L’insetto che arretra nel cuore di un labirinto intrecciato con chilometri della sua stessa seta

Sotto la corteccia di una quercia, dietro una vecchia pietra, tra i detriti accumulati negli anni all’interno di un silenzioso magazzino. Dove la luce non batte, l’aria non soffia, i moscerini non trovano ragione di transitare. L’Embioptera a differenza del ragno può fare a meno di ricercare una posizione strategica per la sua dimora. Ma è altrettanto abile, se non migliore, nella costruzione di un suo piccolo mondo antico. All’incrocio dei territori tra irrilevanza ed acuto rilievo ecologico, dove la consumazione di materia vegetale marcescente viene coadiuvata dall’opportunità di rimanere, sempre e comunque, ben lontano dallo sguardo di occhi indiscreti. Quello di uccelli, larve carnivore, gechi e formiche. Semplicemente incapaci di spingere i propri occhi al di sotto di un’impenetrabile “superficie”…. Probabilmente ne conoscete il tipo. Se il baco da seta costruisce il suo bozzolo, a questo punto, da 500 o 600 metri di filo estremamente sottile, che dire del tipo impiegato da tali artropodi ben diversi, intrecciato in camere oblunghe ed angusti percorsi di collegamento, in modo che soltanto il padrone di casa risulti effettivamente capace d’orientarsi? Siamo qui davanti ad uno dei migliori costruttori creati dall’evoluzione, fin dal medio Giurassico in cui abbiamo trovato i primi esempi di fossili riconducibili alla sua discendenza. Con la perfetta comunione di mezzi, intenti e risultati efficacemente portati a coronamento. Grazie al sentiero logico tracciato da quelle zampe anteriori leggermente sovradimensionate, in quanto dotate di organi specializzati, facenti funzione dei seritteri posizionati sul fondoschiena degli aracnidi avversari. Fondamento di uno stile simile alla danza, in cui l’insetto si muove nel sostrato appoggiandosi sulle punte, mentre lascia dietro di se pavimento, pareti e soffitti di quel dedalo portatore di segretezza e per questo, latore di vita. Oltre 400 specie divise in 11 famiglie eppure, tra i maggiori ordini, forse il meno conosciuto. Questo per la sua concentrazione soprattutto in zone tropicali e un’attestazione, nel caso effettivo dell’Italia, verificata da lungo tempo soltanto nella parte meridionale della penisola, sebbene studi recenti ne abbiano scovato anche degli esemplari in Emilia, Toscana e l’Isola d’Elba. Complice forse il mutamento climatico, ma anche la capacità di adattamento di un essere che cerca soprattutto la tranquillità, piccoli spazi ed il tempo necessario a garantirsi la sopravvivenza. Almeno finché non avrà terminato di erigere le navate della sua occulta cattedrale. Ove affrettarsi a deporre, sul principio del periodo primaverile, un fitto quanto prezioso sostrato di uova…

L’insetto embiottero o webspinner (tessitore) costituisce dunque una creatura subsociale, ovvero determinata ad offrire un certo grado di protezione ed assistenza ai suoi piccoli nel periodo immediatamente successivo alla nascita, pur non giungendo a formare colonie durature o fondate sui complessi principi cooperativi degli imenotteri o le termiti. Questo perché ciascuna femmina, una volta superato lo stadio di ninfa già simile all’adulto ma incapace di costruire la sua capanna, inizierà subito ad aggiungere altri tunnel, destinati ad essere considerati il suo territorio. Mentre i maschi, poco inclini a tale attività, si affretteranno immediatamente a uscirne cercando una possibile partner, facendo uso nel caso di alcune varietà di un doppio paio d’ali, in altri soltanto della capacità di deambulazione inerente. Essendo questi ultimi, una volta cresciuti, del tutto incapaci di nutrirsi e perciò destinati ad una fine piuttosto rapida, soprattutto una volta trasmesso il proprio codice genetico alla prossima generazione. Quando non verranno subito dopo mangiati, in modo ancor più diretto, dalla loro sospirata ma famelica compagna! Generalmente simili nella forma e il comportamento, questi insetti variano invece dal punto di vista della colorazione, ottimizzata per mimetizzarsi nel proprio effettivo ambiente di provenienza. Le loro zampe oltre al primo paio, molto più corte e tozze, vengono nel frattempo impiegate come principale strumento di deambulazione, il che tende a renderli generalmente molto più rapidi nel muoversi a marcia indietro, come le aragoste a cui vagamente assomigliano da obliqui punti di vista. Cruciale, in tal senso, la presenza di cerci specializzati sul retro dell’addome, organi sensoriali ricoperti di peli dal funzionamento simile ad un paio d’antenne secondarie, capaci di agevolare la rapida navigazione nei tunnel qualora dovesse rendersi necessaria una rapida ritirata dal pericolo. Molto poco probabile risulta essere, del resto, l’opportunità per l’invasore di riuscire a raggiungere la camera delle nuove nate, a meno che si tratti di un tipo forgiato e perfettamente equipaggiato al fine di riuscire a farlo. Sto parlando, è quasi superfluo specificarlo, delle temibili vespe parassitoidi ed in modo particolare quelle della famiglia Sclerogibbidae, incline a deporre le proprie uova nell’addome delle ninfe dei tessitori, condannandole quindi a venire letteralmente divorate dall’interno nel giro di qualche atroce settimana. Difficile immaginare un destino peggiore, ed al tempo stesso maggiormente comune, nel mondo infinitesimale degli insetti, tanto piccolo quanto feroce, così facile da sottovalutare, nella sua spietatezza superiore persino al regno sanguinario della savana.

Diffusi globalmente in tutti i continenti tranne l’Antartide, talvolta proprio a seguito del trasporto accidentale da parte di agenti umani, gli embiotteri stanno recentemente diventando più comuni, anche in paesi dove il clima non dovrebbe permettergli, idealmente, di prosperare. Ha fatto notizia a tal proposito nella primavera del 2019 la scoperta di una nuova specie in territorio britannico, il primo esempio di nuovo insetto scoperto nelle Isole da un lungo periodo di 100 anni. Il che parla ,coerentemente, della modifica delle condizioni in essere ma anche l’implicita furtività di coloro che vivono nella sostanziale equivalenza artropode della metropolitana: un vero e proprio dedalo sommerso nel sostrato e per questo inattaccabile da ogni verso. Persino quello analitico rappresentato dalle instancabili fotocamere dell’era digitale. E non c’è dubbio che, nell’era dei selfie ad oltranza, tale riserbo meriti un certo grado di ammirazione. Persino ambizione, al raggiungimento di un paragonabile senso di equilibrio. Tra la sussistenza e la continuativa resilienza, potendo trarre il meglio da circostanze avverse. Così come fatto dai loro lontani cugini, gli scarafaggi.

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