Essere protagonista, il personaggio principale, un magnete per gli sguardi e per le inquadrature. Esiste niente in grado di costituire, meglio di tale caratteristica, il nesso unico e fondamentale di Dubai? Una città nata tra il deserto e il mare, dalle opportunità create grazie ai crismi del mercato globale contemporaneo. Piena di contraddizioni dal punto di vista sociale, ma perfettamente coerente nel suo modo di porsi: un fantastico giardino dei sogni dedicato alla ricchezza e costruito sul principio dell’orgoglio autoreferenziale, tanto che volendo giungere a individuare il proprio emblema, i suoi amministratori non avrebbero esitato a farvi costruire uno specchio gigante. Ecco, dunque, The Frame: la cosa più vicina realizzabile dal punto di vista ingegneristico, un palazzo (o monumento) misurante 150×95 metri con riferimento proporzionale al rapporto aureo scoperto dagli artisti e filosofi del Mondo Antico. Costituito da due torri e un architrave superiore, che sarebbe totalmente lecito chiamare una sorta di ponte. Ed un piano terra dalla forma speculare tanto da costituire, assieme a quei montanti, il più evidente esempio di edificio figurativo dei nostri giorni: la cui forma è quella, finemente ornata e ricoperta di una sfolgorante ed aurea patina, di una cornice per fotografie di gran pregio. Immagino sia facile comprenderne l’intento: quello di offrire non soltanto al pubblico turistico il bordo idoneo per commemorazioni pittografiche dei propri album di viaggio. Bensì alla città stessa il più magnifico Portale, verso gli alti grattacieli che costituiscono il suo simbolo nel novero delle meraviglie urbanistiche dei nostri giorni; e da questi ultimi come punto di vista, la cruna o il tunnel dell’anello, oltre cui lo sguardo può inoltrarsi a cogliere la città vecchia ed il palazzo con giardino ritrattistico dell’Emiro Al Maktum.
Qualcosa… Di nuovo, è giusto definirla, questa stolida presenza completata nel 2018, sull’idea originale dell’architetto messicano Fernando Donis. Ma NON la direzione dei lavori e ciò è meritevole di essere specificato, in quanto costituisce uno dei nodi principali ai margini di quel rettangolo per l’ornamentazione pratica dello skyline cittadino. Concepito con finalità specifica, nonché riuscita, di vincere un concorso indotto nel 2009 dalla multinazionale degli ascensori ThyssenKrupp per la creazione del “Nuovo emblema di Dubai”. Così da concedere al creatore e trionfatore dell’appalto un cospicuo premio da 100.000 dollari ma senza per questo chiedere in cambio alcuna clausola di rinuncia incondizionata alla propria proprietà intellettuale. Se non che il Governo Municipale della capitale dell’emirato, vedendola diversamente, decise nondimeno di affidarne la costruzione alla compagnia olandese Hyder Consulting. Giungendo a porre in essere un’effettiva versione della cornice considerevolmente meno sobria ed elegante rispetto ai disegni del concetto, eppur capace, anche in funzione di questo, di restare maggiormente impressa nelle retine dei suoi fruitori. Per non parlare di coloro che dovessero decidere, in tale frangente, di visitarla…
The Frame (“La Cornice”) costituisce a tal fine il tipico e frequentemente ripetuto esempio di museo dell’epoca contemporanea nella penisola arabica, finalizzato a offrire spunti di collegamento tra un passato tradizionalista ed il futuro pieno d’opportunità dei prossimi incombenti secoli di storia umana. In tal senso, oltre al panorama che incornicia ed offre di osservare da chi ne percorre il piano superiore, include nel suo piano terra e mezzanino spazi dedicati rispettivamente a una ricostruzione storica e scenografica della prima Dubai, quando essa costituiva poco più di un villaggio di pescatori affacciato sul golfo Persico, ben presto seguìta da una grande sala per la proiezione dinamica di quello che potrebbe essere il suo domani. Mostrato grazie alla ricostruzione in CG di rotaie magnetiche sospese, vasti acquari sottomarini e alquanto inaspettatamente, una vero e proprio spazioporto con collegamento diretto verso le accoglienti (?) valli marziane. Esperienze certamente meritevoli di essere sperimentate, prima d’inoltrarsi fino al punto d’ingresso di uno dei due ascensori del palazzo speculare, per dirigersi verso la sommità costituente in via formale meramente il “primo piano” dell’edificio. Un altro spazio ridimensionato concettualmente rispetto al piano programmatico, per cui si era pensato in un primo momento di offrire ai visitatori una singola lunga sala sopra un pavimento del tutto trasparente. Per poi preferire, con riguardo ai timorosi delle altezze ed altre ragionevoli personalità di passaggio, la soluzione di una serie di pannelli disposti al centro con una tecnologica capacità d’oscurarsi autonomamente, ogni qual volta i turisti manchino intenzionalmente di poggiarvi sopra i piedi. Dopo un tempo variabile dedicato alla contemplazione del panorama, concludono la visita un punto di ristoro sopraelevato ed una visita al negozio di souvenir, che include penne-gadget e ricostruzioni in scala della forma vuota del bizzarro edificio.
Il che serve a riportare la nostra percezione all’eccezionalità tecnologica della sua creazione, iniziata con la posa in opera procedurale dei due montanti identici in cemento armato per poi passare al sollevamento tramite quattro martinetti della capacità individuale di 300 tonnellate dell’architrave in acciaio concepita per collegarli, un gigantesco elemento prefabbricato da ricoprire con l’opulente facciata allusiva al più pregiato e desiderabile dei metalli. Di per se composta, contrariamente alle apparenze, di un sottile strato di acciaio ricoperto con nitrato di titanio, così da creare la tonalità giallo splendente che completa, tanto efficacemente, il look stravagante dell’edificio. Poiché neppure Dubai, con tutte le sue munifiche risorse, avrebbe potuto procurarsi una simile quantità d’oro…
Accantonare momentaneamente i propri problemi, preoccupazioni, cognizioni preoccupanti in merito all’epoca che stiamo vivendo, costituisce in fin dei conti uno dei vantaggi impliciti di chi sceglie, periodicamente o di continuo, la vita del viaggiatore. Il che può e dovrebbe anche estendersi alle problematiche pendenti dei luoghi che esso sceglie di visitare. Cosa importa, dunque, delle priorità di chi realizza una struttura simile, rispondendo ai crismi autorali dell’epoca contemporanea del grande capitalismo? Dove “vincere” significa non solo accumulare, ma anche spendere, costruire più o meno sproposito, ovvero dimostrare Qualcosa a chi ha occhi e orecchie per comprenderne le implicazioni meno evidenti. Allorché nulla può riuscire a esistere per sempre, tranne la percezione rinnovata di un qualcosa di assolutamente degno di essere ricordato! Ma persino i quadri migliori possono apparire effimeri, senza un adeguato rettangolo magico a costituire i margini della propria duratura essenza.