Irsuta come l’osso, fungina panacea contro il declino delle cellule cerebrali?

La ricerca terrena dell’immortalità fu da sempre un punto cardine di molte discipline filosofiche orientali, agevolando potenzialmente l’integrazione culturale di particolari utili, per quanto rari ingredienti. Volendo approfondire per esempio la vicenda del fungo Hericium erinaceus, alias barba di porcospino, criniera di leone o testa di scimmia, potrà risultare sorprendente scoprirne la distribuzione nativa capace di estendersi lungo l’intero emisfero settentrionale, sia nel Vecchio che nel Nuovo mondo. Poiché come mai, allora, esso risulta largamente trascurato come pietanza o base medicinale in buona parte di essa? Fatta eccezione per l’Asia Orientale, dove risulta noto in Giappone come yamabushitake grazie all’uso tradizionalmente documentato nel caso dell’eponima setta di monaci montanari, devoti alla loro religione sincretistica che coniuga il buddhismo e lo shintoismo isolano. E soprattutto praticanti di speciali discipline o regimi finalizzati a mantenersi in salute per un tempo più lungo possibile, nei quali la raccolta e l’utilizzo del distintivo corpo fruttifero di questa forma vegetativa non può fare a meno di costituire uno dei pilastri fondamentali. Alti e massicci come gli alberi viventi, abeti, pini ed aceri, sulle cui cortecce cresce abbarbicato nella forma di un pom pom color nevoso, curioso ed invitante nella sua surreale condizione esteriore. Trattandosi, nei fatti, di un tipo di micelio epifita ovvero in grado di sfruttare le sostanze nutritive delle piante più grandi, che tende ad attaccare al profilarsi di una ferita o altro tipo di apertura nella scorza protettiva delle loro ruvide cortecce. Non che ciò mancasse, già in epoca storica, di avvenire anche nel Nord America dove tuttavia l’Hericium in questione, come molti altre specie fungine appartenenti allo stesso genere, era tenuto ben lontano dalla dieta dei nativi, con gli eschimesi Inupiat dell’Alaska in modo particolare inclini ad attribuirgli l’appellativo largamente immotivato di “cosa che (ti) fa cadere le mani”. Per quale ragione non è del tutto chiaro, anche vista l’assenza di specie velenose esteriormente simili alla testa di scimmia dall’aspetto largamente inconfondibile nonché facile da individuare nel sottobosco. Una casistica probabilmente dovuta a pregresse esperienze negative particolarmente sfortunate, laddove le sostanze chimiche contenute nell’ingrediente in questione difficilmente potrebbero causare reazioni negative nell’organismo umano: diterpenoidi, polichetidi ed oltre 70 diversi metaboliti scoperti fino ad ora, dotati anzi di significativi effetti antiossidanti e cosa ancor più rara, alcune doti provate scientificamente di neuroprotezione ed agevolazione del NOR: il fattore di rigenerazione delle cellule cerebrali. Potendo in altri termini estremamente contestualizzati e condizioni molto particolari, allontanare l’invecchiamento…

Il caso del fungo erinaceo è particolarmente significativo nel vasto repertorio delle medicine tradizionali asiatiche proprio perché, contrariamente a molti rimedi alternativi facenti parte di tale settore olistico, esso è stato sottoposto negli anni a trial clinici effettivamente comprovati, capaci di alimentare l’ipotesi della sua postulata capacità di ridurre il peso cerebrale degli anni. Tra gli approfondimenti degni di essere citati, Wang 2014, Jiang 2014 e Friedman 2015, egualmente atti a sottolineare in aggiunta agli effetti benefici fin qui citati inclusivi di allontanamento dell’Alzheimer ed altre malattie degenerative, una certa quantità di effetti angiogenici capaci di rallentare il cancro nei topi oggetto degli esperimenti compiuti, così come favorire l’acquisizione di uno stato iperlipidemico considerato positivo per quelli affetti da diverse tipologie di diabete. Tutti effetti altamente desiderabili nell’uomo, tanto da portare all’interrogativo del tutto legittimo del perché l’assunzione di medicinali o integratori a base di testa di scimmia non faccia già attivamente parte del nostro quotidiano. Forse perché i benefici della dieta contemporanea, in aggiunta ad altri farmaci di più facile reperimento, possono già offrire o sovrascrivere l’entità degli effetti riscontrati dai consumatori di tale fungo? Possibile. Benché occorra sottolineare come dal punto di vista della coltivazione artificiale, contrariamente a quanto avviene per il parimenti popolare e tanto spesso sopravvalutato chaga (Inonotus obliquus – vedi articolo) sia sorprendentemente facile creare un sostrato adatto alla crescita ultrarapida dell’H. erinaceus, mediante l’utilizzo di tronchi prossimi alla marcescenza o semplici “mattoni” di cereali pressati, all’interno dei quali vengono inoculate le spore del riconoscibile micelio reticolare. Da mantenere idealmente a una temperatura di 27-34 gradi ed un’umidità pari all’80-90% per 30-40 giorni, quando l’escrescenza aggrovigliata avrà raggiunto una dimensione appropriata al raccolto, cominciando a scurirsi al contatto prolungato con l’aria. Il che risulta essere in effetti alquanto sorprendente, specie quando si considera il tempo di crescita in effetti molto lento in natura, con il fungo in grado di richiedere senza l’ausilio umano anche un anno di tempo prima di entrare nella propria fase riproduttiva. Il che rientra, ragionevolmente, tra le casistiche connesse all’idea non del tutto corretta che esso possa costituire una presenza rara nella foresta, pur essendo effettivamente assai prolifico e veloce alla propagazione in un vasto areale. Facendone, potenzialmente, anche un agente utile nel biorisanamento o assorbimento di sostanze inquinanti, estratte direttamente dalla pianta tramite le proprie ife e in tale modo rimosse dal ciclo reiterato della rigenerazione ambientale.

Molto amato anche nella cucina dell’Estremo Oriente, per un gusto tradizionalmente paragonato a quello di molluschi e creature marine, il fungo del porcospino può in realtà assumere sapori molto variabili, a seconda del sostrato da cui ha avuto modo di trarre nutrimento ed anche il tipo di cereali utilizzati per coltivarlo. Negli ultimi anni, grazie alla cultura di ritorno ai fattori nutrizionali della tradizione, ma anche e soprattutto il passaparola di Internet, esso è entrato a far parte nei territori a noi più prossimi della dieta vegana e vegetariana, potendo le sostanze nutrienti contenute in esso sostituire almeno in parte i valori proteici della carne animale. Pur potendo agevolare, nel contempo, uno smaltimento più efficace del colesterolo e conseguentemente il mantenimento ipotetico di un peso forma migliore.
Anti-scientifico ed in grande parte puramente aneddotico viene considerata, dunque, l’applicazione ai nostri giorni delle antiche filosofie autoctone, ormai sostituite da una sorta di globalizzazione dei rimedi medicinali, ampiamente giustificata dagli approcci tecnologici delle prove contemporanee in laboratorio. Benché una volta accantonato il proposito, per lo più desiderabile, di suscitare effetti rapidi come contromisura a specifiche patologie, diventa possibile ricercare un sostanziale miglioramento ad ampio spettro delle proprie condizioni fisiche, così come facevano i nostri insigni predecessori ed osservatori della natura. In altri termini: può risultare utile fermarsi qualche volta ad annusare i fior…Funghi. A patto, s’intende, di conoscerne molto bene la forma. Ed i rischi potenziali a cui si sta andando incontro.

Lascia un commento