Nello studio razionale del linguaggio umano, la differenza tra la coppia di sillabe “Ka” e “Mov” non è sempre necessariamente netta, come si potrebbe tendere istintivamente a pensare. Bensì la risultanza del passaggio fluido, da un’emissione d’aria con le labbra aperte o chiuse, proveniente dal palato piuttosto che dall’area della bocca situata innanzi alla barriera candida dei denti umani. Ed allo stesso modo, puntando il cannocchiale in direzione della storia dell’aviazione a cavallo degli anni ’60, si potrà scoprire la maniera in cui l’effettiva distinzione tra aeroplano w rotodina (o per usare una definizione maggiormente prosaica, l’elicottero) potrebbe definirsi un’imposizione arbitraria utilizzata a posteriori. Laddove l’invenzione di Igor Sikorsky, dal territorio della natìa Russia diventata nel frattempo sovietica fino ai suoi Stati Uniti d’adozione, veniva gradualmente interpretata come una possibile fonte alternativa di portanza, piuttosto che una contrapposizione dogmatica al volo sostenuto da un più prevedibile paio di ali fisse. Fino all’invenzione del Fairey Rotodyne da parte dell’eponima compagnia e per conto dell’Aviazione Britannica, nient’altro che una fusoliera lunga 17 metri, dotata complessivamente di tre rotori: uno puntato perpendicolarmente al suolo e gli altri due paralleli. In altri termini, un convertiplano, particolare mezzo volante capace sia di decollare verticalmente, che muoversi spinto innanzi dai propri motori, al fine di raggiungere con “massima” efficienza il punto d’arrivo designato. Macchina ingegneristicamente complessa e non del tutto priva di problemi, che catturò ciononostante l’attenzione del progettista Vladimir Barshevsky, figura di spicco all’interno del bureau governativo Kamov di Lyubertsy, nella zona esterna dell’oblast moscovita. L’impostazione, e per così dire il linguaggio metodico alla base di una simile implementazione risultava essere, d’altronde, niente meno che perfetto nel contesto del paese più vasto al mondo. Con grandi distanze da colmare ed ancor più eminenti assenze di piste d’atterraggio, in buona parte delle sue propaggini maggiormente remote. Da cui l’iniziativa di modificare pesantemente la carlinga di un comune aereo da trasporto An-12, rendendolo capace di decollo ed atterraggio da fermo, senza per questo sacrificarne eccessivamente velocità e portata. L’oggetto risultante, ben presto approvato in linea di principio dal governo e prodotto negli anni successivi in soli quattro prototipi a causa di una lunga serie d’imprevisti, potrebbe rappresentare in campo prestazionale il più incredibile elicottero mai costruito. Ma anche la manifestazione tangibile di ciò che potrebbe rappresentare, da molteplici punti di vista, il più assurdo tra i Frankestein volanti della storia moderna e contemporanea…
Sollevatosi in volo per la prima volta il 15 agosto del 1959, in ritardo rispetto ai tempi previsti per via di significative e costose modifiche al progetto di partenza, l’esemplare zero del Ka-22 venne dotato di due motori Kuznetsov TV-2VK da 5.900 cavalli ciascuno, posizionati sulla punta delle ali mantenute dall’originale aeroplano ed impiegati per far muovere una coppia di rotori ciascuno, posizionati ad L in maniera analoga alla configurazione del Rotodyne, al fine di garantire le due spinte principali necessarie per poter garantire il volo livellato. L’apparecchio risultava essere tuttavia nel suo complesso ingrandito di un terzo, per un totale di 27 metri finalizzati al trasporto di un’intera compagnia di 100 soldati oppure grazie all’apertura verso l’alto del muso, una quantità variabile di mezzi corazzati leggeri. Ma la vera ragione d’esistenza del Ka-22 con nome in codice Vintokryl (“Ala-Rotante”) almeno in base alle poche informazioni filtrate oltre la cortina della piena guerra fredda, sarebbe stata quella di lavorare in tandem con l’aereo da trasporto pesante Tupolev Tu-95, il quale si sarebbe preoccupato di portare fino a un aeroporto i mezzi semoventi utilizzati per il lancio di missili dotati di testata nucleare. Mentre il conseguente munizionamento, dall’elevato grado di pericolosità per tutti, avrebbe raggiunto gli utilizzatori coi propri veicoli solo successivamente, venendo sbarcato in modo diretto con elicotteri soltanto presso l’effettivo punto designato per l’artiglieria della fine del mondo. Un approccio… Utile? Risolutivo? Difficile capirlo a posteriori e d’altra parte, le regole non scritte della guerra nucleare sempre ahimé possibile sarebbero cambiate successivamente, spostando l’asse della rilevanza maggiormente dalla parte degli ICBM dentro i bunker fissi e i sommergibili a portata delle coste nemiche. In un primo momento ad ogni modo, nonostante l’insolita configurazione in cui il controllo di volo era la risultanza del punto d’incontro tra l’oscillazione dei rotori, la loro velocità variabile e le superfici mobili del tutto simili a quelle degli aerei, il Vintokryl si rivelò dotato di prestazioni notevoli, infrangendo molti record relativi ai velivoli della propria classe di appartenenza in buona parte grazie all’opera dei piloti sperimentali D.K. Yefremov e V.V. Gromov. A partire dalla velocità raggiunta di 356 Km orari durante una dimostrazione nell’estate del 1961, per poi passare il novembre successivo all’impressionante cifra di 16.485 Kg sollevati fino a 2.557 metri d’altezza. Si ritiene inoltre che la portata sarebbe stata superiore a quella di qualsiasi altro elicottero esistente: fino a 720 Km totali, persino con a bordo una parte rilevante del suo carico massimo al momento del decollo. La vera ragione per l’accantonamento di un’ipotetica produzione in serie del mezzo, tuttavia, sarebbe stata come dicevamo la presa di coscienza in relazione agli effettivi rischi corsi da queste figure prive di un innato senso del pericolo, con l’episodio più terribile databile al 28 agosto 1962. Quando il prototipo del convertiplano all’improvviso si ribaltò verso sinistra, schiantandosi a terra e causando la morte dell’intero equipaggio di 7 persone in prossimità di Tashkent. Avendo determinato tale occorrenza come motivata da un guasto del sistema di controllo, i successivi esemplari vennero dotati di un complesso sistema di pilota automatico capace di attivarsi in caso di emergenza, che tuttavia non sembrò funzionare a dovere almeno in un caso, quando nel 1964 il terzo esemplare finì per entrare in una picchiata irrecuperabile poco fuori Mosca, costando la vita al pilota ed ingegnere di bordo, benché in tale occasione gli altri passeggeri ebbero salva la vita.
Prima che l’Unione Sovietica decidesse dunque di accantonare totalmente il Vintokryl, a cui nel frattempo gli americani largamente incerti sulle potenzialità inerenti avevano attribuito il nome in codice Hoop, ci fu il tempo per elaborare alcune varianti eccezionalmente atipiche ed interessanti. Forse la più realistica delle quali, il Kamov Ka-35D rimasto alla fase progettuale, avrebbe visto la sostituzione delle due eliche tiranti con un paio di potenti motori a reazione, aumentando teoricamente in modo considerevole la distanza e velocità di volo. Assolutamente degno di menzione anche l’ipotetico Ka-34, una versione con ali inclinate verso il basso e due motori a doppia elica coassiale controrotante, presumibilmente al fine d’incrementare l’efficienza (se non la silenziosità) del mostruoso, dinamico apparato. Forse la risposta più diretta alla domanda su quanto sia possibile cambiare le regole dell’economia progettuale, nel tentativo di raggiungere obiettivi non sempre del tutto chiari e definiti.
Ma non è proprio questa, la logica dietro al linguaggio di chi immagina e costruisce gli elicotteri? Mezzi di trasporto almeno in apparenza contrapposti ad ogni ragionevole interpretazione della fisica. In cui l’aggiunta di ulteriori accorgimenti tende a complicare, piuttosto che semplificare le cose. E questo è vero i ogni tipo di contesto nazionale di riferimento. Sia in tempi di pace, che ascoltando faticosamente il sibilo dei venti di guerra.