La costruzione di un’ideale e inconfondibile scenografia, tra tutte le tangibili possibilità alternative, non fu limitata nella storia di questo pianeta alla venuta delle semplici, perfettamente trascurabili civiltà umane. Le quali furono portate ad ispirarsi nella propria concezione del bello, piuttosto, nello stile che deriva dalla convergenza di un profondo flusso, il corso naturale degli eventi che sublimano i potenti sottintesi dei luoghi. Eventi affini all’antico scorrimento di un perduto fiume, acqua e sedimenti trasportati dalla mera forza gravitazionale lungo quel paesaggio che ora è un mero e inconfondibile deserto. Ma non prima che il segno dei tempi pregressi, l’incancellabile, profondo marchio degli eventi, attraverso incalcolabili generazioni si cristallizzasse in qualche cosa di unico ed inconfondibile, la potenziale attrazione turistica “perfetta” se non fosse a quattro ore di camminata dal più vicino segno della civilizzazione (se il termine di una striscia d’asfalto bollente può davvero essere questo). Dall’altro lato della medaglia, proprio tale situazione remota merita di essere considerata tra le fortune maggiori di The Wave, particolare canyon/formazione rocciosa situata entro i confini dei Vermillion Cliffs, poco al di là del confine tra Utah ed Arizona. Un tripudio particolarmente memorabile, ed altrettanto giustamente celebre, di strisce di color marrone, rossiccio ed arancio, dipinte parallelamente lungo i pendii scoscesi che ondeggiano e s’intersecano con tratti d’unione simili a quelli di uno scivolo da Luna Park o pista delle macchinine Hot Wheels. Prosaici termini di paragone, senza dubbio, per qualcosa che parrebbe sorgere dai recessi onirici di un architetto sovraesposto, al vuoto cosmico che intrappola la mente tra i recessi razionali degli Universi. Così quei fortunati che, attraverso una draconica serie di ostacoli, superano i varchi della burocrazia per giungere entro i confini di questo sacro luogo, costellato delle occasionali pozze stagionali che ospitano piccole forme di vita, ne escono generalmente cambiati. Nel modo in cui, al termine dei giochi, interpretano il più saliente dei punti d’incontro; tra la percezione soggettiva e ciò che prima di chiunque, senza l’aiuto di chicchessia, ebbe ragione di prendere forma. Ma che cos’è, esattamente, The Wave? La risposta è riassumibile nel dipanarsi di una serie di fenomeni. Semplicemente la tempesta perfetta, difficilmente ripetibile, al congiungersi di condizioni geologiche, meteorologiche, climatiche. Durate per l’intero estendersi di qualche silenzioso milione di anni…
La spiegazione prende origine dalle strutture sedimentarie del periodo Giurassico, fondamentalmente rappresentate in questa particolare area geografica dalla cosiddetta formazione Navajo, composta da un sostrato di arenaria con contaminazioni variabili e inerentemente sovrapposte al proprio interno di ematite, limonite, goetite. Inevitabilmente alla base, come osservato e fotografato con trasporto da entusiastiche generazioni di turisti, di spettacolari rupi, strutture monolitiche, depressioni vertiginose disseminate tra i diversi tratti diventati celebri di questo territorio unico al mondo. Nessuno d’altra parte paragonabile, nei termini del raggiungimento apicale dell’effetto estetico eminente, al luogo denominato per l’appunto The Wave. Probabilmente il letto di un antico fiume evaporato nella polvere, ma non prima di aver scolpito, circa 190 milioni di anni a questa parte, i punti di passaggio dove oggi tende a compiersi il momento di maggiore connessione coi processi fisici generativi dell’attuale condizione terrestre. Proprio là, dove i “semplici” pendii inclinati ottengono, in aggiunta alle proprie memorabili forme, l’ulteriore abbellimento di un succedere di cromatismi sovrapposti, in realtà dovuti alla disposizione diagenetica dei diversi strati litici latenti. Ciascuno incline a palesarsi come una singola linea parallela alle altre, delicatamente ma insistentemente scolpita dal vento, e mantenuta separata per lo scudo che ha saputo offrire da quell’energia allo strato immediatamente sottostante della pietra friabile che sostiene il disegno. Un tipo di struttura facile da ammirare, ma come potrete immaginare altrettanto vulnerabile al calpestio e gli abusi da parte di gruppi turistici, ragione alla base della lunga serie di regolamenti che governano la visita di questo sito benedetto dal Tempo. Sostanzialmente convergenti attorno al sistema di una lotteria, istituita ormai da varie decadi per volere del Bureau di Gestione del Territorio (BLM) ed usata al fine di determinare chi siano ogni giorno le 16 persone o 4 gruppi fortunati che potranno spingersi oltre i confini dell’Onda. Sia in proprio che assieme a una guida, benché la seconda ipotesi sia in genere considerata preferibile, considerata la posizione remota e faticosa da raggiungere del capolavoro costruito dalla natura. Con la grande maggioranza dei partecipanti, statisticamente parlando, iscritti con parecchi mesi d’anticipo su Internet ed un tradizionale 15-20% dei posti liberi assegnati all’inizio di ciascuna giornata. In origine grazie all’estrazione fisica presso un’apposita casupola allestita a tal fine dai ranger, mentre oggi si può usare un’iper-tecnologica determinazione digitale di un’applicazione per smartphone, rigorosamente accessibile soltanto a coloro che si trovano entro i confini di un “recinto” di coordinate GPS a una distanza raggiungibile dalla destinazione finale. Il che costituisce d’altra parte anche una fonte di reddito non indifferente per le iniziative di ripristino e protezione ambientale del BLM, visto come ogni partecipante debba sborsare tra i 5 e 7 dollari (a seconda della modalità scelta) per poter essere inserito nel sorteggio. I quali non verranno mai restituiti, indipendentemente dall’esito finale. E ci sono persone particolarmente sfortunate su Internet che narrano in maniera totalmente plausibile di aver speso, attraverso gli anni, più di 150/200 dollari senza aver ancora ricevuto l’occasione di visitare The Wave…
Frutto di condizioni irripetibili che hanno portato ad un momento unico, la cui durata in termini di eoni può essere probabilmente contestualizzata a questo singolo segmento dell’Antropocene, l’eccezionale sito merita del resto di essere protetto. Ma ancor più di questo, è doveroso permettere a qualcuno, se non tutti, di narrarne le spettacolari meraviglie al resto delle genti di questo tempo. Così che la determinazione casuale di chi debbano essere costoro, per quanto inerentemente iniqua in termini di merito e capacità di comunicazione, rappresenta il giusto compromesso, forse l’unico possibile, che consente di perseguire entrambi gli obiettivi allo stesso tempo. Mentre il megafono di Internet agisce, parallelamente, per incrementare ancor di più gli introiti dell’ennesima attrazione instagrammabile, in base alle regole non scritte del quotidiano. Ma digitalizzazione non vuol dire, necessariamente, dissacrazione. Riuscendo a costituire, in molte circostanze possibili, lo strumento più efficace per conoscere e comprendere il mondo.