerei del progetto ATF di materiali compositi e linee aerodinamiche elaborate a partire da complesse simulazioni informatiche, all’implementazione di soluzioni strutturali prive di precedenti. Da qui l’idea di mettere in campo le ali triangolari dalle proporzioni ingannevoli, con appena 13 metri di apertura ma ben 88 di superficie complessiva, in abbinamento ad una doppia coda inclinata ad un angolo di 50 gradi. Una disposizione delle superfici portanti tale da impedire sostanzialmente l’utilizzo di meccaniche di volo convenzionali, portando all’impiego di elevoni all’interno di quest’ultima (con attuatori omni-direzionali capaci di agire su beccheggio, rollio e imbardata) in abbinamento ai cosiddetti “flaperoni”, delle sezioni d’ala, finalizzati ad incrementare la velocità di rollio ed al tempo stesso, quando necessario, favorire la portanza a bassa velocità dell’aereo. Laddove un’attivazione in senso contrario dei due sistemi avrebbe agito come freno aerodinamico, facilitando ulteriormente le manovre di atterraggio. Molto più tradizionalista, di contro, l’aspetto propriamente tecnologico interno al modello preliminare, con parti prese in prestito da F-18 ed F/A-18, in concessione ai stretti tempi e budget condiviso in parte con la Lockheed per il grande confronto finale. Lo scopo in tale fase risultava, in effetti, mettere primariamente alla prova il telaio di volo, assieme alla fattibilità delle soluzioni aerodinamiche concepite dalle contrapposte aziende, ragion per cui entrambi gli aerei concorrenti erano privi di avionica e sistemi d’arma, benché avessero già previsto spazi finalizzati a contenerle un giorno, nei loro simili alloggiamenti “invisibili” sotto la carlinga dei rispettivi aerei. Data la sua configurazione atipica, come potrete facilmente immaginare, l’YF-23 sarebbe stato inerentemente instabile e difficilissimo da pilotare, senza l’essenziale sistema di controllo fly-by-wire dotato di computer di assistenza, dotazione irrinunciabile data l’instabilità dei vettori ad alta manovrabilità della guerra moderna. Ma gli ingegneri di Norhtrop andarono anche oltre, aggiungendo alla cabina un’innovativa manetta di potenza, capace di ricevere l’input della “velocità desiderata”, piuttosto che la mera quantità di spinta richiesta dal pilota. Accorgimento ritenuto necessario per la facilità con cui entrambi i prototipi costruiti, uno dotato di motore Pratt & Whitney e l’altro General Electric, tendevano a scattare innanzi allo spostamento millimetrico dei comandi volo. Stiamo in effetti parlando, senza ombra di dubbio, di uno dei velivoli da combattimento più veloci di tutti i tempi, dimostratosi capace di raggiungere la velocità di Mach 1.72 il 29 novembre del 1990; benché il limite massimo in tal senso sia probabilmente molto superiore, risultando ancora oggi coperto dal segreto militare statunitense. Un aneddoto interessante coinvolge infine la storia operativa del primo dei due esemplari prodotti, soprannominato Vedova Nera per il profilo ad otto lobi che sembrava avere nella propria impronta radar (l’altro era il “Fantasma Grigio”). Narrano infatti gli addetti alla preparazione al decollo di come, dopo aver urtato più volte la testa contro un’appuntita presa d’aria situata nella parte inferiore, decisero autonomamente di aggiungervi un doppio triangolo rosso per facilitarne l’avvistamento. Marchio del tutto simile, forse non casualmente, a quello presente sul ventre della femmina del genere Latrodectus, il più stereotipico e conosciuto degli aracnidi potenzialmente letali al mondo. Ma fu ben presto rimosso, non comparendo più nell’esemplare in questione, custodito ed esposto presso il Western Museum of Flight di Zamperini in California, mentre l’altro si trova nelle sale del Museo nazionale di Dayton, Ohio.
Perché, dunque, la proposta di Northrop sarebbe stata infine battuta dall’YF-22 dell’azienda rivale? Ci sono diversi fattori da considerare. Al punto d’arrivo di un’investimento pluri-decennale di molti miliardi di dollari (se ne stimano circa 691) l’SPO era prevalentemente preoccupato di poter presentare al Congresso un’arma versatile e predisposta al perfezionamento futuro. Esistono teorie, inoltre, secondo cui la stessa capacità dialettica e di presentazione del progetto della Lockheed sarebbero state superiori, mostrando un’idea più approfondita di come il prototipo avrebbe potuto in seguito trasformarsi in aereo da produrre in centinaia, se non migliaia di esemplari. Il che ci avrebbe portato, alla soglia degli anni 2000, fino all’F-22 Raptor che tanto bene sapremmo riconoscere, a partire dal profilo classico del suo perpendicolare paio d’ali. E che nell’opinione del senso comune, resterebbe ancora oggi il più efficace latore di superiorità nel dipanarsi di un’ipotetica battaglia volante. Fatto salvo per tutte quelle possibilità alternative, probabilmente già in corso d’opera, da cui il velo del segreto di stato non è stato ancora indotto a sollevarsi. Nella prospettiva di un mondo incombente, in cui ciò che era da sempre freddo, parrebbe sempre più incline ad un possibile riscaldamento finale.