Lo sguardo noncurante della scimmia che ha modificato le nozioni sui primati nel Congo

Chi sceglie di viaggiare a lungo in Africa partendo da un paese del nord del mondo ha spesso una missione ben precisa in mente, la cui portata può variare dalla filantropia al fervore religioso, l’intento accademico o l’interesse per un qualche tipo di guadagno personale. Il che sottintende, in ciascuna di tali circostanze, l’esistenza di un pretesto di qualche tipo; nel caso di John A. Hart nel 2007, tale punto di partenza ebbe l’opportunità di palesarsi da una singola foto scattata presso il villaggio di Opala, nella Repubblica Democratica del Congo, raffigurante una bambina con un guinzaglio stretto in mano. Ed all’estremità di quest’ultimo, una scimmietta molto interessante, lunga circa mezzo metro, la lunga coda e dalla folta criniera gialla a racchiudere un volto per lo più glabro, dai grandi occhi tondi e stranamente suggestivi di uno sguardo umano. Questo anche per la chiara visibilità della sclera bianca attorno alle pupille, una caratteristica in realtà piuttosto rara nel mondo animale. Nonché qualcosa di riconducibile all’aspetto di un guenon o cercopiteco, simile per molti versi alla specie C. hamlyni, se non fosse per la località geografica di pertinenza: a centinaia, se non migliaia di chilometri dalla zona di territorio in cui tale creatura già rara era mai stata avvistata in precedenza. Tralasciando dunque l’eventualità improbabile di un commercio a lunga distanza in tale ambito rurale ed extra-urbano, il ricercatore della fondazione Lukuru per gli Animali di Kinshasa decise di fare i bagagli con la moglie Terese e recarsi sul posto, al fine di conoscere la giovane padrona di quell’animale e la sua storia.
Il che li avrebbe portati, dopo poche settimane, ad incontrare di persona Georgette, la figlia del preside della scuola e venire a conoscenza di come la sua piccola amica fosse stata adottata in famiglia dopo che un cacciatore, intento a procurare la forma di sostentamento proteica nota come bush meat, ne aveva ucciso la madre. Portando in casa l’animale che non aveva suscitato particolare stupore tra i vicini, costituendo il tipico rappresentante di una varietà largamente nota: quella delle lesula, presenze infrequenti ma reiterate delle foreste circostanti. Qualcosa non quadrava e fu piuttosto facile capirne la ragione: qui ci si trovava innanzi al caso di un mammifero, per di più facente parte dell’ordine di creature maggiormente affine agli esseri umani, di cui la scienza non aveva mai annotato l’esistenza.
Urgeva un percorso di approfondimento delle cognizioni in merito, per confermare in modo inconfutabile le straordinarie circostanze. Per cui l’approccio scelto dagli Hart sarebbe stato, grazie alla modernità, di un tipo tecnologico, attraverso l’installazione di numerose fototrappole mediante un criterio altamente strategico, ovvero che fossero capaci di coprire i luoghi di passaggio e assembramento più probabili frequentati da questi sfuggenti abitanti. I risultati si rivelarono, fin da subito, sorprendenti…

Immaginate a questo punto la sorpresa degli Hart, e per inferenza di coloro che avrebbero potuto fruire del loro studio pubblicato infine nel 2012, al rilevamento di quest’area situata tra i fiumi Lomami e Congo di una maggior frequenza di avvistamento di scimmie lesula rispetto a creature tradizionalmente accademicamente giudicate endemiche, quali i duiker o maiali del bush. Tanto da permettere la stima statistica di una popolazione probabilmente pari o superiore ad un minimo di 2.000 esemplari. Nel testo dello studio pubblicato sulla rivista PLOS One si forniva dunque anche il necessario appellativo scientifico binomiale, Cercopithecus lomamiensis, benché venisse consigliato di mantenere in uso anche la parola locale tipicamente utilizzata dai locali per riferirsi ad essa. Si proseguiva, dunque, nell’identificazione dei tratti distintivi capaci di rendere notevole la lesula anche rispetto alla C. hamlyni o cercopiteco dagli occhi di gufo, primariamente incline a trarre nutrimento dai germogli di bambù nelle foreste del settentrione congolese. Laddove questa sua cugina, non potendo beneficiare di tale risorsa, si rivelava soprattutto una consumatrice di frutta matura e caduta a terra, o gettata dall’alto da specie di scimmie più agili situate all’altezza della canopia. Una caratteristica comune a molti cercopitecidi del Vecchio Mondo infatti, ed in modo particolare al genere tipologico di cui questi esponenti fanno parte, è una propensione a trascorrere una buona parte delle proprie esistenze a livello del suolo, così come fatto anticamente dagli australopitechi che avrebbero un giorno appreso il modo per mantenersi in posizione eretta. Altro tratto indubbiamente singolare, benché meno affine ai nostri predecessori, la presenza di una vistosa zona dalla pelle di colore blu intenso in corrispondenza del fondoschiena e dei genitali, capace di creare un contrasto cromatico molto appariscente sul verde degli alberi della foresta congolese. Creature socievoli e per questo inclini a vivere in gruppi composti in media da 5-6 esemplari, generalmente un maschio seguito dal suo harem, le lesula si dimostravano inoltre inclini a definire e proteggere il territorio, mediante l’utilizzo di ghiandole odorifere sul petto e forti richiami mattutini, descritti come booming o “grida rimbombanti”, un suono a bassa frequenza udibile anche a distanze sorprendentemente significative. Una necessità anche per avvertirsi vicendevolmente, in maniera occasionale, dell’arrivo di eventuali predatori, tra cui è possibile annoverare il leopardo e l’aquila serpentaria, assieme ad altri rapaci dell’Africa centro-occidentale.
Senza poter nel frattempo fare affidamento su nozioni relative alle abitudini riproduttive della scimmia, per cui ricerche specifiche sono tutt’ora mancanti, è ragionevole desumere per inferenza caratteristiche affini al sopracitato cercopiteco di Hamlyn, incline a mettere al mondo un singolo piccolo ogni due anni tra maggio ed ottobre, dopo un periodo di gestazione di sei mesi. Il maschio raggiunta la maturità dopo un minimo di quattro anni, poligamo e solitario, è solito approcciarsi alle potenziali partner di età compresa tra i tre ed i sei, generalmente appartenenti a gruppi compatti che attraversano in maniera ereditaria le successive generazioni. I nuovi nati, qualora appartenenti al sesso maschile, lasceranno invece presto la piccola comunità, per andare in cerca di un nuovo territorio da mantenere sotto il proprio controllo.

Può sembrare particolarmente strano, per quanto acclarato nella pratica, che ancora oggi risulti scoprire animali del tutto nuovi in territori dove nessuna creature simile ha mai avuto attestazioni precedenti. Una casistica capace di derivare unicamente dall’assenza di attenzione nei confronti delle nozioni dei nativi, nonostante il numero di volte in cui proprio gli aneddoti o le disquisizioni informali hanno permesso di modificare sensibilmente la storia della biologia corrente. Ma l’uomo, come la scimmia, può imparare unicamente dalle proprie sviste. Ed è talvolta nell’incontro tra il primo e la seconda, che emergono le principali somiglianze di espressività, empatia e modo di porsi. Assieme alle innegabili, importantissime differenze. Forse la lesula ne rappresenta un chiaro esempio, nella sua persistente e preoccupante assenza di normative nazionali per la protezione ambientale, nonostante possa essere a rischio per la riduzione del territorio. Ma giammai potrà impiegare l’eloquenza, per confutare a nostro vantaggio le inesatte nozioni presunte.

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