In ogni circostanza immaginabile fin dalla creazione della civiltà, ampie fasce di popolazione hanno sempre cercato una cosa sopra ogni altra: il profitto. Così come millenni di anni fa, gli insediamenti di poche migliaia di anime hanno animato il complesso reticolo di terre emerse delle Cicladi, chiedendo il pedaggio ai viaggiatori sul sentiero dell’Asia Minore, il 1976 in Germania vide il compiersi di una bizzarra transazione. Quando il curatore del Museo Statale del Baden a Karlsruhe, Jürgen Thimme, si trovò a pagare 35.000 franchi alla figura misteriosa di un mercante d’arte, che aveva acquisito per vie traverse un paio di oggetti dal notevole pregio archeologico. Il primo era una statuetta stilizzata, raffigurante il tipo di figura umana particolarmente apprezzata nell’arte antica delle isole Saliagos e Antiparos, punti di riferimento per gli scavi effettuati nelle duemila e più isole a settentrione dell’antico polo della cultura Minoica, la grandiosa e monumentale Creta. Ed il secondo, qualcosa di decisamente più complesso ed inusitato: un recipiente di terracotta o pietra dalla forma particolarmente appiattita, con un lato finemente decorato da una costellazione di spirali geometricamente interconnesse. E quello che poteva essere un manico all’estremità, o ancor più probabilmente l’attacco ad una componente in materiale deperibile, come un’asta, una corda o un piedistallo di qualche tipo. Dopo un primissimo momento di straniamento, d’altra parte, non fu difficile inserire il reperto nel suo contesto. Considerandolo su base pratica un esempio tipico di tegàni (τηγάνι) o “padella”, così come era stato definito dagli archeologi una classe d’implementi con funzione possibile di prestigio individuale, ritrovati esclusivamente nelle tombe di maggior pregio dei suddetti luoghi di studio. Possibilmente con funzione religiosa o iconica di qualche tipo, benché in questo caso ancor più di molti altri è del tutto appropriato esprimersi mediante l’uso del condizionale; visto come nel trascorrere delle decadi, o persino secoli dal primo tentativo d’interpretazione, nessuno sembri essere riuscito a giustificare al di là di ogni dubbio l’esistenza di tale orpello. Siamo del resto innanzi ad una delle civiltà della tarda Età del Bronzo, per cui la scrittura era un’attività praticata in circostanze limitate e/o mediante l’uso di risorse in grado di resistere integre fino ai nostri giorni, il che dal punto di vista dello studio è funzionalmente la stessa identica cosa. E sembrerebbe aver condotto ad una pletora di percezioni contrastanti, per quanto concerne essenzialmente ciò che potrebbe essere la rappresentazione pratica di una particolare storia o vicenda mitologica, per noi irraggiungibile quanto una conversazione diretta con lo stesso Platone. Salvo l’utilizzo di un qualcosa di potenzialmente utile, per quanto meno risolutivo rispetto a come si tenda nella maggior parte dei casi a pensare: la logica deduttiva, ovvero il senso comune applicato a determinati elementi inalienabili della vita su questa Terra…
Sopra: la padella Karlsruhe 75/11, datata al XXVII-XXIV sec. a.C. È uno dei pochi esempi realizzati in pietra.
Sotto: la padella con numero di reperto NAMA 4974, risalente al XXVIII-XXIII secolo a.C. Dalla sua scoperta nel 1889, si trova custodita presso il museo di Atene.
Ci sono alcuni elementi decorativi d’altro canto che ricorrono in maniera inesplicabile in questi misteriosi oggetti e che potrebbero costituire, in più di un modo, indizi sulla loro effettiva modalità d’impiego. A parte le spirali possibilmente allusive nei confronti di stelle o pianeti cosmici, una tematica ricorrente è quella del mare, con figure geometriche di quelle che possono soltanto essere le prue di navi e la forma appena accennata di pesci, il che lascia immaginare l’acqua come un elemento collegato in qualche modo al rito o circostanza in cui gli oggetti venivano impiegati durante la vita del defunto. Del tutto assente è d’altra parte, nell’assoluta totalità degli esempi trovati, alcun segno di bruciatura che potesse dimostrare la natura d’implementi effettivamente usati per la preparazione del cibo, lasciando il soprannome tradizionale come poco più che una descrizione pratica del mero aspetto comparativo sulla base della nostra esperienza moderna. Soprattutto nel caso di un successivo tipo di padelle appartenenti al periodo tardo (1600 a.C. e a seguire) la cui forma piatta e decorazioni su ambo i lati avrebbero complicato non poco l’utilizzo in tal senso. Di sicuro interesse, soprattutto per la sua frequenza, è la presenza di un triangolo pubico femminile in corrispondenza del “manico”, simbolo collegato a possibili riti di fertilità o la rinascita primaverile del mondo. Due elementi, quelli citati fino a questo punto, che alimenterebbero in maniera particolare l’ipotesi di Christos Doumas del 1993, secondo cui le padelle avrebbero potuto trovare impiego nella preparazione del prezioso sale, creato tramite processo d’evaporazione dall’acqua di mare particolarmente nei mesi più caldi, quando la proliferazione di determinati batteri rendevano il processo più rapido ed efficiente. Molto antecedente e più semplice, di contro, è la visione di Christos Tsountas che all’inizio del XX secolo scrisse in merito alla possibilità che i recipienti potessero essere impiegati come specchi, venendo possibilmente riempiti di acqua o olio d’oliva per riflettere l’immagine dei loro utilizzatori. Una potenzialità esplorata con successo in epoca contemporanea tramite la sperimentazione indiretta, soprattutto mediante l’utilizzo di pigmenti scuri, anche se il prezioso prodotto della coltivazione degli ulivi non sarebbe stato certamente facile da reperire per gli abitanti delle isole Cicladi all’epoca della creazione di queste tombe. Altre possibilità includono, nel frattempo, quella secondo cui i recipienti avrebbero potuto contenere delle libagioni da offrire a numi tutelari di vario tipo, piuttosto che preparare i pigmenti utilizzati per tingere le numerose statue che facevano parte della vita quotidiana di queste genti. Menzione impossibile da suggerire, senza specificare come ogni dettaglio relativo alle caratteristiche rappresentazioni antropomorfe cicladiche, eleganti ed astratte al pari di opere facenti parte di determinate correnti dell’arte moderna, sia necessariamente oggetto di speculazioni non dissimili da quelle delle padelle, non essendoci altresì alcuna prova pratica che esse fossero in alcun modo venerate o ritenute sacre dai loro originali committenti ed autori.
Il che si inserisce in un discorso più ampio e significativo, su come l’immediata rimozione in segreto di opere d’ingegno dal loro contesto di provenienza, per farne commercio illegale o relegarle all’interno di collezioni private, sia uno dei maggiori ostacoli allo studio delle antiche civiltà, avendo arrecato danni in tal senso persino maggiori a quelli di grandi disastri naturali o guerre combattute tra gli eredi di chi aveva originariamente dato il proprio contributo alla marcia inarrestabile della società e tutto quello che tende, in genere, a contenere.
La storia della padella Karlsruhe 75/11, altamente rappresentativa da questo punto di vista, vede quindi lo stesso compratore Thimme esprimere più di qualche dubbio in merito alla sua provenienza lecita, benché egli avesse scelto di credere alla vicenda raccontata dal venditore, che affermava fosse venuta in suo possesso prima della variazione normativa sull’esportazione di opere d’arte intercorsa nel 1970. Ciononostante, il grande successo di un’esposizione di arte cicladica nel 1976 presso il Karlsruhe Schloss avrebbe portato a non poche proteste da parte del governo greco e successivamente, proteste da parte dell’ente internazionale dell’UNESCO. Lo stesso direttore del reparto antichità del Museo delle Cicladi, Christos Doumas, scrisse un duro articolo di censura, menzionando i ladri di tombe in merito alla questione di questi ed altri manufatti dei suoi antichi predecessori.
L’epilogo della debacle dunque, intercorso soltanto nel 2014, vede infine il governo tedesco restituire il reperto assieme alla statuetta 75/49 al museo di Atene, come avvenuto a partire dal corrente secolo per tanti altri esempi dalla provenienza sospetta delle opere trafugate da innumerevoli paesi all’inizio del periodo moderno. Poiché le convenzioni cambiano costantemente e talvolta, la ricerca di vantaggi nell’immediato non può essere anteposto al concetto inalienabile di legittimità. Che sia in fondo proprio l’avanzamento progressivo della seconda, a discapito del primo, a misurare quella tendenza verso margini di miglioramento che tendiamo a definire per antonomasia “il Progresso”?