I dinosauri che si baciano sull’autostrada, massiccio monumento ai confini del Gobi

Di miraggi mentre ci si spinge oltre le dune abbiamo molti resoconti, che siano appartenenti all’epoca moderna o quelle che l’hanno precorsa nell’ultimo giro della ruota del tempo. Occorre tuttavia percorrere a ritroso molti dei suoi raggi, oltrepassando gli stessi limiti della vicenda storica umana, al fine di raggiungere l’ispirazione della porta principale dedicata ai visitatori di Erenhot (alias Erlitan) città cinese situata nella regione autonoma della Mongolia Interna. Un’elevata meraviglia, una svettante antonomasia, una dimostrazione di creatività, una coppia di realistiche (?) rappresentazioni in acciaio color verde rame del secondo dinosauro più grande mai scoperto al mondo, il Brachiosaurus altithorax del Giurassico Superiore. Il che sarebbe stato già abbastanza stupefacente, anche senza entrare nel merito della scena rappresentata: gli abnormi rettili, di un’altezza di 19 metri e lunghi 34, sembrano impegnati nell’attività tipicamente umana di un bacio appassionato, all’incontro delle loro teste perpendicolare al centro esatto di una grande strada di scorrimento. Niente meno che l’arteria stessa che permette di raggiungere quel centro cittadino, intenzionato a evidenziare in questo modo valori come armonia, amicizia e fraternità. Nonché ricordare, ai suoi visitatori più o meno turistici, di essersi attribuito ormai da tempo il prestigioso titolo di “Capitale Mondiale dei Dinosauri”, onore soggettivo ma non del tutto privo di una base logica, visto il posizionamento di tale luogo sopra la faglia geologica di Erlitan-Hegenshan, ai margini esterni della placca continentale siberiana. Corrispondenti ad un fenomeno di parziale scioglimento del mantello terrestre iniziato 250 milioni di anni fa, dando inizio a una significativa e duratura fuoriuscita di magma acido, tale da causare l’affioramento a ondate di minerali come quarzo, mica, feldspato. Ma anche permettendo la conservazione, attraverso gli eoni successivi, delle schiere letterali di resti appartenuti alle più celebri e imponenti creature degli albori dei continenti, esseri capaci d’instillare nella gente di ogni paese un senso istintivo di terrore e meraviglia. Per oltre 50 anni prima di oggi dunque, spostandoci a ritroso nell’asse temporale, possiamo verificare l’intercorsa costituzione di numerosi siti di scavo e spedizioni scientifiche, nei dintorni aridi ed irti di pendii a questo possibile confine della civiltà. Fino a un’episodio destinato ad essere inserito negli annali, relativo alla scoperta nel giugno del 2005, durante l’Iniziativa di Protezione del Patrimonio Geologico istituita direttamente dal partito al governo, di una creatura precedentemente del tutto ignota alla scienza. Sto parlando del Gigantoraptor erlianensis, un dinosauro rapitore di uova (o “raptor”) vissuto nel Cretaceo Superiore con la propria altezza significativa di 8 metri, tale da aver fatto scambiare inizialmente le sue ossa per quelle di un tipico tirannosauro dei perduti lidi. Fino a studi maggiormente approfonditi e quella che potremmo definire, per intercessione dell’amministrazione urbana locale, una vera coincidenza illuminata dalla fortuna…

Il fatto è dunque che il polo urbano da 70.000 abitanti di Erenhot, istituito e riconosciuto ufficialmente solo in epoca moderna, avrebbe celebrato giusto nel 2007 il proprio atteso anniversario, lasciando due anni a disposizione dalla scoperta della formidabile creatura per celebrare e caratterizzare agli occhi del mondo asiatico l’eccezionale successo incontrato dai paleontologi, allora come in precedenza, tanto avventurosi e ben finanziati da poter scegliere di effettuare le proprie ricerche in uno dei luoghi più remoti e irraggiungibili del continente. Nasce in questo breve arco temporale, o per lo meno si concretizza in modo alquanto misurabile, il concetto dell’antonomasia sovraesposta, con l’installazione in varie zone e quartieri cittadini di notevoli statue dedicate a questa o quella specie del superordine più amato dai fan di Jurassic Park, facendone per certi versi l’espressione tangibile di un vero e proprio parco giochi dedicato alla divulgazione scientifica a vantaggio di grandi e piccini. “Così come l’Occidente ha scritto le regole del proprio mondo fantastico nel film di Spielberg” dichiara una storica, e vagamente patriottica press release: “La Cina, patria dei draghi fin dai tempi remoti, realizza in questo modo la sua versione visitabile del mondo come si presentava agli albori stessi del pianeta.” A questo stesso punto di svolta storico, molto appropriatamente, appartiene anche il secondo rinnovamento ed ampliamento del museo locale dei dinosauri risalente al 1989, ornato per l’occasione con tanto di ulteriore saurisco a dimensioni realistiche (probabilmente proprio il G. erlianensis) che sbuca ferocemente dalla facciata del solitario edificio. Nient’altro che la più simbolica, delle oltre 50 statue di queste imponenti creature dalle proporzioni monumentali, alcune rappresentate come ancora viventi, altre semplicemente in qualità di scheletri ricostruiti, lungo le strade più o meno centrali del distintivo insediamento dell’entroterra d’Asia. Nessuna delle quali, d’altra parte, paragonabile per proporzioni alle due sculture situate all’ingresso stradale del centro, che ad uno sguardo maggiormente attento si rivelano come geometricamente stilizzate e proprio per questo non del tutto prive di un fascino artistico vagamente surrealista. Non fosse bastata già la loro semplice presenza, ad evocare immagini di mondi paralleli totalmente sconosciuti all’umanità!

Un’occasione più unica che rara dunque, per gli avventurosi turisti giunti fin qui, di immergersi da subito nell’atmosfera, prima di fare l’ingresso nelle sale oggettivamente ricche d’importanti reperti di questo prestigioso museo. Oltre 200 autentici, più innumerevoli ricostruzioni, inclusi alcuni diorami raffiguranti la maniera in cui gli oviraptor procedevano nella propria cattura e consumazione dei piccoli di altre specie ancora graziati dell’opportunità di scrutare con i propri occhi il mondo.
Poiché non c’è giustizia inerente, né pietà nella natura, ma la pura e semplice sopravvivenza di chi riesce a dimostrarsi degno di proteggere la propria resilienza futura. Non sempre il più forte, scaltro o intelligente. Bensì colui o coloro che sapranno dimostrarsi abili nella difficile impresa di adattarsi. Che in bilico sul concludersi dell’attuale eone geologico, l’Antropocene, potrebbero essere con pari probabilità gli scarafaggi, le meduse unicellulari… O gli umani. Benché soltanto una di queste tre categorie di favoriti continui a tenere in mano, ostinatamente, le redini del proprio stesso destino.

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