Non serve un lungo tempo di contemplazione di una mappa del continente europeo, per comprendere quanto sia facile istituire un blocco navale della singola, per quanto lunga costa della Germania. Particolarmente quando diviene possibile togliere dall’equazione quella parte del paese che sia affaccia sul Mar Baltico, uno spazio chiuso fatta eccezione per gli stretti canali tra l’isola di Selandia, Fyn e Copenaghen. Il che significa in altri termini che fin dal tempo della nascita delle nazioni il paese a settentrione ha sempre avuto in pugno, geograficamente parlando, la potenza marina di quel paese vasto e compatto, particolarmente finché gli riuscì di mantenere il controllo del territorio dei ducati di Schleswig ed Holstein, assieme in grado di costituire la sottile lingua di terra per un “collo d’anatra” all’interno della penisola danese. Mansione più facile a dirsi, che a mettersi in atto, come avrebbe dimostrato il principe Frederik of Noer, conquistando nel 1848 il castello di Rendsburg grazie al “volere del popolo” e dando inizio a un conflitto che sarebbe costato la vita di oltre 16.000 persone. Tra i cui eserciti, vestendo l’uniforme della Confederazione Tedesca, ebbe l’occasione di combattere l’addetto artigliere Wilhelm Bauer, all’epoca poco più che venticinquenne. Al quale osservando una battaglia sulla costa prussiana, in cui il nemico avanzava grazie all’ausilio di un ponte di barche, venne in mente una saliente osservazione con la forma di una domanda: e se fosse stato possibile, mediante l’uso di un qualche apparato, supportare le manovre delle truppe di terra imbarcandosi non sopra le acque, bensì al di sotto di esse? Un’ipotesi che avrebbe condotto fino alle più estreme conseguenze, costruendo un modello in scala presentato alle autorità navali della flottiglia di stanza a Kiel, capace di catturare l’attenzione degli ufficiali. Ed ottenere una certa quantità di finanziamenti poiché a chi sarebbe dispiaciuta l’idea, in linea di principio, d’affondare le navi provenienti dalla Danimarca senza neppure essere avvistati dal ponte… Il concetto di nave infuocata o Brander era del resto lungamente noto, per un vascello in grado di appiccare incendi avvicinandosi furtivamente agli scafi nemici. Allorché l’idea di Bauer venne presentata, fin da subito, col nome altamente programmatico di Brandtaucher, “Incendiaria sottomarina”…
Molti ricordano, come inizio dell’epoca dei sommergibili, l’impresa del H. L. Hunley, battello a tenuta stagna creato per l’esercito confederato durante la guerra civile statunitense, che nel 1863 venne varato e l’anno successivo riuscì ad affondare la nave da guerra dell’Unione USS Housatonic, benché fallì nel ritornare sano e salvo alla base. E d’altra parte i secoli trascorsi erano già stati popolati, a quel tempo, da molteplici tentativi di far affondare intenzionalmente gli esseri umani nel regno di Nettuno, per poi riportarli agevolmente presso la superficie, lasciando il caso tedesco del Brandtaucher come una sorta di fase intermedia, in quanto tale spesso trascurata nei libri di storia. Il che trascura, purtroppo, la maniera in cui molteplici sommergibilisti di quell’epoca e gli anni contemporanei a venire avrebbero attinto a piene mani all’esperienza di Bauer, riconoscibile inoltre come un possibile precursore dei temibili U-Boat, mostri d’acciaio nei mari delle due guerre mondiali. Affinché i finanziamenti dell’Ammiragliato, assieme ad altri fondi raccolti tra i militari e la popolazione civile fino alla cifra non trascurabile di 9.000 marchi, permettessero dunque la costruzione di un prototipo del mezzo a dimensioni reali, sarebbe servito fino all’inizio del 1851, tramite il completamento del prototipo della lunghezza di 8 metri per 2,63 di altezza. Considerevolmente ridimensionato rispetto all’idea di partenza, ma comunque in grado di ospitare tre membri dell’equipaggio, ciascuno egualmente necessario al funzionamento del piano d’attacco progettuale. Due dei quali avrebbero, per l’appunto, avuto il ruolo di motori azionando con enfasi continuativa due ruote da criceto con braccia e gambe, in base alle istruzioni del capitano incaricato di gestire il timone. Che avrebbe avuto piena visibilità sopra e sotto l’acqua grazie all’uso di oblò posizionati sopra la prua, nonché il compito niente meno che fondamentale d’inserire le proprie mani in appositi guanti da immersione incorporati nello scafo. Attraverso i quali avrebbe impugnato, agganciato ed acceso la miccia della bomba incendiaria destinata al vascello bersaglio, preventivamente assicurata all’involucro esterno del Brandtaucher. Tutto ciò assolutamente praticabile in linea di principio, se non che l’eccessivo risparmio nella costruzione del veicolo, affidata ai cantieri navali di August Howaldt, fu destinata a rivelarsi carente in alcune questioni tutt’altro che trascurabili. In primo luogo, l’assenza dei serbatoi di zavorra inizialmente previsti dal progettista, limitandosi ad immagazzinare l’acqua a bordo in un’intercapedine sotto il pavimento. Con conseguente libertà di essa di muoversi, destabilizzando non poco la navigazione. Ma soprattutto uno spessore inadeguato delle paratie, che già alla profondità massima prevista di 9,5 metri tendevano a raggiungere i propri limiti strutturali. Giunta la fatidica data del primo febbraio 1851, il progettista decise quindi di mettere alla prova il sommergibile, per una dimostrazione pratica nel porto di Kiel. Ma le cose presero, per usare un eufemismo, una piega decisamente sconveniente…
Dopo un varo e la prima tratta affrontata senza incidenti, Bauer stesso ed i suoi due accompagnatori iniziarono perciò ad immergersi, ma qualcosa andò storto nel funzionamento del complesso meccanismo di trasmissione verso l’elica principale. Il che avrebbe portato, lentamente ed inesorabilmente, il Brandtaucher ad inabissarsi in una buca di 16 metri nel bel mezzo del porto, intrappolando i tre malcapitati occupanti. Potenzialmente, poteva essere la fine, se non che l’inventore, lungi dal perdersi d’animo, convinse i presenti a lasciar entrare l’acqua ed aspettare fiduciosi per un periodo di diverse ore; proposito particolarmente estenuante, vista l’assenza a bordo di alcun sistema di rinnovo dell’ossigeno ed il rischio molto realistico di morire soffocati. Ma la pressione in aumento, una volta raggiunta l’equalizzazione, avrebbe finalmente permesso di aprire il portellone superiore, garantendo ai coraggiosi pionieri l’opportunità di ritornare nuotando fino alla superficie.
Nonostante la successiva riapertura delle ostilità con la Danimarca, il sommergibile incendiario non venne dunque più costruito. Lasciando l’unico esemplare in fondo al porto di Kiel finché nel 1887, durante delle operazioni di rinnovamento, non si riuscì a riportarlo a galla per portarlo in tour presso diversi musei tedeschi. Fino a quello di Dresda, dove si trova tutt’ora, costituendo il più antico sommergibile completo ancora osservabile da parte dell’occhio umano. E per quanto riguarda Wilhelm Bauer, invece? Si narra che dopo il fallimento della sua avventura tedesca, ed aver girato le corti di mezza Europa, avesse trovato rifugio presso il Gran Principe di San Pietroburgo. Che gli avrebbe permesso, finalmente, di realizzare il suo sogno nel 1855 con il Seeteufel (Diavolo di Mare) un sommergibile lungo 16 metri destinato a compiere con successo ben 133 immersioni, in una delle quali una banda a bordo suonò anche l’inno nazionale. Finché al volgere della 134°, malauguratamente, restò bloccato sul fondale antistante la città costiera russa di Kronstadt e se ne persero definitivamente le tracce. Il mondo, apparentemente, non era ancora pronto per l’assoluto capovolgimento dei crismi della guerra navale.
Ma la profezia di un’agente della distruzione invisibile ed impossibile da contrastare, neanche mezzo secolo dopo, sarebbe andata incontro alla sua più cupa realizzazione sotto l’egida della temibile Kriegsmarine, che un tale debito concettuale doveva a tale personaggio ormai da troppo tempo, collettivamente, dimenticato.