Cento ruote per l’arrivo pre-determinato del più lungo ponte aeroportuale al mondo

Un attimo, una pausa, un refolo di vento. L’imponente pachiderma aerodinamico che sfila, lentamente. Visto da una prospettiva inusuale: le ali si dipanano come triangoli gettando l’ombra in posizione perpendicolare. Ma nessuno, qui, riesce a vederla. Perché siamo tutti sopra, là dove la coda si eleva fino a raggiungere la suola delle nostre scarpe. Separate, come singola barriera, da uno strato spesso e trasparente. Come avrebbero potuto mai resistere, alla tentazione d’includere una tale caratteristica? In una struttura simile, dalla funzione estremamente pratica. Il cui valore aggiunto è pura e non adulterata spettacolarità a vantaggio di coloro che si trovano ad attraversarlo ogni giorno. Tutti i ponti, d’altra parte, sono panoramici. E lo Sky Bridge dell’Aeroporto Internazionale di Hong Kong riesce ad esserlo in maniera altamente caratteristica, proprio per il “corso” che si trova ad attraversare. Niente meno che la taxiway, o sentiero di rullaggio, parallela ad una delle piste principali di quel complesso. Di per se un luogo e trionfo dell’ingegneria globale da innumerevoli punti di vista, cui a partire dal novembre del 2022 si è aggiunto per l’appunto il record titolare dai notevoli 200 metri, la cui edificazione ebbe a dipanarsi sulla base di linee guida profondamente diverse dalle aspettative comuni. Avendo dato l’essenziale priorità a quel tipico e saliente approccio degli interventi di costruzione aeroportuali: velocizzare, intervenire trasversalmente, dare continuità al servizio di decollo ed atterraggio per gli aerei destinati alla regione amministrativa speciale ed ex-colonia britannica, luogo di approdo delle navi provenienti dalla Vecchia Europa. Che potranno anche essere state affiancate nel loro servizio dai veloci e potenti velivoli dei cieli, tra cui l’abnorme vettore passeggeri Airbus “Super-Jumbo” A380, ma con aumento esponenziale della gente interessata a giungere o lasciare i presenti lidi. Così da richiedere la costruzione, nel 2007, di un ulteriore terminal “satellitare” dedicato ai jet di linea più piccoli, capaci di trasportare un massimo di cento persone alla volta. Eppure la zona di transito intermedia rimaneva condivisa. E come permettere, dunque, alla gente di raggiungere l’alternativo luogo d’imbarco, senza prendere ogni volta una navetta? E senza dover aspettare per attraversare il passaggio di questo o quel bolide impegnato a raggiungere l’invitante punto d’ingresso dei cieli? C’erano diverse possibili metodologie d’approccio alla questione, ma il direttore tecnologico Ricky Leung assieme alla sua commissione ingegneristica si ritrovarono a scegliere questa: l’investimento di almeno un quarto degli 8 miliardi stanziati per l’ampliamento dei servizi e infrastrutture nella costruzione di un punto di passaggio svettante. Il minimo che fosse abbastanza, in modo tale da permettere la soluzione ed accantonamento del saliente problema…

Ora la scelta di costruire sopra, piuttosto che scavare un più abbordabile sottopassaggio da un terminal all’altro fu in effetti motivata da considerazioni di natura pienamente razionale e non semplice vanità estetica o altre simili o superflue predisposizioni procedurali. Poiché come potreste già sapere, l’aeroporto inaugurato nel 1998 per la palese insufficienza del precedente Kai Tak intraurbano si trova su un’isola largamente artificiale che costituisce l’ampliamento reclamato a partire dallo scoglio di Chek Lap Kok, implicando inerentemente problematiche legate al livello dell’acqua ai margini dei vasti spazi di manovra. E questo anche senza considerare le difficoltà tecnologiche nel ricavare un tunnel percorribile al di sotto di un sentiero di rullaggio, destinato al supporto di mezzi estremamente pesanti e inclini a indurre significative vibrazioni mentre procedono all’indirizzo dei propri punti di partenza o luoghi di parcheggio designati. Al che si aggiunge necessariamente il bisogno, già menzionato, di poter intervenire nella costruzione dell’orpello in maniera tale da non provocare blocchi nel flusso vitale di arrivi e partenze, in prossimità delle dorate spiagge di HKG dove ancor più di tanti altri luoghi, il tempo è denaro. L’idea fu dunque non del tutto rivoluzionaria, benché eseguita con notevole perizia e piglio di assoluta spettacolarità logistico-organizzativa. In relazione al ponte titolare, costruito principalmente in metallo e dotato delle stesse facciate in vetro concepite per rompersi in situazioni estreme presenti nelle strutture circostanti, con la finalità di preservare l’opera dell’uomo dall’impatto degli uragani, non del tutto infrequenti in quest’area geografica densamente abitata. Così come la solida struttura prefabbricata costruita in quattro componenti presso le non vicinissime acciaierie di Zhongshan, prima di essere imbarcati e consegnati a 3,5 Km dal loro punto di assemblaggio finale. Ed è proprio qui che entra in gioco, come mostrato in apertura, il contributo della grande multinazionale dei trasporti Mammoet con l’ausilio dei suoi macchinari SPMT (Self-Propelled Modular Transporter) e il sistema di sollevamento Mega Jack 5200, normalmente utilizzato per la posa in opera di piattaforme petrolifere prima di procedere a trainarle in mare. Appena sufficiente per le circa 5.000 tonnellate dell’arco panoramico da porre a 27 metri d’altezza nel suo stato quasi-pronto-all’uso, non potendo di suo conto fare affidamento sulla stessa natura scalabile al bisogno dei piatti e larghi veicoli da fino ad otto assi di pneumatici ciascuno, impiegati successivamente allo sbarco proprio per portare a destinazione l’imponente e riflettente struttura. In una marcia concettualmente non dissimile da quella di un millepiedi che insegue le prime luci dell’alba su un pianeta rimasto alla Preistoria delle abnormi creature.

“Costruito” in poco più di una decina di giorni e inaugurato nell’inverno del 2022 alla presenza delle maggiori autorità governative, il ponte panoramico ha dunque costituito da quel momento nelle parole di alcuni dei suoi più entusiastici utilizzatori, “Il paradiso dell’aircraft spotter“, collega tecnofilo del classico appassionato d’uccelli armato di binocolo e macchina fotografica d’ordinanza. Al fine di catturare immagini dei propri mezzi preferiti dalle angolazioni più diverse ed interessanti, inclusa l’opportunità precedentemente inesplorata di poter guardare la cabina di pilotaggio dall’alto. Una priorità non del tutto assente nella progettazione del ponte, considerando la presenza prevista del cosiddetto sky lounge, uno spazio dal punto d’osservazione privilegiato con sedili pubblici, diagrammi del percorso degli aerei e gli imprescindibili binocoli (presumibilmente) a gettone. Qualcosa, in ultima analisi, capace di elevare una mera necessità infrastrutturale al rango di vera e propria attrazione turistica, da cui far cominciare la propria visita di una delle città più futuristiche al mondo. Hong Kong con tutti i suoi pregi e difetti, la posizione politica precaria e la necessità non sempre semplice di far valere i propri diritti. Ma fin dal concludersi degli ardui giorni delle guerre dell’oppio un luogo di concentrazione, con pochi pari al mondo, di tutte le speranze e le risorse pecuniarie delle persone. A bordo delle loro aerodinamiche fusoliere, aggiornamento degli scafi nautici dei secoli precedentemente occorsi.

Lascia un commento