L’auto pesce creata come simbolo dell’ipertrofismo californiano

Non tutti hanno la fortuna di vedere realizzati i propri sogni, per quanto ardui o remoti possano sembrare in linea di principio, sulla base del presente in cui dovranno essere contestualizzati: momenti come il Los Angeles Auto Show del 2013, quando i visitatori dello show floor principale si trovarono al cospetto di qualcosa di assolutamente privo di freni inibitori inerenti. Un veicolo con quattro ruote, senza dubbio, ma la familiarità poteva fermarsi a questo punto; per la grandezza di quest’ultime, più simile a quelle di un trattore, accoppiate ad un design estetico che avrebbe avuto, pur con tutta la sua bizzarria, collocazione idonea ai margini di un catalogo di supercar dei nostri giorni. Non fosse stato per le dimensioni dell’oggetto in questione, lungo poco più sei metri e largo 2,3 distribuiti in una carrozzeria che non si sarebbe trovata a disagio nella zona mesopelagica di uno dei principali oceani di questo azzurro pianeta. Rigonfia, piuttosto che stondata; mostruosa, prima che aggressiva; insolita fino al punto di voler sfuggire a qualsivoglia tentativo di categorizzazione, nelle sue 3,4 tonnellate paragonabili al peso di un piccolo autobus cittadino. Ecco a voi la Youabian Puma, probabilmente tra le one-off più assurde della storia dei motori, che tale avrebbe dovuto rimanere se non fosse stato per l’inaspettata celebrità internazionale acquisita, grazie ai numerosi articoli moltiplicatosi, online e altrove, nell’ostinato tentativo di qualificarla come “orrore degli orrori” o “terrificante pugno in un occhio”. Come se il gusto dettato dalle regole comuni del senso estetico fosse l’unica maniera di relazionarsi con il mondo e le cose più sfrenate contenute al suo interno, manifestazioni identitarie di una sovra-personalità che grava sulle spalle di ognuno di noi. Fatta eccezione, possibilmente, per l’esclusivo club dei creativi avanguardisti, a cui avrebbe pieno diritto d’appartenenza l’eclettico chirurgo plastico di Los Angeles Kambiz Youabian, dalla cui mente è scaturita, come progetto del tutto collaterale, l’imponderabile presenza del titolare miracolo (o terrore deambulante) nel campo spesso trasversale del design con sottotesto e simbolismo delle circostanze accidentali. Creata in base alle informazioni reperibili su Internet a partire dal telaio di una Volvo C70, profondamente modificato e appesantito dall’impressionante carrozzeria in fibra di vetro, l’automobile sembrerebbe aver trovato la sua forza interiore mediante l’aggiunta di un motore sportivo “ispirato alle corse” di tipo V-8 in alluminio pressofuso da 427 pollici e 505 spropositati cavalli di potenza, capace di spingerla fino a 100 Km/h nel tempo di appena 7 secondi. Poiché per quanto lo stesso creatore avesse dichiarato, nel corso dei suoi 5 minuti di celebrità, di non considerare le prestazioni o la velocità di punta particolarmente importanti, era pur sempre necessario giungere a giustificare l’alto prezzo di acquisto e l’appartenenza ad un settore popolato di Ferrari, Porsche e Lamborghini nei garage dei miliardari della baia californiana. “Chiaramente, quest’auto non è pensata per chi ha appena un milione di dollari da spendere, e nessun toro o cavallino nel suo garage. Ma per coloro che già possedendo i tipici simboli dell’opulenza motorizzata, adesso vogliono qualcosa di assolutamente diverso…”

Un prodotto atipico per pochi eletti dunque, che porta alle più estreme conseguenze il detto sovranazionale: “Per molti, ma non per tutti.” Ed in effetti il Dr. Youabian, che al momento del reveal alla stampa aveva già lavorato al suo progetto per un periodo di 7 anni, aveva in origine pensato di produrre un minimo di tre vetture l’anno, destinate a una clientela possibilmente collocata nel punto più alto del mondo dell’ultra lusso che si trova correntemente al di sopra della vigente situazione socio-economica globalizzata; una visione probabilmente ottimistica, dopo le prime recensioni informali pubblicate sulla stampa di settore. In un primo momento diventate il bersaglio di una serie di lettere fatte scrivere a uno studio legale di rappresentanza, per le crudeli metafore e spietate elucubrazioni espresse in merito al carattere di costui o coloro che avevano reso possibile l’esistenza di un tale bolide del tutto privo di precedenti. Tanto atipico nella propria configurazione esterna, con tetto convertibile automatico e una disposizione del cofano vagamente simile a quella di un Warthog della serie di videogame Halo, non fosse stato per la sua gibbosità inerente. Per non parlare della linea laterale in corrispondenza degli sportelli, tale da evocare associazioni ittiche piuttosto che far all’aggraziato e furtivo felino di montagna usato per denominare la vettura. Forse scelto, a tal proposito, proprio al fine di rendere manifesta l’aggressività desiderata, un’immagine di grinta strettamente connessa a quel gotha di persone dall’autostima incommensurabile, nate in quel particolare momento storico che continua tutt’ora. Come spiegare altrimenti, in questo ultimo anno selvaggio, l’immenso e spesso inspiegabile successo di pubblico tra l’incredulità dei commentatori esperti, vissuto da un altro antagonista del design come il Tesla Truck? Apparentemente incline a rigettare qualsiasi canone estetico ereditato, proiettando ancor più verso l’empireo la personalità ed il mito della figura di Musk. Il cui stesso potenziale inespresso forse si trovava all’origine della Puma, che in almeno un’intervista rilasciata al portale Autoblog è stata associata dal suo autore ad un latente quanto ineffabile interesse da parte dei proprietari di auto elettriche; quasi come se dall’accettazione di un cambiamento radicale su cosa sia, e come dovrebbe funzionare il motore di un’auto di lusso potesse derivare un cambiamento anche esterno delle sue caratteristiche visuali maggiormente eminenti. E che dire della sensazione di trovarsi letteralmente sopraelevati rispetto al livello comune del traffico stradale, ma racchiusi in un abitacolo appropriato per automobili dalle proporzioni decisamente più convenzionali, con visibilità limitata ma l’assoluta certezza di poter bruciare ai semafori anche i più ardimentosi possessori di bolidi emersi dal mondo della più assoluta banalità del tempo presente.

Strana, irragionevole, senza compromessi. Riuscite a intravedere i meriti, nel linguaggio comunicativo delle percezioni presenti, di una tale proposta automobilistica fuori dal coro? Anche qualcun altro parrebbe esserci riuscito, a voler dare credito alle tre vendite totali dichiarate da Youabian, di cui una negli Emirati e due presso facoltosi, quanto misteriosi imprenditori cinesi. Quantità senz’altro insufficiente a giustificare l’impressionante quantità di tempo e risorse investite dall’eclettica figura del settore medico, che ha poi dichiarato di non voler più avere a che fare, per lo meno nell’immediato, con la produzione automobilistica, indipendentemente dal livello d’esclusività inerente.
Poiché non è sempre piacevole, né remunerativo anche dal punto di vista spirituale, scontrarsi con la mente collettiva dai ritmi e regolamenti ferrei e intransigenti. Nonché dotata di un megafono particolarmente preponderante, al fine di esprimere opinioni che nessuno aveva chiesto, prima ancora del concludersi dell’emersione dalla crisalide dell’ennesima cangiante falena. O che fosse giunta palesarsi, da quel ramo periferico del mondo, più che altro un qualche tipo di alata balena?

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