Il villaggio nella nebbia che rinacque dalle ceneri della modernità cinese

Antico è il mero materiale che riesce a sopravvivere alle consistenti devastazioni del trascorrere degli anni? Oppure antico è, o dovrebbe essere, il ripetersi del tutto regolare delle usanze che necessitano, o trovano l’espletamento, nello spazio materiale delle cose o luoghi sottoposti a metodologie operanti? Il villaggio Wengding databile a 4 secoli prima di oggi, nella provincia cinese dello Yunnan, costituisce l’esistenza in grado di disporre in bilico il pregiato sillogismo; al suono dei tamburi ricavati da un simbolo tronco. E i suoi abitanti che danzano e cantano, le antiche melodie del popolo dei Wa. Tra le 55 minoranze etniche della Cina, una di quelle mantenute in alta considerazione dallo stato, per la capacità di aver mantenuto gli antichi metodi, senza per questo rifiutarsi di essere spostati all’interno di spazi sottoposti a severi limiti di contesto. Una sorta di riserve, se vogliamo, come in questo caso situato al confine con la Birmania, nazione dove vivono all’incirca i due terzi degli attuali membri di una simile tribù. Famosa per i suoi racconti epici connessi alla creazione dell’umanità, originariamente sviluppatasi a partire dai girini del remoto lago Nawng Hkaeo. Prima di vivere, per incalcolabili generazioni, all’interno della vicina caverna di Sigangli.
Ma che i pregevoli antenati di quel mondo avessero posseduto dei terreni, ed al di sopra di questi ultimi di abitazioni costruiti con i propri speciali metodi architettonici, è facilmente osservabile grazie all’attenzione riservata più o meno spontaneamente, in determinati luoghi remoti, al mantenimento dell’impenetrabile quanto delicata barriera tra il trascorso e il moderno. O almeno questa era l’idea, facile da mettere a confronto coi princìpi operativi della percezione oriunda, applicata in luoghi come il qui mostrato Wengding (il cui nome significa “Dove le nubi giacciono” senza dubbio il più importante e completo dei siti capaci di condividere l’encomiabile progetto di partenza. Ecco allora gli arzigogolati sentieri interconnessi, unica linea di demarcazione tra le case con il tetto di paglia e l’intricata struttura lignea, supportata da una serie basse palafitte al livello del terreno. Ed ecco gli alti pali rituali sormontati da teschi bovini, animali allevati un tempo con il solo fine di essere sacrificati nei rituali, mentre gli abitanti sopravvivevano mediante l’uso di tecniche d’agricoltura calibrate sui loro specifici bisogni. Grazie al controllo esercitato tramite l’impiego di adeguati incendi, finché non sarebbe stato proprio un fenomeno dalla deriva comparabile, di suo conto, ad alterare totalmente le condizioni immutabili oggetto di tanti sforzi passati, presenti e futuri…

Erano le 17:40 del 14 febbraio del 2021 quando, all’improvviso, venne dato l’allarme. Un fenomeno imprevisto quale un possibile cortocircuito, la gestione inappropriata delle ceneri di un fuoco o il classico quanto fatale mozzicone di sigaretta aveva causato una deflagrazione, ben presto trasmessa all’intero estendersi di uno dei caratteristici tetti obliqui dell’insediamento. In breve tempo l’anidride carbonica rapidamente generatosi, costituendo vortici al di sopra delle fiamme, avrebbe trasportato pezzi di sterpaglie ardenti e scintille all’abitazione accanto e così via a seguire per l’intero villaggio. Il dipartimento dei pompieri di Mengjiao, rapidamente chiamato ad intervenire per contenere l’estendersi del disastro, avrebbe dovuto tuttavia fare i conti con la collocazione remota e tra le montagne dello stimato sito culturale, ritardando sensibilmente il proprio arrivo alla base dell’alta colonna di fumo visibile da molti, troppi chilometri di distanza. Tanto che la situazione, ormai progredita ben oltre il punto di non ritorno, avrebbe richiesto fino alle 23:15 per essere domata, avendo lasciato un gran totale di 3 (tre!) capanne ancora integre ma senza mietere, per fortuna, alcuna vittima tra gli abitanti di queste avite dimore. Spariti anche i pregevoli tamburi, le dimore sacrificali, il museo con gli strumenti agricoli ed il torreggiante “Palazzo del re dei Wa” un edificio ragionevolmente conforme ai resoconti storici creato a partire da un set cinematografico dei primi anni 2000. Il che non avrebbe portato alla cancellazione, di suo conto, dal cuore e dalla mente degli abitanti locali l’importante significato riservato a questi luoghi nonché la qualifica, infinitamente redditizia, di sito turistico da preservare appartenente alla categoria 4A. In breve tempo, inevitabilmente, cominciò una fervente opera di ricostruzione, in egual misura condotta con esperti locali e moderne metodologie tecnologiche, tali da velocizzare un processo giudicato urgentemente necessario, per l’economia locale almeno al pari dell’assenza di spazi residenziali, per i circa 500 abitanti rimasti da un giorno all’altro senza una casa. Sorprende d’altra parte che la “semplice” ricostruzione di un villaggio e paglia fosse destinata a richiedere quasi due anni fino al 28 dicembre del 2022, quando il villaggio di Wengding avrebbe finalmente riaperto ai turisti, sebbene privo del suo titolo di riconoscimento di maggior pregio. A causa dell’integrale ricostruzione, per quanto fedele, esso non era infatti più classificato come un patrimonio insostituibile. Una scelta formale apparentemente crudele, ma dopo alcuni minuti d’introspezione, del tutto inevitabile per i fatti intercorsi. Una cosa, tuttavia, era certa: niente di simile sarebbe potuto accadere di nuovo. Grazie all’impiego estremamente pratico di una saliente tecnologia..

L’idea sembrerebbe, in effetti, direttamente presa in prestito dal villaggio tradizionale giapponese di Kayabuki No Sato nella prefettura di Gifu, anch’esso in uno stato di costante rischio incendi a causa del generoso impiego di paglia nella struttura dei costituenti edifici. Nonché il primo luogo al mondo ad installare, per proteggerli, dei poderosi cannoni ad acqua strategicamente nascosti all’interno di edifici dall’aspetto tradizionale, pronti a “scoperchiarsi” letteralmente, mediante apertura a controllo remoto, per lasciar puntare le bocche di lancio d’acqua automatizzate verso l’origine dell’infuocato problema. Un principio ancor più calzante ed efficace, forse, qui tra le montagne cinesi, dove la presenza di un significativo dislivello può fornire effetti particolarmente benefici a vantaggio della pressione dell’acqua vigente. Ma non è forse proprio questo, tra tutti, un fattore utile di coniugazione tra periodi storici idealmente contrapposti? Perché mai sarebbe necessario abbandonare il proprio diritto di tutela dai disastri, soltanto al fine di nascondere un filo privilegiato di collegamento tra l’antico e il moderno? Ciò che esiste, può per sempre continuare a farlo, a patto che si riesca a proteggerlo adeguatamente. Non c’è alcun tipo di compromesso, bensì la semplice prosecuzione degli obiettivi frutto di un bisogno fondamentale della gente. Qualunque sia il suo effettivo gruppo etnico di appartenenza e le qualifiche tanto generosamente offerte dai rappresentanti di un paese considerevolmente più vasto. E ragionevole, di quanto possa esserlo una mera commissione incaricata di valutare l’autenticità di un singolo luogo dall’ignifuga resilienza.

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