Il convitto costruito all’ombra di un mistero della Preistoria inglese

Eccezionalmente diverso risulta essere il concetto di “scuola pubblica” tra la maggior parte dei paesi europei e l’antica, immutata tradizione delle isole inglesi. Dove tale termine è impiegato al fine d’indentificare, tra le alternative prestigiose delle Isole, un tipo d’istituto con dormitori semi-permanenti, dove gli scolari impegnati a trascorrere la seconda decade della propria esistenza vengono inviati per trascorrere alcuni degli anni maggiormente memorabili, non per forza piacevoli, del proprio percorso di studi. Pensate a Hogwarts di Harry Potter, ma con meno cappelli magici ed un maggior numero di membri del clero. Tanto che, in effetti, anticamente questo tipo di esperienza era praticamente irrinunciabile per i giovani aspiranti intenzionati a fare parte di un qualsiasi ordine monastico, benché proprio l’aggettivo pubblico nel nome intendesse evidenziare l’apertura delle porte a esponenti di qualsiasi estrazione sociale o credo religioso. Purché, s’intende, fossero e siano tutt’ora capaci di pagare la retta annuale. Pari a circa 16.000 sterline, secondo il conteggio attuale, per il Marlborough College del Wiltshire, scuola fondata nel 1843 all’interno di un capiente edificio che era stato una locanda, e prima ancora l’ultimo residuato di un cadente castello normanno. Caratteristica senz’altro peculiare, ma neppure di gran lunga la più antica o interessante di un tale luogo. Essendo il cortile utilizzato per vari sport, tra le altre cose, dominato da una distintiva collinetta dell’altezza di 18 metri e un diametro di 83. La cui costruzione collegata in base a una credenza popolare al luogo di sepoltura di un altro tipo di mago (dal motto cittadino in lingua latina: “ubi nunc sapientis ossa Merlin“) è stata fatta risalire, attraverso datazioni effettuate nell’ultimo ventennio, ad un’epoca non troppo diversa dai 5.000 anni che ci separano dal più celebre, non lontanissimo sito di Stonehenge. Ecco dunque un altro esempio di quell’attiva e precoce società neolitica, che millenni prima della nascita di Cristo seppe porre in essere ragioni il tipo di cooperazione tra villaggi/tribù o famiglie in grado di lasciare monumenti resistenti al passaggio inarrestabile delle generazioni a venire. Probabilmente collegati a finalità di tipo ritualistico il cui effettivo svolgimento, ad oggi, resterà per sempre un mistero. Il che non ci ha impedito, in molteplici circostanze, di elaborare ipotesi di vario tipo. Non sempre corrette: vedi la maniera in cui almeno fino al 2008 schiere di studiosi e storici si fossero schierati per l’ipotesi che il Colle di Malborough non potesse costituire altro che la motta castrale della fortificazione medievale scomparsa, fatta costruire originariamente da Guglielmo il Conquistatore a Roger, il vescovo di Salisbury. Un edificio costruito e rinnovato nel corso dei secoli quasi esclusivamente in legno, pur costituendo al tempo stesso una prigione usata dalla monarchia e punto di partenza per le cacce condotte nell’adiacente foresta di Savernake. Fatta eccezione per la base del torrione principale risalente almeno al 1110 d.C, appoggiato a quella che tutt’ora costituisce il secondo maggior colle artificiale d’Inghilterra, ed il terzo in Europa…

Molte sono d’altro canto le alterazioni che un sito di questa importanza avrebbe finito per subire nel corso della sua storia, complice la collocazione topografica negli immediati margini di un centro abitato di media entità. Per tutto il periodo delle ribellioni e conflitti dell’XI e XII secolo, principalmente con finalità di fortificazioni ed a partire dal 1273 venendo integrato nei giardini della residenza per Eleonora di Bretagna, vedova di re Enrico III. Una casa successivamente passata alla figlia di Edoardo I, anch’ella di nome Eleonora e quindi alla regina Isabella, consorte di re Edoardo II. Fino al destino di finire abbandonata nel 1370, quando venne concessa in dotazione alla famiglia nobile dei Seymour, detentori tra le altre cose del ducato del Somerset. Fu in quest’epoca perciò, dopo che il castello era già andato lungamente in rovina, che gli architetti assunti per costruire nuove residenze misero più estensivamente mano alla collina, avendo ricevuto istruzioni di scavare una grotta decorativa al suo interno. Spazio ancora accessibile mediante l’uso di un’ingresso stravagante, con nicchie ed absidi ricoperti di conchiglie marine così come recentemente restaurati dalla celebre studiosa Diana Reynell. Venne inoltre aggiunto un evidente tragitto spiraleggiante, utilizzabile per il raggiungimento agevole della cima della collinetta. Il che potrebbe aver ripreso, paradossalmente antiche opere esistenti all’epoca in cui tale sito era impiegato per gli originali rituali religiosi o politici di civiltà dimenticate da tempo. Le prime domande poste in merito all’effettiva antichità della struttura ci furono nel 1776, quando l’archeologo William Stukeley scrisse di alcune monete romane ritrovate attorno ad essa. Mentre entro il 1821 Richard C. Hoare, ripercorrendo in una sua pubblicazione il tragitto della strada costruita dai coloni di matrice latina, fece notare come essa girasse attorno al rilievo artificiale, chiarendo come esso dovesse risultare decisamente più antico rispetto all’epoca medievale precedentemente indicata. La vera svolta ci fu tuttavia nel 2008, quando attraverso l’impiego istituzionale di sofisticate macchine per il carotaggio, fu possibile procedere alla datazione carbonio-14 fino all’ottenimento di una cifra precisa: la collinetta venne fatta risalire allora, finalmente, al 2580-2470 a.C. Molto prima della nascita di qualsiasi mago citato nel ciclo arturiano, benché potesse ragionevolmente fare parte del modus operandi di alcuni suoi insigni, largamente ignoti predecessori. Così come ipotizzato per la simile ma ancor più grande collinetta di Silbury, costruita più a monte dello stesso fiume Kennet, con un’altezza di ben 39,3 metri. I cui tunnel, scavati in tale caso con finalità di esplorazione e rilievo archeologico, finirono per causare danni niente affatto trascurabili, fino al crollo parziale verificatosi nel maggio del 2002 a seguito di una stagione particolarmente piovosa.

Nulla può essere del resto maggiormente lesivo, che l’utilizzo continuativo e reiterato nel tempo per l’integrazione in un terreno di proprietà privata, anche quando quest’ultima facesse parte di una ragionevole, relativamente rigorosa istituzione come una public school. Così ritroviamo le ultime modifiche apportate alla motta a partire dal XIX secolo, quando il college di Marlborough pensò bene di collocare sulla sommità il serbatoio dell’acqua della scuola. Provvedendo successivamente a circondarlo di alberi di varia entità e natura, fino alla demolizione verso la seconda metà del Novecento dell’infrastruttura nel tentativo di ripristino di uno stato dignitoso per il colle. Che ostinatamente, e sorprendentemente, continua ancora a eluderlo. Particolarmente sfortunato a tal proposito l’abbattimento della quasi totalità degli arbusti effettuata nel 2020, soprattutto per impedire l’utilizzo furtivo da parte degli studenti che ci andavano a fumare, tale da concedere all’antico elemento paesaggistico l’aspetto di un guscio di tartaruga malmesso. Poiché sembra che il progresso verso nuovi margini di guadagno, qualsiasi cosa capiti, non possa essere subordinato al proficuo studio dei nostri trascorsi. Neppure tramite l’impiego di una magica bacchetta, fatta oscillare al suono di qualche parola pronunciata nell’affascinate lingua dei latini.

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