Un fremito nella penombra, un ticchettio sommesso. Le zampe che si muovono veloci e senza posa, per permettere alla testa d’inseguire il suo bersaglio: cibo, fame, ora di mangiare. Non c’è quiete nella vita del pachiuro; nato sotto il segno dell’argento vivo, quindi alleggerito dal peso poco necessario di quel metaforico metallo. Fino ad 1,8 grammi di media, la cifra sufficiente a contenere cuore, uno stomaco, un cervello. E cos’altro serve, a questo mondo, per prosperare? Un sistema riproduttivo, naturalmente. Che nel presente caso è la diretta risultanza di un sentiero particolarmente familiare. Ma che al tempo stesso appare fuori luogo, nel contesto cui appartiene quel minuscolo animale. Nessuno aveva mai sentito dire, d’altra parte, di un mammifero più piccolo di un’ampia quantità d’insetti. Prima che il pisano Paolo Savi, naturalista del XIX secolo, giungesse finalmente a classificare una creatura al tempo stesso pervasiva e assai difficile da catturare. Questo perché il Suncus etruscus, anche detto mustiolo o toporagno, ha un metabolismo tanto rapido da necessitare di nutrirsi ogni due ore, per un totale di 1,5, 2 volte il proprio peso corporeo nel corso di un singolo ciclo di 24 ore. Con la conseguente capacità di percepire il pericolo a una rapidità impressionante, per poi correre a nascondersi all’interno dei recessi più angusti. Spazi e intercapedini non solo parte dei paesaggi naturali, ma anche e soprattutto conseguenti dello stile di vita umano, come fessure tra i muri, cumuli di materiali ed ovviamente, gli oggetti che ingombrano dispense ed altri gastronomici recessi ove a nessuno, giammai, vorrebbe capitare d’individuarlo. Risultato preventivo che si ottiene, nelle sue particolari strategie, non tanto grazie alla vista tutt’altro che formidabile, né l’olfatto che risulta più che altro utile durante la caccia di artropodi come le formiche, vermi, gechi ed altre prede che compongono la sua dieta, bensì l’innata dote di riuscire a percepire le più insignificanti vibrazioni, attraverso le vibrisse minori e maggiori che si trovano lungo l’intero perimetro del suo agile corpo. Un vantaggio particolarmente funzionale, alla navigazione in stretti snodi e l’individuazione al loro interno di uno slargo da impiegare con funzione di nido, trattandosi di specie poco predisposta al movimento della terra. Così che creature di siffatta stirpe tendono a fare la propria comparsa momentanea, prevalentemente nelle ore notturne ma non solo, mentre corrono a velocità notevole da un punto sicuro ad un altro sperando di sfuggire all’occhio dei loro predatori più temuti: i gufi ed altri rapaci. Perciò anche la loro cattura da parte di amichevoli mani di scienziato, potrete facilmente immaginarlo, non è certo semplice da portare a coronamento…
Notevole ma ciononostante poco studiato rappresentante della famiglia dei soricidi o “veri” toporagni, il mustiolo presenta una distribuzione geografica che ne vede la maggiore concentrazione attorno al bacino mediterraneo, con popolazioni isolate in grado di comparire in luoghi remoti come la Turchia, la Tanzania, l’India e persino la Malesia. Ovunque, insomma, dove la temperatura non scenda mai in maniera significativa sotto gli zero gradi, il che porterebbe quasi subito questi animali alla morte per assideramento, così come piogge eccessive potrebbero portarli all’annegamento. Il che ne fa degli animali di tipo termoxerofilo, ovvero adattati ad un clima caldo e secco, ove lungamente hanno prosperato, anche a discapito di creature molto più grandi e capaci di proteggere loro stesse. Al punto che i toporagni attuali del genere Suncus, in particolari ambienti del mondo accademico, vengono considerati gli attuali discendenti più prossimi dell’antico mammifero primordiale, ovvero la prima creatura ad essere dotata di un utero e ghiandole finalizzate all’allattamento. Senza neppure far menzione come il recente ritrovamento di fossili in Brasile, appartenenti alla specie Brasilodon quadrangularis, abbiano permesso di far risalire la suddetta configurazione evolutiva fino all’inizio dell’epoca del Triassico, corrispondente a circa 225 milioni di anni fa; 20 milioni prima del secondo mammifero più recente noto al campo della paleontologia.
Chiamati per antonomasia toporagni dai denti bianchi, i più vicini parenti del mustiolo etrusco riescono dunque ad occupare una particolare nicchia ecologica la quale, in un modo o nell’altro, parrebbe aver continuato ad esistere attraverso mutamenti pressoché totali dell’ecosistema terrestre. Colpisce a questo punto il fatto che si sappia tanto poco del loro particolare approccio riproduttivo e l’allevamento dei piccoli, del resto alquanto variabile nell’intera famiglia dei soricidi, che vede in taluni casi la coppia genitoriale mantenere i piccoli vicini fino all’età della totale indipendenza, formando delle vere e proprie “carovane” in cui i più piccoli seguono i grandi, attaccati vicendevolmente per la coda mentre si dirigono nei propri campi di foraggiamento opportunista e predazione delle cose piccole che strisciano o deambulano tra l’erba. Non che un simile comportamento sia mai stato registrato, al di la dell’ambito aneddotico, nel caso qui preso in analisi della specie etrusca. Il cui accoppiamento, praticato tra maggio ed ottobre senza interruzioni degne di nota, vede una gestazione non più lunga di 28 giorni, al termine dei quali la femmina mette al mondo tra i 2 e i 5 piccoli, risultando fin da subito pronta a rimanere nuovamente incinta. I nuovi nati, inizialmente simili a larve incapaci di muoversi o proteggere lo stessi, raggiungono dunque l’indipendenza nel giro di ulteriori 21 giorni, al termine dei quali apriranno i loro occhi dalle funzionalità limitate, appena visibili tra i peli serici che ricoprono quel muso appuntito. La durata della vita non supera in genere il singolo anno, con una sostanziale somiglianza tra i due sessi che si distinguono unicamente per una dimensione lievemente superiore del sesso femminile.
In un modo o nell’altro una presenza costante, sia vicino che lontano dagli insediamenti umani, il pachiuro etrusco vanta cionondimeno l’invidiabile capacità di trascorrere una buona parte della propria vita ben lontano da occhi indiscreti. Purché non si trovi, accidentalmente, ad invadere abitazioni private o spazi particolarmente cari agli umani. Il che non l’ha portato, statisticamente, ad essere particolarmente predisposto allo sterminio, né subire riduzioni di popolazioni che non possa sovvertire grazie alla sua notevole capacità di proliferare. Il che non permette di evitare che in determinati territori, soprattutto isolani, sottospecie ritenute un tempo rare siano ad oggi state incluse in liste di creature a potenziale rischio di estinzione. Giacché soltanto la costante vigilanza ed un senso della vulnerabilità inerente del contesto ambientale, può permettere realmente di mantenerlo invariato. Dinnanzi alle sfide pressoché costanti dell’attuale epoca del cosiddetto Antropocene. La fine, ed al tempo stesso l’inizio, di ogni cosa. E un topo, non importa quanto piccolo, potrà mai veramente condividere l’invulnerabile propensione dei prototipici scarafaggi?