AA Minotauro cercasi, per cerchio labirintico che ha fermato il cantiere dell’aeroporto

Il sommo Zeus nella propria gioventù divina presentava un’immagine sensibilmente diversa da quella a cui siamo il più delle volte avvezzi. Nessuna lunga barba bianca, niente fulmine lampeggiante stretto nella mano destra, e soltanto un mero accenno dell’infinita tracotanza e hubris di una personalità ormai compromessa dal potere senza limiti di vita e morte su ogni essere, compresi gli immortali dell’Olimpo superno. Ciò detto, non gli erano del tutto estranei gesti di assoluta magniloquenza e miracoli di vario tipo, come quando liberatosi dalla minaccia di essere fagocitato dal padre cannibale, decise di cercare sua madre Era per manifestargli opportuna riconoscenza. Ed affacciandosi dalla più alta rupe, alzò entrambe le braccia, inviando in direzioni contrapposte altrettante aquile reali, specialmente addestrate e condizionate a compiere il suo volere. Narra dunque una leggenda che i maestosi volatili, avendo compiuto individualmente un mezzo giro del pianeta, avessero finito per incontrarsi agli esatti antipodi della sua posizione (già: contrariamente allo stereotipo, i Greci erano perfettamente a conoscenza delle forma sferoidale di questo corpo celeste). Ed ivi Zeus, discendendo dal suo carro magico, avesse decretato che fosse costruito un santuario dalla forma circolare, il quale venne definito dai mortali dei secoli a venire con il nome di Omphàlio Pedìo ovvero, l’ombelico della Terra.
Ecco, dunque, il problema: giacché forse l’avrete notato, gli ombelichi hanno una forma tondeggiante. E l’architettura del Mondo Antico, in modo particolare quella dell’Attica e del Peloponneso, non era certo avvezza a costruire strutture dalla pianta tanto problematica, considerate le problematiche di lavorare senza i mezzi tecnologici ed ingegneristici dei loro successori, anche spostandoci in avanti soltanto fino all’epoca dei Romani. Con appena un paio di esempi connotati da siffatta forma, nel famoso edificio ellittico di Hamaizius e il palazzo ciclopico proto-ellenico di Tirinto. Immaginate dunque la sorpresa, e l’iniziale senso di smarrimento, vissuto all’inizio di questo giugno dagli operai incaricati di gestire la costruzione del nuovo aeroporto militare dell’isola di Creta, il Kasteli LGTL, quando gli scavi per la costruzione della torre radar sopra la collina di Papoura iniziarono a rivelare la circonferenza di qualcosa di misteriosamente configurato attorno ai 1.800 mq d’estensione, ma altrettanto innegabilmente, antico più di qualsiasi altra cosa avessero incontrato nel pregresso svolgimento delle proprie mansioni. Fatta eccezione forse per l’ultimo anno e mezzo di tribolazioni presso gli immediati dintorni di Heraklion, durante cui è stato portato alla luce un gran totale di 25 siti archeologici di varia natura ed importanza, richiedendo ogni singola volta il coinvolgimento delle autorità ed il ministero della cultura, onde procedere alla messa in sicurezza o rimozione dei manufatti. Ma come comportarsi quando la natura ed estensione del ritrovamento esula, come in questo caso, dall’opportunità di catalogazione e rimozione tramite l’impiego di metodi ampiamente collaudati da queste parti?

Siamo largamente coscienti anche qui in Italia, ed in modo particolare riescono a esserlo gli abitanti della capitale che ostinatamente attendono il completamento della Metro C, delle difficoltà inerenti nell’occupare un luogo d’insediamento antico di molti millenni, almeno ogni qual volta si dovesse tentare di estendere i propri interessi architettonici a contesti, sepolti ove giacciono testimonianze di un patrimonio archeologico dall’immenso valore. Così non ci è voluto molto, dopo l’immediato arresto delle operazioni aeroportuali, affinché il Ministero della Cultura e quello delle Infrastrutture e Trasporti greci organizzassero un incontro a metà mese, al fine di stabilire un piano d’azione da cui è emerso prevedibilmente l’intento di preservare e custodire ad ogni costo la misteriosa struttura cretese. Un complesso di edifici concentrici, dalla pianta paragonabile in effetti a una ruota di carro, facilmente databile all’epoca proto-palaziale del periodo Medio Minoico (2.100-1.870 a.C.) grosso modo corrispondente a quando gli abitanti della quinta isola più vasta del Mediterraneo iniziavano l’edificazione dei grandi palazzi situati a Cnosso, Festo e Malia, la cui funzione probabilmente non limitata a residenza di un’elite regnante, ma piuttosto a un uso pubblico legato all’interscambio di merci ed opinioni, resta oggetto di notevoli conteziosi nella scena archeologica contemporanea. Il che si applica, per estensione, anche al cerchio di Papoura che pur essendo più piccolo, condivide una struttura interna immaginabile con molte stanze interconnesse in modo spesso imprevedibile e labirintica, evocando dai recessi immaginifici la consueta immagine del dedalo che venne superato dall’eroe Teseo. E la creatura in esso addormentata, taurina e deforme, che attendeva unicamente l’opportunità di poter saggiare nuovamente il delicato gusto della carne umana. Il che potrebbe anche essere una mera associazione contestuale priva di fondamento, così come quella sopra menzionata del perduto Omphàlio Pedìo, allorché si scelga di seguire l’ipotesi più semplice accampata dagli archeologi in questo paio di settimane, che vedrebbe il cerchio costruito sull’alta collina appartenere alla categoria delle Phryctoria (φρυκτωρία da “torcia” più “cura”) o torri di segnalazione ottica finalizzate a lanciare un allarme a grande distanza, affinché i guardiani del tronco di cono successivo in muratura potessero vederlo, accendendo a loro volta le proprie braci. Dopo tutto, raramente i radar aeroportuali vengono costruiti in pianura e non è facile immaginare l’effettiva altezza che un sito archeologico doveva avere ai suoi tempi, fatto salvo per quelli graziati da un’integrità complessiva che risulta in questo caso assente.

Spetta ancora una volta a questa terra relativamente poco estesa, e ciò che resta della civilizzazione di un tempo, a rivoluzionare le nostre percezioni di quali fossero i crismi operativi, e le priorità pregresse dei nostri insigni antenati. Benché risalire all’Età del Bronzo, in assenza di prove documentali e codici appropriatamente decifrati, continui a presentare non pochi problemi per tutti coloro che aspirano alla conoscenza della verità di suprema.
Di cui forse un essere superno che ama ed odia come noialtri, in grado di compiere infinite metamorfosi per dare sfogo alle proprie bramosie carnali mentre lancia strali fulminanti all’indirizzo dei propri avversari, costituisce una delle personificazioni maggiormente calzanti. Ed è per questo che proprio nel culto dedicato in via specifica alla gioventù del Sommo, potrebbe nascondersi la chiave di volta necessaria a ricondurre i fili della narrazione fino al prologo di ogni cosa. Fatto salvo per l’epoca oscura e d’infinite barbarie, in cui era soltanto il Tempo a dominare con la propria fame d’incolpevoli neonati dormienti.

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