Le maestose ali del palazzo del potere nella nuova capitale indonesiana

Due modi contrapposti, eppure simili, di percepire e interpretare il mondo. L’uccello mitologico Garuda, cavalcatura di Vishnu ed egli stesso un protettore di rilievo per l’umanità, sorge sopra un plinto per l’altezza di 122 metri e guarda verso il centro dell’isola di Bali. In un altro luogo di quell’arcipelago, dietro gli ampi spazi di un piazzale erboso a Kalimantan (Borneo) una diversa interpretazione dello stesso personaggio, pur condividendo la partecipazione autorale del rinomato artista I Nyoman Nuarta. Non più una statua bensì una perfetta astrazione, due ali architettoniche che si sollevano da una struttura centrale. Il tetto concavo, le facciate del color dell’ossido in acciaio, rame ed ottone. È il Desain Istana Kepresidenan, o Palazzo del Presidente nella “New National Capital City” o IKN. Una creazione artificiale, ma non per questo meno necessaria, che costituisce la destinazione ultima del sito più importante di Nusantara, la città nella foresta chiamata letteralmente “Arcipelago” che dovrà dar forma, in modo duraturo e incontrovertibile, alle aspirazioni politiche ed abitative dell’intero popolo indonesiano. La città perfetta, d’altra parte, non esiste. Ma questo non impedisce di perseguire la città ideale. Pensate a Washington D.C, creata a partire dal 1791 sul progetto schematico di Pierre l’Enfant, o Brasilia, il centro governativo futuribile edificato nel 1956 per il maggior paese sudamericano, sostituendo la sovrappopolata Rio de Janeiro per volere del presidente Juscelino Kubitschek. Principale ispirazione, in modo dichiarato, per il capo di stato Joko Widodo nel compiere l’ardua scelta di far lasciare alla struttura governativa del paese l’ormai problematica Giacarta, un luogo condannato a inondazioni progressivamente più devastanti, fino al previsto inabissamento tra le acque del Pacifico Orientale. Una conseguenza del mutamento climatico troppo incombente, eccessivamente terribile perché sia possibile implementare nessun altro tipo di contromisura. Ma da ogni grave disastro, come sappiamo molto bene, può nascere una larga selezione d’opportunità. Ed è questa la visione fondamentale nata soltanto nel 2021, di un luogo geograficamente più centrale, ragionevolmente spazioso, ragionevolmente al sicuro da disastri naturali essendo situato nell’entroterra in uno spazio liberato appositamente dalla foresta pluviale. In buona parte ma non del tutto, visto come, almeno sulla carta, un tale luogo dovrà costituire il più sostenibile dei megaprogetti, per un investimento dell’equivalente di oltre 15 miliardi di dollari entro la metà del secolo corrente. Con la prima pietra miliare degna di nota pronta a verificarsi giusto verso la metà dell’ormai prossimo mese d’agosto 2024, quando contemporaneamente alla ricorrenza annuale della fondazione dello stato verrà messa in atto l’inaugurazione del nuovo presidente Prabowo Subianto, il quale si è già impegnato a condurre a meta l’impegnativo proposito di spostamento del centro pratico e culturale dello stato asiatico meridionale. Poiché il tempo stringe e le risorse, per quanto copiose in uno dei luoghi maggiormente ricchi dal punto di vista minerario di quell’intero vicinato planetario, falliscono in questo razionale secolo nel proposito irraggiungibile di essere infinite. Il che lascia il passo, per la prima volta nella costruzione di un luogo simile, all’ottimizzazione degli obiettivi e la creazione strutturata di effettive soluzioni Efficienti…

La scelta di Brasilia come ispirazione è un proposito piuttosto singolare poiché la capitale costruita nel distretto federale di Goiás viene oggi considerata a posteriori dagli studenti di urbanistica ed architettura come un progetto largamente incapace di prevedere l’evoluzione dello stile di vita delle persone sul finire del secolo scorso. Costruita sulla base di ampi spazi ed ancor più notevoli distanze, proprio perché avrebbe dovuto favorire l’utilizzo dell’automobile, mentre gli sviluppatori edilizi cominciarono ben presto a segmentare le case popolari in zone periferiche costruite ad hoc, ed affittarle a prezzi economici alle classi meno abbienti, considerate assolutamente necessarie per servire e riverire la nuova classe politica del paese. Un sentiero possibilmente più difficile da percorrere nella versione indonesiana della stessa idea, creata sul principio secondo cui ogni luogo dovrà essere raggiungibile “entro 10 minuti” e proprio per questa, edificata attorno ad un centro raccolto nonostante l’imponenza dei suoi principali punti di riferimento. Che includono, oltre al Palazzo Presidenziale vagamente ma non per questo meno chiaramente ispirato allo storico Pagaruyung dell’isola di Sumatra, una più consueta struttura dedicata al Vice-Presidente, lo Huma Betang Umai dello studio architettonico SHAU, vincitore di una prestigiosa competizione internazionale con la sua proposta squadrata ma capace di aderire alla visione tradizionale di tre parti simboleggianti rispettivamente il sottosuolo, la terra ed il cielo. Assolutamente degne di nota, sebbene ancora ragionevolmente lontane dal completamento, anche strutture come la moschea Masjid Negara, un avveniristico edificio spiraleggiante progettato da Nyoman Nuarta; ed il Centro di Comando equipaggiato per gestire operazioni militari, la cui parte sopra il livello stradale si presenta come il perfetto espletamento geometrico di un arco. Ciò che colpisce maggiormente, ad ogni modo, resta la configurazione stessa delle strade e (poche) piazze cittadine, incluso il grande spazio per parate ed eventi di fronte al Kepresidenan, accuratamente dislocati tra aree verdi lasciate il più possibile incontaminate, come un simbolo estremamente prezioso di quello che vorrebbe, e dovrebbe essere l’Indonesia. Con ogni singolo sito collegato agli altri mediante una fitta rete del trasporto pubblico, rigorosamente autonomo ed alimentato con sistemi elettrici ad emissioni zero. Benché i detrattori in senso ecologico e politico del significativo polo urbano, come ci si sarebbe potuto aspettare, non manchino assolutamente soprattutto in funzione della copiosa quantità di cemento versato nel cuore di uno dei polmoni verdi e poli della biodiversità maggiori al mondo. Ma anche lo spostamento forzato di alcune comunità indigene ancora slegate dalle severe leggi della modernizzazione, facendo di contro spazio a residenze per maestranze provenienti da fuori. Persone che non appartengono, e non possono realmente capire i meriti ulteriori dell’isola di Kalimantan. Così come i politici nelle loro torri d’avorio, destinati a vivere in posizione ben protetta mentre gli oltre 10 milioni di persone a Giacarta continueranno a dover fare i conti, loro malgrado, con il livello dell’acqua che continua inesorabilmente a salire.

Inizialmente il soggetto di numerose speculazioni sulla possibilità di essere completata entro la data prevista, questa prima versione di Nusantara ha tuttavia visto una brusca accelerazione dei cantieri dopo l’esaurirsi della minaccia del Covid, ma potenzialmente anche per la priorità da parte del capo di stato Kubitschek di vedere almeno in parte il suo lascito maggiore in essere prima dell’ormai prossimo esaurirsi del suo mandato. Non che ci fosse sotto alcun altro punto di vista tempo da perdere, come si rendevano già conto le diverse autorità religiose e civili, intente a benedire il terreno scelto per la nuova capitale con terra ed acqua proveniente da diversi luoghi simbolici e rilevanti nella storia del paese che potremmo annoverare tra i più frammentati al mondo. Dai 1.300 gruppi etnici ed 800 lingue distinte, congiunti dalla fondamentale necessità storica d’individuare un terreno comune di riferimento. Il cui spostamento, oltre che un problema logistico, dovrà scontrarsi con l’esigenza mai particolarmente facile di catturare il cuore delle persone. A partire da un simbologia esteriore di sicuro impatto ed altrettanto complicata una volta estratta dal suo contesto. In cui le ali costruite per raggiungere vette celesti, siano queste meramente pratiche o evocate, corrispondono al bisogno di elevarsi dalla visione prevedibile del quotidiano. Poiché anche questo è, o dovrebbe essere, il senso d’appartenenza di una nuova identità nazionale. Ammesso e non concesso che l’attuale status quo, nel delicato equilibrio tra uomo e natura, possa effettivamente riuscire a continuare.

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