Siamo fondamentalmente abituati a giudicare le abitudini e il comportamento di un animale dal suo aspetto. Ed è probabile per questo che vedendo un tale uccello, dalle dimensioni relativamente grandi (fino a 74 cm) il corpo tondeggiante, la testa piccolissima e la lunga coda a traino, difficilmente tenderemmo a immaginare uno stile di vita diverso da quello di un tacchino, pollo o fagiano di terra. Finché udendo quel richiamo ritmico, accompagnato da un ronzante frullar d’ali, non ci capitasse di scrutare in alto verso la canopia. Per scorgerne una mezza dozzina appollaiati a 30-45 metri d’altezza, in mezzo ai rami dei kapok e delle magnolie secolari. Una popolazione dall’aspetto omogeneo, in genere, data la suddivisione rigorosamente territoriale tra le diverse varietà del genere Pipila, anche detto guan fischiante o tacchino sudamericano. Pur essendo complessivamente alquanto snello per tale qualifica, nonché sensibilmente più agile nel volo rispetto al galliforme tanto amato a tavola dai Padri Fondatori del remoto settentrione. Oltre che dotato di un piumaggio altamente caratteristico, in modo particolare nel caso del P. jacutinga, volgarmente identificato soltanto con la seconda parte del suo appellativo binomiale, non un termine latino bensì derivante dalla lingua dei nativi tupi, composto dalle parole ya’ku (uccello) e tinga (bianco). Evidenziando aspetti di una priorità non eccessivamente intuitiva, vista la comparsa di tale tonalità cromatica soltanto sulla sommità del capo e in una spruzzata sulle grandi ali, di una creatura per il resto nera fatta eccezione per il bargiglio rosso posto nella parte superiore del lungo collo. Un probabile elemento di seduzione, utilizzato come punto focale nelle danze ed evoluzioni nuziali, messe in pratica dai membri di questa specie non appena percepiscono l’inizio della stagione di accoppiamento. Assieme all’emissione del suddetto, trillante richiamo, da parte di un volatile che per il resto del tempo risulta essere per lo più silenzioso, con probabile riguardo nei confronti dei numerosi, possibili predatori. Che includono rapaci come l’aquila arpia, l’occasionale serpente arboricolo ed ogni qual volta capiti di scendere atterra, la sagoma fin troppo riconoscibile del giaguaro in agguato. Ragion per cui alla nascita i piccoli del jacutinga, non appena mettono la testa fuori da una delle 2-4 uova deposte dentro i loro nidi posizionati a mezza altezza sulla prima biforcazione dei tronchi, già possiedono la capacità di muoversi agilmente, mantenersi in equilibrio e scalare gli alberi, in maniera non dissimile dalle lucertole cui assomigliano da più di un singolo punto di vista. Ciò mostrando fieramente l’origine della propria differenziazione genetica, risalente almeno all’epoca del Pleistocene. Sarebbe alquanto difficile immaginare, in effetti, un pennuto che ricordi maggiormente la propria ascendenza genetica dai dinosauri, per il modo in cui questi pseudo-tacchini si muovono e scrutano attorno con fare minaccioso, pur essendo quasi totalmente frugivori e consumatori di germogli, fatta eccezione per il consumo occasionale ancorché spietato di qualche invertebrato, piccolo rettile o anfibio. Pregevoli fonti di proteine, per chi deve volare per vivere e sa farlo, indubbiamente, parecchio bene…
Pur essendo la suddivisione tassonomica del genere Pipile notoriamente discussa, si è raggiunto oggi un consenso accademico relativamente concorde su quale possa essere l’effettiva collocazione di questi uccelli nella progressione metaforica dell’albero della vita. Che li vede come appartenenti alla famiglia dei cracidi, galliformi dell’America meridionale entro cui rientrano anche il chachalacha (gen. Hortalis) e l’hocco (gen. Crax) più comunemente identificato in lingua inglese come il curassow. Gruppo di creature rigorosamente distinto, quello dei guan fischianti è stato considerato storicamente dai naturalisti come una singola specie con significative variazioni fino alla cognizione moderna, che ha fatto chiarezza individuandone cinque nettamente differenti tra loro: dal P. grayi con la gola bianca al P. cujubi che presenta invece una chiazza rossa, ma la parte frontale totalmente bianca a differenza del sopracitato P. jacutinga. Senza dimenticare di far menzione delle due specie dotate di gola blu, il P. cumanensis peruviano ed il suo cugino originario esclusivamente dell’isola di Trinidad, il Pipile pipile. Così denominato nel 1784 dall’austriaco Joseph F. von Jacquin, essendo paradossalmente il primo esponente sottoposto ad un’analisi scientifica accurata. Pur essendo la specie da sempre quella maggiormente rara e soggetta ad un rischio d’estinzione pressante, soprattutto per la progressiva riduzione dell’habitat nell’ultima zona rimasta incontaminata della piccola repubblica situata nel Mar dei Caraibi. Che da tempo ha implementato rigorosi programmi di tutela e riproduzione, con l’aiuto particolarmente efficace di significativi enti naturalistici internazionali. Maggiormente complessa d’altra parte la condizione dell’altra varietà considerata vulnerabile, il P. jacutinga di Brasile, Argentina e Paraguay, dove ancora oggi la cattura sistematica per motivi d’alimentazione e il riutilizzo delle pregevoli piume viene messa in pratica da significative porzioni della popolazione nativa. E questo nonostante i molti tentativi di educarla in merito alle caratteristiche uniche e insostituibili di questi significativi rappresentanti della ben nota biodiversità dell’Amazzonia. Che forse appare maggiormente chiara e lampante, soltanto qualora ci si trovi ad osservarla da molto, molto lontano?
Laddove un problema ancor più specifico allo stato dei fatti attuali può essere individuato nello sfruttamento sistematico e conseguente riduzione nelle aree costiere delle palme, i cui frutti hanno da sempre costituito una fonte di cibo primaria per questa intera tipologia di esseri, così strettamente interconnessi con le specifiche caratteristiche del proprio ambiente di provenienza. L’unico in cui uccelli tanto riconoscibili, non per niente utilizzati come icone in filatelia e nella stampa delle banconote, per non parlare del logotipo di almeno una famosa marca produttrice del mate, tradizionale bevanda sudamericana, riescono a prosperare fino alla riproduzione nella loro stagione tipica tra novembre e dicembre, con un evento secondario durante il periodo delle piogge ad aprile. Questo nonostante le pressioni antropogeniche che hanno portato negli ultimi anni, ad esempio, alla scomparsa pressoché totale di questi pennuti nell’intero stato del Venezuela. Ove non si ode più da multiple generazioni il trillo riconoscibile del loro richiamo reso in senso onomatopeico con l’espressione püüeee, püüeee. Né il rumore riconoscibile di quelle ali, spesso paragonato al rimescolamento di un mazzo di carte. In cerca di metafore maggiormente prosaiche al fine di tentare ancora, per quanto possibile, d’individuare un qualche tipo di sistema d’interconnessione con la natura.