L’obiettivo era la difesa, certo, dai clan nemici ed i saccheggiatori fermamente intenzionati a impossessarsi le ricchezze di chi avrebbe preferito vivere in pace. Eppure questo tipo di edifici, culmine svettante di una tradizione più che millenaria, in tempo medievale costituiva al tempo stesso un tipo di segnale, l’evidente simbolo della perizia, del potere e la visione di coloro che sceglievano di costruirli. Non che il committente e il capomastro fossero frequentemente la stessa persona. Giacché nell’intera regione settentrionale del Caucaso, corrispondente all’odierno paese della Georgia e le repubbliche russe di Cecenia ed Inguscezia, esisteva ai tempio medievali la figura dell’esperto itinerante, mestiere nel punto d’incontro tra il muratore, l’architetto ed il depositario di un’antica tradizione sacrale. La stessa capace di portare queste genti, che nella Preistoria avrebbero potuto identificarsi nel vasto ed eterogeneo gruppo di tribù note come vainachi, a edificare posti di guardia e osservazione con pietre ciclopiche, di fronte alle caverne dei loro insediamenti pedemontani. D’altra parte i resti archeologici che ci hanno permesso di conoscere quella prassi avrebbero avuto ben poco a che vedere, con la grandiosità ed imponenza di tutto quello che sarebbe venuto dopo. Quando, tra l’undicesimo ed il tredicesimo secolo, la propensione collettiva ad istituire dei margini di sicurezza su cui fare affidamento avrebbe condotto alla rinascita, su queste stesse pendici, del concetto straordinariamente umano di molteplici torri alte fino a 20-25 metri, capaci di guardarsi ed avvisarsi vicendevolmente dell’intento malevolo di eventuali forze d’invasione. Costruite questa volta in solidi mattoni ed un’intonaco particolarmente resistente alle intemperie, così come le loro fondamenta e la struttura piramidale potevano scansare il rischio tutt’altro che infrequente dei terremoti. Tanto che moltissimi di questi edifici, con l’intero complesso del villaggio fortificato aul che ancora le circonda, parrebbero aver resistito in modo notevole al passaggio dei secoli e l’insistenza incombente degli elementi. Offrendoci un punto di vista privilegiato, oltre che verso le valli, nei confronti dello stile di vita e le priorità di coloro che le avevano abitate. Capaci di utilizzarli, per tutto il tempo che la storia gli avrebbe concesso contro l’avanzata del possente impero russo, al fine di affermare e custodire il proprio insostituibile stile di vita…
Vi sono essenzialmente tre popoli distinti, tra le alture dell’area geografica situata tra il Mar Nero ed il Caspio, ad aver perfezionato e praticato attraverso i secoli la costruzione delle torri dette per antonomasia vainach, benché nel caso georgiano gli abitanti autoctoni fossero soliti definirle più brevemente con il termine ad ombrello di svan. Riferito sia agli elementi architettonici abbinati ad edifici più larghi, che il tipo di svettante posto di guardia isolato in posizione isolata o preminente rispetto all’insediamento principale. Eventualità vicendevolmente preferibili a seconda dell’impiego elettivo di ciascuna magione, che poteva avere un utilizzo principale civile o militare a seconda delle priorità di coloro che ne avevano dettato l’implementazione regolatrice. La tipica torre costruita come residenza, dunque, veniva concepita come un susseguirsi di una serie di piattaforme lignee circondate dalle pareti esterne. Generalmente tre al di sopra del piano terra, dove veniva custodito il bestiame, mentre al piano immediatamente superiore si trovavano i magazzini e proseguendo verso l’alto le residenze dei signori e di coloro che avevano mansione di servirli ed eseguire i loro ordini all’interno e fuori dall’edificio. È importante notare come l’ingresso non fosse d’altra parte mai situato al piano terra bensì all’altezza del primo, accessibile mediante una struttura in legno che poteva essere rapidamente smantellata. Ciò affinché l’eventuale assediante, per quanto fornito di ariete, non potesse facilmente scardinare il portone principale. Ulteriori considerazioni protettive sarebbero state incorporate nel tipo di torri note come semi-militari, fornite di strette feritoie e piombatoie, ovvero aperture apposite da cui far precipitare pietre o liquidi bollenti sulla testa degli aggressori sottostanti. Ancora successivamente, con il perfezionamento delle aspettative da parte di chi poteva permettersi questa tipologia di fortezza, vennero introdotte le vere e proprie torri militari, con pareti più spesse e prigioni sotterranee, in cui relegare coloro che avevano tradito la fiducia dei capi del villaggio o del clan di turno. Quindi l’intero aul (villaggio) veniva spesso fortificato e reso impenetrabile, tanto che ancora durante la conquista russa del Caucaso durante il XIX secolo questa tipologia d’insediamenti costarono non poca fatica e vite umane alle forze imperiali, che potevano soltanto conquistarli tramite l’impiego di complicate tattiche d’assedio.
Esempi celebri di tali costruzioni si trovano nei villaggi di Khyani, Erzi, Targhim (Inguscezia), Goor (Daghestan), Hoy (Cecenia) e naturalmente a Vovnushki, probabilmente il singolo insediamento inguscio più famoso situato nella riserva naturale-museo a cielo aperto di Dzheyrakh-Assa, con le tre torri svettanti sopra il fiume Guloykhi più volte proposte, ma non ancora incluse negli elenchi internazionali dei patrimoni dell’UNESCO. Non che la prolungata instabilità politica e le dinamiche sociali di questa regione nel corso dell’ultimo secolo abbiano aiutato in tal senso, nonostante un risveglio delle amministrazioni locali nel tentativo di favorire ed incoraggiare il turismo nell’intera regione del Caucaso. Un processo, allo stato attuale, ancora profondamente ed innegabilmente in divenire.
Molte sono le leggende collegate alla costruzione delle torri dei Vainachi, inclusa quella secondo cui il maestro delle costruzioni veniva assunto tramite l’affermazione di un solenne giuramento. Secondo cui egli avrebbe ricevuto vitto, alloggio e un generoso stipendio, purché l’edificio completo fosse consegnato entro un periodo di 365 giorni. Al concludersi del quale, egli avrebbe perso ogni prestigio così come la famiglia committente, che per questo sacrificava regolarmente dei capi di bestiame ed imbeveva i mattoni del loro sangue, affinché gli Dei potessero offrire la loro assistenza e protezione al progetto, una tradizione destinata a continuare, in segreto, anche dopo l’introduzione del sufismo islamico all’inizio dell’ottavo secolo dopo Cristo.
Giacché nulla, persino in tempi difficili, può davvero mai sostituire o spodestare l’essenziale percezione che i popoli hanno della propria relazione privilegiata con la storia ed il mondo. Ragion per cui ancora uno degli autonimi impiegati dagli Ingusci per riferirsi a se stessi può essere individuato nella parola galgai, che significa letteralmente “Genti delle Torri”. Forse la giustificazione maggiormente evidente, dell’importanza ed il profondo significato mantenuto da questa tipologia di strutture. Molto più che mere residenze, fortezze, simboli del prestigio di una sola famiglia.