Oggigiorno venerato in tutto il mondo come nume tutelare dell’amore, l’ottavo avatar di Vishnu non è tipicamente associato a profezie marziali relative alla rifondazione di una dinastia, o la costruzione d’imprendibili roccaforti. Eppure si narra che nel 1156, il capo Jaisal Singh del clan dei Bhati incontrò viaggiando tra i deserti del Rahjastan un anziano eremita, il quale gli riferì di una profezia secondo cui Krishna in persona, durante la guerra al centro del poema epico del Mahabharata, profetizzò all’antico principe Arjuna che un remoto discendente della dinastia Yadu avrebbe costruito, un giorno, una potente fortezza sopra una triplice collina in mezzo alle dune silenti. E non ci volle molto perché il feroce condottiero, proveniente dalla linea di sangue che, secondo una leggenda, aveva conquistato le terre dell’odierno Punjab dal potente popolo degli Indo-sciti, giungesse alla conclusione di dover seguire il suo destino, erigendo una nuova capitale da cui controllare il suo regno. Un nuovo tipo di città, d’altronde, in cui l’intero insediamento fosse protetto da alte mura invalicabili, che nessuno avrebbe mai potuto assediare senza un costo in termini di tempo e vite umane totalmente spropositato. Il che avrebbe funzionato soltanto in parte, nella storia futura di Jaisalmer. Insediamento e castello al tempo stesso, in una collocazione tanto remota che sarebbero occorsi più di 850 anni, perché la gente costruisse dei quartieri addizionali al di fuori della cinta esterna di quelle mura. Sia per la natura inospitale di una terra tanto arida, che in forza del timore dei numerosi nemici del principe Rajput, i quali tuttavia non avrebbero mai posto in essere l’iniziativa di assalire il centro principale del suo potere. Una fortuna destinata a cessare durante il regno del suo discendente diretto Rawal Jait Singh I, quando nel 1299 il sultano di Delhi, Alauddin Khalji, adirato per l’assalto ad una delle proprie carovane, circondò e rese inaccessibile la cittadella fino all’esaurimento delle risorse da parte degli occupanti, cui sarebbe seguita la conduzione del suicidio rituale tra le fiamme del Jauhar da parte di tutte le donne dei guerrieri, che combatterono a seguire fino all’annientamento. Il predominio dei musulmani sulla città predestinata non durò tuttavia particolarmente a lungo, se è vero che tre secoli dopo troviamo nuovamente nelle cronache di Jaisalmer un governante di discendenza Bhati, Rawal Lunakaran che si trovò a difenderla da un capo tribù afghano, Amir Ali. Che non avendo il tempo di costruire la pira funeraria, si preoccupò stavolta di sterminare tragicamente ed in modo prematuro le donne del castello, poco prima che giungessero i rinforzi per sconfiggere agevolmente il nemico. Un destino ironico e una duplice sconfitta, per un luogo che doveva essere sicuro da qualsiasi minaccia esterna…
Probabilmente il più notevole tra i sei forti del Rahjastan iscritti alla lista di patrimoni internazionali dell’UNESCO, Jaisalmer è anche il secondo più antico nonché l’unico ad essere ancora oggi correntemente abitato, in modo analogo a luoghi europei come Carcassone, Monteriggioni o Mont Saint Michel. Da letterali migliaia di persone, molto probabilmente discendenti di quelle stesse caste incaricate dai successivi possessori dei bastioni di difendere e mantenere in funzione questo importante punto di scambio lungo il passaggio della Via della Seta. Chiamato anche il Castello d’Oro (Sonar Kella) esso trova tale appellativo dalla colorazione dello sperone roccioso d’arenaria gialla alto 76 metri detto Trikutgarh su cui poggiano le alte pareti perimetrali, anch’esse costruite in pietra estratta localmente il cui colore non si discosta in modo troppo evidente. Ragion per cui si dice che esso possa mimetizzarsi in qualche maniera tra il paesaggio, comparendo all’improvviso come fosse sospeso in cielo, molto dopo che gli eserciti stremati dalla lunga marcia nel deserto del Thar erano stati già lungamente avvistati dalle vedette sulle torri di osservazione. Il che avrebbe permesso, in condizioni ideali, di preparare una difesa priva di vulnerabilità evidenti. Lunga 460 metri e larga 230, l’originale città concepita all’epoca di Jaisal Singh prevedeva una singola cinta muraria, sebbene questa sarebbe stata triplicata ed ispessita nei secoli a venire fino alla posa in essere nel periodo tardo di un gran totale di 99 bastioni, molti dei quali ricostruiti o puntellati nel corso del XVII secolo. Quando ormai, passata inevitabilmente sotto il controllo di un emirato dei Mughal, l’antica capitale aveva perso molta della propria rilevanza strategica, ma non quella commerciale. Creando i presupposti per la creazione di una nuova classe di residenze al proprio interno, le sfarzose e riccamente ornate Haveli dei ricchi mercanti, le cui sale piene di preziosi intagli nel legno e nella pietra corrispondevano a facciate non meno statuarie dai numerosi spettacolari elementi. Altrettanto notevoli nello studio retrospettivo dell’architettura i sette templi jainisti, risalenti al XII-XV secolo e contenenti innumerevoli statue delle divinità induiste e i 24 profeti del Tīrthaṃkara. Cruciale, nel mantenimento strutturale di un così vasto e densamente abitato insediamento, era il sofisticato sistema di drenaggio delle acque ghut nali, che mediante una configurazione tradizionale aveva il compito di disperderle nelle quattro direzioni verso le sabbie del deserto antistante. Il che avrebbe costituito, al tempo stesso, la fortuna e la condanna di questo importante sito culturale, per il modo in cui all’inizio dell’Era Moderna venne costruito il quartiere basso all’ombra delle mura, con rigide strade asfaltate che compromettevano il funzionamento di quel comprovato approccio risolutivo. Causando un accumulo di umidità, che oggi permea la collina di arenaria minacciando la stabilità del forte, soprattutto nel caso degli infrequenti terremoti locali oltre alle piogge in costante aumento per l’incedere del mutamento climatico dei nostri tempi. Una casistica che avrebbe raggiunto la criticità nel 2007, quando la caduta di 55 centimetri di pioggia in soli tre giorni avrebbe parzialmente liquefatto lo strato di terra originariamente posto sopra il tetto degli edifici con finalità d’isolamento, portando al crollo di alcuni di essi e la rovina per coloro che abitavano al loro interno.
Visitare oggi Jaisalmer, preservata a partire dal XIX secolo anche grazie ad un trattato specifico con il Raj britannico della Compagnia delle Indie Orientali, è un’esperienza multisensoriale che sconfina occasionalmente nelle regole di un classico sito turistico di portata e fascino globali. Tra la folla che percorre le vie principali, attraverso un itinerario largamente acclarato completo di ristoranti delle tipologie più diverse (anche italiani!) S’incontrano innumerevoli venditori di souvenir, prodotti tessili ed artigiani locali, cultori di una particolare tecnica inventata in epoca recente per la lavorazione della pietra al fine di creare dei singolari manufatti. Tra i più popolari dei quali figurano, naturalmente, i modellini della stessa fortezza, analogamente a quanto avviene per Castel Sant’Angelo, la Torre di Londra ed altre iconiche testimonianze della storia dei nostri trascorsi.
Di quei luoghi che potranno attraversare immutati l’estendersi dei millenni, così come avvenuto nel corso dei loro gloriosi e complicati trascorsi. Poiché la storia non si scrive mai da sola, ma è l’effetto della somma delle aspirazioni e lo stile di vita dei popoli che devono convivere con i suoi persistenti effetti. E tutto ciò che tende a derivarne, il bene assieme al male, la poesia assieme al mondo prosaico della vita semplice e ogni cosa che tende a derivarne. Fuori e dentro quelle mura che mai persero l’antico intento di amplificare i sensi delle genti che includono, cambiando il panorama stesso della loro quotidiana esistenza.