Nella conca del vulcano che ospita un intero comune agricolo messicano

Non è sempre facile riuscire a immaginare, in ogni aspetto degno di essere notato, la vita di un’intera comunità che ha disposto le sue abitazioni attorno ad un cono. Non di quelli affusolati e preminenti, che ancora eruttano talvolta spruzzi di lapilli e ceneri pescate dal profondo (assurdo certo, ma non impossibile che possa capitare) bensì il tipico residuo di un vulcano che fu spento per migliaia di anni, prima che il cratere si allargasse fino all’approssimazione di uno stadio naturale. Per poi riempirsi, degnamente, d’acqua piovana. Endoreico è stato questo luogo, dunque, per incalcolabili generazioni. Almeno finché tra il XV ed il XVI, scacciando vi le antiche popolazioni di pescatori situate presso quello che veniva chiamato il lago di Chalco, le genti che credevano di averne facoltà divina provvidero a drenare una significativa parte di quel bacino idrico ed in particolare, quella situata all’interno di un perfetto anello di tufo, conseguenza d’intrusioni laviche oltre l’atavico della mera civilizzazione umana. Circa 1.500 anni erano passati, per dare una misura cronologica, dalla sua formazione per effetto dei processi terrestri ed ora per la prima volta era “vuoto”. Una condizione destinata a non durare eccessivamente a lungo, giusto il tempo di scoprire l’eccezionale fertilità della sua terra. Permeata di sostanze minerali derivate delle ceneri basaltiche con ricco contenuto di ferro, ed altri minerali in grado di fornire nutrimento alle piante. Abbastanza da attirare nel giro di pochi secoli, in questa landa priva di infrastrutture ma situata a una distanza relativamente breve da Città del Messico, una quantità esponenzialmente maggiore di abitazioni.
Fast-forward fino all’epoca moderna, per vederne il risultato senza termini di paragone: un’intera città, di quasi 400.000 abitanti, le cui strade e case paiono inglobare le pareti del cratere, piuttosto che essere dominate da esse. Avendo gli abitanti trovato, al suo interno, una fonte di cibo assai preziosa nel contesto arido del Distretto Federale Messicano. In quella che sarebbe diventata, ancor prima della presidenza di Porfirio Diaz e la collaborazione con il cognato ed uomo d’affari Íñigo Noriega Lasso finalizzata ad espandere e completare il drenaggio lacustre nel XIX secolo, un polo autogestito e fondamentalmente anarchico di fattorie frequentemente inclini a contendersi il territorio. Fino a ricevere la denominazione ufficiale di comune negli anni ’30 del Novecento con il nome di Valle de Chalco Solidaridad, evento a seguito del quale lo stato nazionalizzò le concessioni, distribuendole equamente (o almeno così si crede) tra gli aventi diritto allo sfruttamento. Dando luogo ad una situazione d’equilibrio che da ogni aspetto rilevante, continua tutt’ora.

Perfetta integrazione del paesaggio naturale ed urbano, la cosiddetta valle del Chalco sarebbe dunque ritornata negli anni recenti, dapprima informalmente e quindi con decreto della Nazione, ad impiegare il nome di epoca Azteca utilizzato storicamente per riferirsi alla regione: Xico, o ombelico in lingua nahuatl. Esiste, a tal proposito, un’interpretazione non scientificamente confermata secondo cui l’intero nome nazionale di Mexico possa essere un’evoluzione della locuzione di “ombelico” (xico) o “centro” della Luna (metztli) con un riferimento a quest’ultima che si specchiava storicamente nello stesso lago di Chalco. Tra le numerose colline e preminenze paesaggistiche, che ancora oggi molti degli abitanti di Città del Messico considerano soltanto per l’aspetto odierno, senza alcuna coscienza nozionistica della loro origine per lo più dovuta a processi di tipo vulcanico, cessati attorno al termine dell’Era del Pleistocene. Un fattore niente meno che primario nella scelta di un simile luogo d’insediamento, lontano dalle coste oceaniche e da qualsiasi altra fonte d’importanti risorse o fonti di ricchezza inerenti, fatta eccezione per la possibilità di coltivare efficientemente la terra. Non a caso l’intero distretto è una zona sismica soggetta ad occasionali sommovimenti, del tipo che contribuì storicamente all’emersione di numerosi microfossili, appartenenti ad ostracodi e diatomee, relativi all’epoca in cui il lago era ancora caratterizzato da fenomeni di salinizzazione piuttosto eminenti. Non che lo specchio d’acqua del Chalco nella sua interezza, e per quanto potesse estendersi all’interno dell’anello di tufo, fosse particolarmente profondo all’epoca della venuta degli spagnoli nel Nuovo Mondo, avendo già subìto un processo di parziale evaporazione durato svariate migliaia di anni. Per cui fu giudicato del tutto appropriato procedere al drenaggio, per ottimizzare la produzione agricola anche a discapito delle ingenti popolazioni Mexica e Xico che ne traevano quotidiano sostentamento. In un processo culminante nella sanguinosa battaglia del 1521, in cui i battelli fluviali degli europei avevano fatto sbarcare i propri soldati a Tlatelolco, distruggendo la difesa dei guerrieri indigeni armati soltanto di arco, frecce e scudi di legno. Le conseguenze, prevedibilmente, furono epocali e portarono da molti punti di vista all’estinzione di una civiltà. Le cui ascendenze alla natura primordiale dell’implementazione di una collettività comunitaria, ancora oggi, possono essere facilmente immaginate da una breve visita presso i numerosi musei archeologici della regione. Ma fu soltanto con l’epoca della rivoluzione messicana del 1910, ed il successivo inizio dell’epoca contemporanea, che le nuove genti a cui era stato permesso di colonizzare Xico ed il suo cratere avrebbero guadagnato l’accesso ad infrastrutture efficienti, scuole, biblioteche ed altre istituzioni pubbliche. Sempre col pretesto, innegabilmente utile nella corrente circostanza, di insegnare alla classe dei lavoratori agricoli la filosofia ed i metodi del socialismo.

Oggi conosciuto primariamente come Cerro de Xico o ancor più semplicemente “la collina” questo antico vulcano, che comunque da terra appare non diverso da un qualsiasi altro dolce declivio topografico non è particolarmente noto sulla scena internazionale, non essendo riuscito a costituire un’attrazione turistica degna di nota. Ciò nonostante la sua importanza storica e la presenza, tutto attorno e lungo le proprie scoscese pareti, di svariate tombe e necropoli di tipo calcolitico strettamente interconnesse con la storia della regione. Un destino destinato forse a capovolgersi con l’aumentare di turisti forniti di droni, perennemente intenti a perseguire il nuovo tipo di selfie instagrammabili con riprese rigorosamente dall’alto. Un altro segno, se mai ce ne fosse stato bisogno, dell’attuale deriva culturale e dell’epoca verso cui ci stiamo muovendo. Indubbiamente capace, pur con i propri difetti e prevedibili pretesti, di accendere nelle persone un nuovo tipo di passione e consapevolezza rispetto al mondo.

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