Lo scroscio ininterrotto rendeva difficile muoversi o camminare liberamente, mentre una piccola folla con gli elmetti da cantiere esplora i dintorni, rendendosi gradualmente conto dell’inutilità di continuare a tenere in alto l’ombrello. Letterali centinaia di millimetri l’ora, corrispondenti ettolitri per metro quadro, cadono e rimbalzano tutto attorno ai loro piedi, inzuppandoli dal basso, di lato e fin oltre l’altezza delle spalle. All’improvviso, qualcuno grida all’indirizzo della foschia soprastante che gli sembra di averne avuto abbastanza. Allora il falso “cielo” si schiarisce, mentre la pioggia si assottiglia e repentinamente sparisce. Mentre l’aria perde la sua pesantezza inerente, gli sguardi si girano all’unisono verso la piattaforma antistante. Da dietro il pannello di controllo, tecnici e scienziati iniziano a sorridere, e iniziano all’unisono un collettivo battito di mani.
Nel 1959 a seguito delle oltre 5.000 vittime del grande tifone della baia di Ise, anche noto come Vera o Isewan, il governo giapponese decise che non stava ancora facendo abbastanza. C’è naturalmente poco che un paese, per quanto organizzato, possa fare oltre l’ovvio al fine di prevedere o scongiurare i grandi disastri naturali. L’implementazione di corrette procedure ed accorgimenti, tuttavia, può contribuire a contenere in larga parte alcuni dei loro effetti più devastanti. Un particolare modo di costruire edifici; determinate procedure di evacuazione; l’appropriata metodologia nella programmazione dei dispositivi tecnologici frutto dell’epoca contemporanea, quali droni, sensori e veicoli a guida automatica. Tutto questo e molto altro scaturisce dal National Research Institute for Earth Science and Disaster Resilience o più in breve NIED, l’ente istituito al fine di scovare e approfondire ogni attuale margine di miglioramento in tal senso. Tramite l’unico strumento davvero efficace della sperimentazione, un sentiero la cui esplorazione tende a comportare, in determinate circostanze, l’utilizzo di sistemi non del tutto privi di un certo significativo grado di spettacolarità. Questo il caso del famoso impianto di simulazione dei terremoti, la piastra con motorizzazione idraulica a scuotimento più grande al mondo (vedi) risalente al 1970 e poi migliorata nel 2003 presso il complesso di Tsukuba, laddove qualche in questa stessa sede era stato nel frattempo messo in pratica un approccio riproducente una tipologia di problemi proveniente dall’opposta direzione: la stagionale, occasionale ricaduta dell’acqua atmosferica, normalmente capace di costituire poco più che un transitorio fastidio. Finché non tende a divenire, con suono battente o in certi casi un rombo ininterrotto, eccessivamente intensa…
Questo è l’aspetto dell’Ōgata Kōu Jikken Shisetsu (大型降雨実験施設) o Grande Struttura per gli Esperimenti sulle Precipitazioni, una storica aggiunta al repertorio NIED risalente nella sua forma originaria all’ormai remoto 1974, che avrebbe aperto la via con la propria inaugurazione alla decisione lungamente rimandata di spostare la sede dell’istituto da Tokyo al terreno di Tsukuba, consolidando le risorse e il personale incaricato di condurre il tipo di ricerca scientifica che dava il nome alle operazioni. Un obiettivo pienamente perseguibile, mediante l’efficacia e appropriatezza progettuale della Struttura. Da ogni aspetto rilevante capace di presentarsi come un imponente capannone rettangolare, di 49 x 76 metri e 21 di altezza, collegato ad un potente impianto di pompaggio che sfocia nei 2.176 ugelli regolabili in tempo reale per l’ottimizzazione d’impiego lungo l’asse temporale, divisi in quattro sezioni di 544 l’una. Ciò affinché risulti possibile, nelle ore e modalità precisamente designate, l’apertura dei letterali rubinetti necessari a generare le particolari condizioni di rovesci verticali di volta in volta desiderate, con modalità e tempistiche del tutto simili a quelle messe in atto dalla natura. Questo non prima nella maggior parte dei casi, sarà opportuno sottolinearlo, che i committenti di turno abbiano assemblato lo scenario sottostante, contenente a seconda dei casi valide riproduzioni domestiche, interi quartieri cittadini, piani inclinati finalizzati a riprodurre la casistica di frane o slavine, o perché no addirittura veicoli e persone. Il che porta alla raccolta di dati e documentazione particolarmente utili sulla reazione dei suddetti in condizioni di pioggia più o meno intensa, e soprattutto l’elaborazione delle giuste contromisure al fine di limitare e contenere gli inevitabili danni. Poiché l’organizzazione logistica è tuttavia quasi altrettanto importante rispetto alla visione ed ambizione dei progetti sperimentali, fin dalla sua genesi questa struttura ha potuto beneficiare di un ausilio tecnologico particolarmente insolito e distintivo: la presenza di rotaie al di sotto delle due pareti longitudinali, a loro volta fornite di un pratico sistema di motorizzazione. Quello dedicato, ogni qual volta se ne presenti l’esigenza, a spostare letteralmente il capannone con una velocità di circa 60 cm l’ora, così da poter raggiungere con largo anticipo le cinque possibili posizioni, ciascuna dedicata a una diversa scena o situazione da sottoporre alla realistica caduta delle gocce provenienti dal soffitto distante esattamente 17 metri, ovvero la cifra necessaria affinché le gocce d’acqua possano raggiungere la loro velocità terminale. In un tripudio di possibilità da sviluppare parallelamente, sul tema di come, quando e in quali casi gli ingegneri possano agire, al fine di limitare in futuro gli eventuali danni provenienti da una contingenza come quella della baia di Ise.
Sensibilmente migliorata e potenziata nel 2017, la Struttura è stata inoltre inserita in un regime di open days e altre opportunità di visita per collettivi, scolaresche o gruppi di curiosi, in realtà efficaci al fine di operare divulgazione scientifica e nel contempo fornire nozioni utili agli interessati, così da promuovere un cambiamento positivo nel tipo di risposta intuitiva che tende a coinvolgere le collettività nei casi limiti delle proprie rispettive esistenze. L’intero Giappone e Tokyo in modo particolare sono notoriamente soggetti, d’altro canto, ad un’alta quantità di casi limiti ambientali ogni anno, non soltanto del tipo tellurico ma anche determinati da eventualità meteorologiche, che non cessano anzi tendono a rafforzarsi mentre attraversano la relativa calma del Mar della Cina.
Molti conoscono, a tal proposito, il futuribile ed impressionante ambiente delle cisterne sotterranee di Tokyo (vedi) largamente frutto delle sperimentazioni del NIED. Ma ci sono ben poche possibilità che infrastrutture simili possano venire costruite un giorno in metropoli meno strategicamente ed economicamente rilevanti, per non parlare delle semplici zone rurali, dove i beni trascinati via dall’eventuale rabbia del tifone di turno potranno anche avere un valore materiale quantitativamente inferiore; ma non c’è alcun margine di tolleranza immaginabile, in merito all’ardua e sempre necessaria protezione della più preziosa cosa al mondo: la sacra, insostituibile vulnerabilità che connota il senso stesso della vita umana.