C’è qualcosa di sottilmente poetico, la sostanziale simmetria di causa ed effetto, nella figura di un truffatore inveterato che propone al mondo un nuovo mezzo di trasporto, qualcosa di veloce al punto da permettere, idealmente, di lasciare indietro qualsivoglia tipo di automobile o persino i velivoli della sua stessa epoca remota. L’anno è il 1898, quando un certo professor Elza James Christie, recandosi all’ufficio brevetti di Marion, Iowa presenta agli impiegati i disegni e la descrizione di qualcosa di assolutamente fuori dall’esperienza umana pregressa. Volendo brevemente anticipare la questione, stiamo qui parlando di un attrezzo in grado di spostare il suo pilota alla velocità stimata di 400-640 Km orari. Ma il diavolo è come si dice nei dettagli o nel particolare caso qui preso in esame, nell’assenza di ogni punto di riferimento a soluzioni simili nei trascorsi tecnologici di siffatta natura; fatta eccezione per un singolo pneumatico di bicicletta, del diametro di 4 metri, direttamente collegato ad un pesante ma potente motore d’aeroplano. E due ulteriori circonferenze simili a ruote, non poggiate a terra, bensì capaci d’agire come un singolare giroscopio, per poter garantire la posizione eretta della controparte centrale potendo essere spostate a comando, così da modificare, senza inclinazioni, l’effettiva direzione di spostamento. Un “Nuovo terrore su strada” come avrebbe titolato enfaticamente la storica rivista Popular Mechanics nel numero di aprile del 1923, essendo stata invitata a visionare il prototipo finalmente costruito dal professore di scienze tramite un contratto a Philadelphia, dietro l’investimento di fondi dalla provenienza non sempre del tutto chiara. Questo perché Mr. Christie, secondo una biografia dell’Università dello Iowa, intorno all’età di 35 anni si era già costruito una reputazione di personaggio assai poco raccomandabile, dopo aver venduto più volte ad imprenditori locali l’atto di proprietà per delle miniere non esistenti. Essendo stato più volte arrestato e rilasciato a cavallo dell’anno 1900, e venendo dipinto nei giornali dell’epoca come famigerato uomo d’affari dalla lingua d’argento e la capacità, in una maniera o l’altra, di riuscire sempre a cavarsela senza pagare le conseguenze dei propri gesti. Non c’è davvero molto di stupefacente, allora, se al momento in cui riuscì di nuovo a fare breccia nella coscienza comune con quella che sarebbe passata agli annali, senza dubbio, come la sua invenzione di maggior fama, egli era di nuovo sotto assedio dai suoi creditori, per aver raccolto fondi dallo stato con la promessa di far edificare assieme ad uno dei suoi ben dieci fratelli un nuovo tratto della Ferrovia Americana, una sorta di tram interurbano statunitense. Possibile, allora, che l’opportunità di dare forma finalmente al suo sogno di vent’anni prima per spostamenti rapidi su strade pre-esistenti fosse soltanto un ulteriore stratagemma, elaborato al fine di distrarre l’opinione pubblica, ed il forte braccio della legge, dall’iniziativa assai probabilmente implementata senza un solo briciolo di buona fede? Di sicuro, i princìpi presi in esame per percorrere quel sottile nastro d’asfalto avevano almeno una vaga presa sulle logiche della fisica e termodinamica del nostro persistente Universo…
Potrà in effetti risultare sorprendente il fatto che lo spostamento veicolare mediante l’uso di una singola ruota, abbastanza grande da contenere la postazione del pilota, sia in effetti un concetto non del tutto privo di precedenti all’epoca, risultando addirittura coévo, se non antecedente alla produzione in serie della motocicletta. Grazie all’iniziativa di un italiano passato alla storia semplicemente come Garavaglia, dopo aver esposto il mezzo eponimo alla fiera di Milano del 1904. Un approccio veicolare certamente più semplice e concreto del volo pindarico di Christie, che vedeva il suo aspetto tecnologico maggiormente ambizioso nell’assemblaggio di cuscinetti a sfera utilizzato al fine di trasferire l’energia semovente dal pignone di un motore a singolo cilindro. Nelle decadi a seguire dunque un certo numero di inventori, da entrambi i lati dell’Atlantico, si sarebbero cimentati con progetti simili: la monoruota di Edison-Puton (1910) la Coates con elica spingente e quella dotata di ali dell’Aerial Wheel Syndicate (1912). Con i due esempi di maggior successo, intesi come i più vicini al raggiungimento della produzione in serie, rintracciabili nell’ortodossa Cislaghi del 1931 e l’assai più avveniristica Dynasphere di J.A Purves del 1930 (vedi precedente articolo). Ma ben prima di raggiungere questo apice fallimentare di un percorso mai realmente sfruttato dalla tecnologia veicolare del mondo moderno, l’uomo dello Iowa avrebbe posto di fronte all’opinione pubblica la possibilità di una vera ragione per perseguirne gli scopi. Le velocità prospettate nell’articolo, nostra unica fonte d’informazioni in materia, sarebbero in effetti apparse come totalmente fantascientifiche in quell’epoca, in cui la poca conoscenza in campo generalista dell’aerodinamica rendevano possibile immaginare qualsiasi cosa. Compresa l’idea di un coraggioso pilota, con l’unica protezione di un berretto e un paio di occhiali da aviatore, che agiva come parabrezza umano contro una pressione dell’aria sufficiente a far scricchiolare le ossa ed articolazioni del suo stesso corpo. Per non parlare, poi, del rischio in caso d’incedente, con la trasmissione fornita da una coppia d’impressionanti catene a partire dal motore sottostante, poste letteralmente a pochi centimetri dal sedile in posizione centrale. Non meno importante, nel frattempo, il discorso relativo all’effettiva fattibilità del progetto, dal punto di vista del funzionamento di concerto dei singoli elementi accennati nel suo brevetto. Laddove il motore a bordo, identificato a vista dai blogger su Internet come uno Sturtevant Type 5, V8 da 180 cavalli o un Curtiss OX-5 da 190, avrebbe quanto meno fornito l’energia necessaria a raggiungere le velocità prospettate, benché in un vuoto teorico e in assenza di considerazioni relative a meccanica, di guida, ammortizzatori e sistema di trasmissione. Il che poneva l’impressionante ed imponente monoruota, quanto meno, sopra il ponderoso piedistallo del dubbio, non importa quanto affascinante potesse essere sembrata ai relatori della popolare rivista illustrata statunitense.
Se il prototipo del mezzo di Curtis sia stato effettivamente sottoposto a prove pratiche resta, d’altronde, un ulteriore mistero. Così come poco chiare risultano le circostanze dell’improvvida dipartita del sedicente inventore nel 1924, soltanto un anno dopo la pubblicazione dell’articolo, con un necrologio successivamente corretto del giornale di Marion, che sembrava alludere ad un suicidio. Benché “Ha posto fine alla propria vita” potrebbe anche essere un riferimento alle circostanze di un incidente, causato dal tentativo di percorrere personalmente il sentiero del suo più grande e irrealizzabile sogno. Magari avendo posto in essere gli ultimi miglioramenti al veicolo, ormai con la legge alle calcagna e non avendo più nulla perdere, saltato in sella a quello che avrebbe potuto costituire il suo più grande lascito a vantaggio della posterità futura. O la sua fine rotolando via su strade dissestate, nella speranza vana di poter raggiungere una nuova alba.
Tutto o niente, come un hobbit sulle aquile verso il finale del Signore degli Anelli. Per i Re degli elfi! Per i Prìncipi dei nani nelle loro sale sotterranee! Per gli uomini mortali, dal fato crudele. Nella Terra di Marion, dove l’Ombra cupa scende.