Non sappiamo esattamente cosa esclamò il surfista francese di una certa fama Sebastien Cattelan, quando nel 2004 durante una vacanza africana raggiunse l’ex città mineraria di Lüderitz, nella regione meridionale della Namibia. Un luogo celebre per le sue buche un tempo scavate alla ricerca dei diamanti, una piccola chiesa gotica, la residenza del sindaco e quella del capo delle aziende di estrazione all’inizio del XX secolo. Esempi di architettura modernista ragionevolmente interessanti, ma non quanto la ciò che seppe costruirvi la natura: la baia riparata dalle onde dell’oceano, sul finire di una costa tanto piatta da poter servire ipoteticamente come pista d’atterraggio per gli aeroplani. Se non fosse per l’incredibile energia dei venti. che in determinati periodi dell’anno tendono a soffiare da meridione, in maniera sostenuta e prevedibile, convogliandosi a ridosso di un basso promontorio che perfeziona ulteriormente la loro forza. 40, 50, persino 60 nodi sono la norma in questi luoghi, così da trasformare ogni leggiadra vela nell’equivalenza di un motore fuoribordo, in grado di spingere chi ne fa uso alla velocità di un falco pellegrino che è appena riuscito a individuare la propria preda. Pericolo a cavalcare le tavole a vela in questo inferno del possibile, c’è ne abbastanza. Esaltazione, indubbiamente. Ma soprattutto, l’ambizione possibile di trasformare tale ebbrezza in un sentimento per molti versi istituzionale. Così chiamato sulla scena il proprio amico e collega Fred Dasse, comprovato organizzatore di eventi sportivi, i due misero in pratica l’eccezionale idea. Di prendere a noleggio uno scavatore, e lavorando alacremente per diverse settimane, ricavare un tragitto… Curvo, come la curva di una pista da formula NASCAR, nella sabbia riarsa con un fondo piatto non troppo profondo. Onde scongiurare il più possibile la formazione d’increspature. Nemiche imprescindibili di chiunque abbia il desiderio, in simili frangenti, di andare il più possibile veloce. Erano questi gli anni del magnifico record di velocità umana di 49.09 nodi (90,9 Km/h) stabilito da Antoine Albeau presso il canale di Sainte-Maries de la Mer, nella regione della Costa Azzurra. Eppure molti si chiedevano se non fosse possibile, nelle condizioni ideali, superare il muro concettuale dei 50, entrando in tal modo a far parte imprescindibilmente negli annali della tavola a vela. Le condizioni ideali, finalmente, sembravano essere state trovate. E nel 2007, durante la prima edizione di quella che avrebbe preso il nome di Lüderitz Speed Challenge, ci si andò già piuttosto vicino…
Molti aspetti erano preliminari, in questa prima edizione dell’evento primaverile mirato ad ottenere le velocità più elevate tra ottobre e dicembre, benché fossero presenti ancora significativi margini di miglioramento. Ciononostante fu Finian Maynard, con i suoi 48,70 nodi, a prevalere con la vela tradizionale mentre il collega kitesurfer Alexandre Caizergues fissò una velocità massima di 47,92 nodi. L’anno successivo, con l’implementazione di alcuni accorgimenti, i record cominciarono finalmente ad arrivare. Alcuni sacchetti di sabbia erano stati aggiunti per meglio convogliare il vento, mentre pannelli subacquei in legno diminuivano ulteriormente le discontinuità del fondale permettendo di mantenere piatta la superficie del canale. Ma soprattutto, quest’ultimo era stato trasformato in un sentiero direttamente perpendicolare alla costa, eliminando l’originale e controproducente curvatura. Il 3 ottobre del 2008 lo stesso Cattelan, raggiungendo i 50,26 nodi, stabilì su questa nuova pista il record del mondo. Soltanto per essere battuto un giorno dopo da Alex Caizergues, dimostratosi capace di raggiungere i 50,57. La celebrità di tali speciali circostanze, da quel momento, diventò difficile da sopravvalutare e nelle edizioni successive molti importanti surfisti accorsero ogni anno da tutti i paesi del mondo. Incluso il campione danese Bjorn Dunkerbeck, accompagnato dal suo sponsor RedBull, assieme al “Principe” italiano Andrea Baldini, già vincitore della categoria Speed a livello europeo. I grandi nomi della sfida di Lüderitz, con le sue caratteristiche del tutto uniche, sarebbero emersi da un carnet più vasto, dopo il superamento nel 2010 di un altra significativa barriera psicologica, quella dei 100 Km/h. Con la velocità più alta registrata dallo statunitense Robert Douglas, pari a 55,65 nodi (103.06 Km/h). Ormai da diversi anni e grazie alle particolari condizioni in essere di un tale luogo, il record assoluto di velocità su vela era ormai esclusivo appannaggio dei praticanti del windsurf, quasi sempre accompagnati dalla dicitura geografica della piccola città della Namibia. Nell’ultimo decennio, con l’aumento esponenziale della popolarità dell’evento, una sempre maggiore quantità di surfisti hanno iniziato prendervi parte. Giungendo all’elaborazione di tecniche particolari, come la scivolata di lato, simile all’inizio di una curva da regata, utilizzata per fermarsi al termine dei quasi 1.000 metri di tragitto, possibilmente evitando di lanciarsi dalla tavola perdendone il controllo e urtando dolorosamente con le gambe contro il basso fondale. Ciononostante gli incidenti non sono infrequenti, e sorprende in modo particolare la quantità di surfisti che continuano a partecipare senza l’uso del casco, una precauzione normalmente non imposta dalle federazioni coinvolte della WSSRC e la ISAF, causa le inerenti caratteristiche degli sport a vela. Ma d’altronde, in condizioni normali i partecipanti non si spostano a velocità motociclistiche con pochi metri a separarli da rocce frastagliate come coltelli. È proprio vero che l’adrenalina può costituire la più potente delle sostanze psicotropiche. Particolarmente in un’epoca, come la nostra, in cui ricercarla può contribuire parimenti al trionfo di un più alto grado di celebrità dell’individuo privo d’inibizioni.
Negli anni più recenti, almeno stando alle cifre reperibili online, sembrerebbe che i record strabilianti dei primi 2010 non siano più stati raggiunti. Possibilmente per l’introduzione di eventuali accorgimenti di sicurezza, o a causa del mutamento svantaggioso delle condizioni meteorologiche della leggendaria baia africana. Nel 2015, ad esempio, il vincitore fu di nuovo Antoine Albeau, raggiugendo tuttavia in tale occasione gli “appena” 53,27 nodi. E nel 2021 si parla dell’olandese Hans Kreisel, capace di registrare un lievemente inferiore 52,68. Mentre è ormai dal 2012 che il record di velocità massimo a vela è ritornato alle imbarcazioni propriamente dette, con la tecnologia dell’australiana Vestas Sailrocket dimostratasi capace di raggiungere gli impressionanti 65,45 nodi (121 Km/h) presso Walvis Bay, sempre in Namibia. Un ritmo oggettivamente notevole, difficile da emulare con una semplice tavola e un “motore” saldamente stretto nei propri avambracci necessariamente possenti. Senza nulla togliere al prestigio e senso di pericolo di un evento come quello creato da Cattelan, che per l’incipiente edizione del 2024 sembrerebbe aver aperto le sue porte ad un ancor maggiore numero di partecipanti. Grazie ad uno schema che prevede l’iscrizione e la partecipazione in coppia, dividendosi le quattro heat concesse nella maniera che si ritiene maggiormente opportuna. Soltanto il tempo potrà dirci se si sia trattato di una scelta oculata. Nella speranza, sempre al centro del discorso inerente, che l’innata consapevolezza di chi pratica gli sport estremi possa compensare l’evidente assenza di prudenza, in grado di costituire il fondamento di una simile carriera. E le sirene dei servizi di soccorso, allora e per sempre, possano restare a debita distanza di sicurezza, tra le polverose dune delle circostanze.