Ventimila vivevano nel mega-condominio. Internet ne ha fatto un argomento. Benvenuti, trentamila

Molti temono visceralmente l’istituto della riunione di condominio, come circostanza problematica in cui le difficoltà inerenti della convivenza vengono portate innanzi, cementando antipatie possibili in vera e propria ostilità. Ma il popolo che parla del futuro di un edificio convenzionale, se non altro, si compone in genere di una decina, al massimo venti o trenta persone. Limitando le interconnessioni problematiche ad un modulo non necessariamente, né in genere terribilmente complesso. Immaginate ora i possibili intrecci per un tipo di collettività corrispondente numericamente a quella di un intero insediamento dalle dimensioni non propriamente trascurabili, come un comune italiano del basso Lazio o una piccola “città” norvegese. Tutti assiepati, come soltanto in Asia può succedere, all’interno di una singola iper-struttura del contesto urbano spropositato. Questo è il New World Regent International ed è in effetti un luogo che potrebbe esistere soltanto qui, ad Hanzgzhou. Nella metropoli di oltre 10 milioni di anime dello Zhejiang, tra i cui confini la proprietà immobiliare viene concepita nella maggior parte dei casi come un privilegio appannaggio di poche, potenti compagnie di gestione. Contestualizzando e settorializzando sensibilmente i diritti degli inquilini, fino ad offrire l’opportunità di crescita in termini di affitti guadagnati. Senza bisogno di acquistare immobili ulteriori o effettuare operazioni di reale rinnovamento. Siamo qui, del resto, in quello che la stampa online ha definito circa tre o quattro anni a questa parte come “L’edificio di appartamenti delle celebrità di Internet”, lasciando ampio spazio ad interviste ai molti volti noti dello schermo digitale, principalmente operativi sull’equivalente cinese di YouTube, Douyin, per descrivere gli aspetti migliori e quelli non propriamente ottimali di un simile luogo non del tutto o necessariamente ameno. A cominciare dal distinto androne simile a quello di un hotel “multi-stella” (parole loro) con ampia profusione di marmo e rifiniture di una certa eleganza, dove si narra che nei primi tempi successivi all’inaugurazione nel 2014, durante le feste come il Capodanno o quella di Metà Autunno si accumulassero impressionanti quantità di fiori ed altre decorazioni, almeno in parte inviate in dono ai più facoltosi ed importanti abitanti dell’edificio. Una circostanza oggi in larga parte ardua da immaginare, soprattutto una volta che s’inizia ad inoltrarsi nei piani superiori, incontrando una quantità impressionante di porte silenziose, appesantite da un vago senso d’isolamento e solitudine apparente. Finita l’epoca in cui le amicizie forgiate presso i campi sportivi incorporati nel complesso e le sue piscine creavano un senso d’appartenenza tra gli abitanti, oggi semplicemente troppi e frequentemente mutevoli perché si possa immaginare di conoscersi anche tra i dirimpettai di un singolo piano. E la ragione va cercata, come spesso capita, nell’universale aspirazione al profitto (o recupero d’investimento) dei proprietari…

Che il New Regent fosse già gremito per sua implicita impostazione progettuale non è dunque troppo arduo da immaginare. Per un colossale doppio palazzo disposto a forma di lettera “S”, con numerose strutture d’interconnessione ed un ombreggiato cortile centrale, nonché amenità e negozi interni, inclusi luoghi d’approvvigionamento alimentare e persino un barbiere, sufficienti a non dover mai necessariamente superare il portone principale. Se non per il bisogno oggettivamente imprescindibile di pagare l’affitto, espletato da una gremita classe sociale chiamata localmente come “I vagabondi di Hanzgzhou” principalmente tramite lavori del settore terziario ovvero i cosiddetti colletti bianchi, qui particolarmente favoriti dalla vicinanza alla stazione della metro recentemente completata ed un canone oggi tendenzialmente in grado di scendere fino ai 2.000 yuan (pari ai 250 euro mensili) per gli spazi di minor pregio, rispetto alle cifre mediamente cinque volte superiori di una decade a questa parte. E la ragione di questa apparente svalutazione, che in realtà deriva da un fenomeno letteralmente all’opposto, è presto detta: con trasporto e spirito imprenditoriale tipico dei facoltosi amministratori d’Oriente, gli sviluppatori del New World Group hanno deciso di massimizzare il ritorno d’investimento iniziale segmentando brutalmente le affascinanti proprietà con vista sul fiume cittadino, così da prendere appartamenti da 140-200 metri quadri e trasformarli fino ad 8-9 vani indipendenti, ciascuno dotato dei propri servizi ma non necessariamente finestre, balconi, vie d’accesso per l’evacuazione o impianti antincendio funzionanti. “Ventimila persone non bastano a spegnere il pericolo. Ma una sola può causarne la deflagrazione” affermano così cartelli di ammonimento posizionati strategicamente in prossimità degli ascensori. Il che non serve, alquanto prevedibilmente, a tranquillizzare le persone. La caratteristica interessante del mega-condominio in questione, rispetto a simili progetti in altri luoghi del mondo, è tuttavia una persistente assenza di alcun tipo di apprezzabile degrado. Con ambienti mantenuti in ordine e puliti, sebbene la vita all’interno non sia sempre facilissima, particolarmente dopo l’introduzione di una “tassa ecologica” per l’uso dell’ascensore ed il costante sovrapporsi dei numeri degli interni tra il primo ed il secondo edificio del complesso, che tende a rendere il recapito di posta o far visita ai residenti sorprendentemente complesso. È la mentalità del collettivismo dell’Asia Estremo Orientale alla base di un particolare stile di vita, così lontano dalle esigenze di spazi e tranquillità uditiva affine alle percezioni del resto dei continenti, a vantaggio di strategie abitative che non sembrerebbero dover funzionare, eppure riescono perfettamente a farlo. Inferno o Paradiso; ai posteri l’ardua sentenza.

Così riemerge nella mente di un certo tipo di studiosi di quel mondo e quella cultura, l’immagine di luoghi come la famosa città murata di Kowloon, l’enclave ai margini di Hong Kong diventata celebre tra gli anni ’50 ed ’80 per l’impressionante densità dei suoi abitanti, in grado di raggiungere le 50.000 persone in appena 2,6 ettari d’estensione. Luogo, di suo conto, controllato da diversi sindacati extra-legali privi di scrupoli latenti, con conseguenze sulla qualità della vita alquanto significativi fino alla demolizione coatta dell’interno labirinto di cemento all’inizio degli anni ’90. Per un nuovo inizio qualitativo, se non finalizzato al capovolgimento delle massime aspirazioni ed esigenze degli abitanti di questi luoghi: un tetto sulla testa, un piccolo spazio privato. Ed il senso di appartenenza, in qualche modo rassicurante, alla più vicina approssimazione del concetto del formicaio umano. Talvolta utile, variabilmente funzionale. Ma sempre ed immancabilmente, al di sopra di qualsiasi altro aspetto, redditizio.

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