Cubica ed obliqua è l’esistenza nei più strani “alberi” residenziali d’Olanda

La vita scorre rapida se ci si diverte. Per quale ragione allora le nostre dimore, luogo in cui trascorriamo buona parte dei momenti liberi di una giornata, dovrebbero essere dei cubi prevedibili e dalla colorazione spenta? Quando tutto ciò che occorre per cambiare la disposizione delle carte in tavola è disporne le pareti in posizione alternativa, con tonalità piacevolmente divergenti. Sovvertire con un capovolgimento, in buona sostanza, l’essenza del concetto stesso di Abitazione Ragionevole per Esseri Umani. Un uovo, un pratico rifugio, un nido. Supportato dalle palafitte o per meglio dire un singolo pilastro ottagonale; che potrebbe dar l’idea di un supporto per la stabilizzazione insufficiente. Finché non si prende atto della maniera esatta in cui l’autore di tutto questo, tra i primi esponenti del movimento strutturalista, abbia deciso di riuscire a “bilanciare” le cose. Pieter Blom di Amsterdam, architetto famoso per la sua capacità di prendere un mero pattern ripetuto, e farne leggenda. A partire, contrariamente a quanto si tende a pensare, non dal suo sobborgo più famoso presso Rotterdam, vicino al porto dell’Oude Haven. Bensì sulla base dei tre prototipi esplicativi, costruiti in via del tutto straordinaria nel 1974 presso il quartiere Piet Blomplein di Helmond, nella provincia del Brabante Settentrionale. Spazi residenziali rispondenti, come molti altri dello stesso periodo, all’esigenza di presentare un volto cittadino nuovo negli spazi mai completamente ricostruiti dopo le devastazioni ed il degrado dei grandi conflitti del Novecento. Un’impresa non tra le più semplici, quando si considera l’effettiva esigenza di creare un qualcosa che fosse al tempo stesso al passo coi tempi, ed in linea con i crismi esteriori di un luogo dalla lunga e articolata storia architettonica antecedente. Tanto che l’autore stesso, ragionevolmente assecondato dall’amministrazione cittadina e con tanto di finanziamento dal Ministro della Pianificazione Territoriale Hans Gruijters, avrebbe scelto molto più semplicemente di seguire una sua idea del tutto personale, ispirata ai lavori di Aldo van Eyck e Le Corbusier. A partire da un principio, sopra ogni altro: che la moderna deriva in direzione di una concentrazione demografica sempre maggiore avrebbe necessitato di una speciale attenzione per gli spazi condivisi, e luoghi pubblici che fossero in qualche maniera capaci di sovrapporsi alle abitazioni. Ovvero esserne effettivamente sovrastati, come nella sua idea e configurazione prototipica di una vera e propria foresta, un bosco dai tronchi verticali sovrastati dagli spazi stessi in cui avrebbero a partire da quel giorno abitato le persone. E l’idea, forse anche grazie alla passione di quei giorni nei confronti dell’anticonformismo filosofico ed esteriore, piacque al punto da portare entro il 1975 al via libera per la realizzazione ad Helmond di un centro congressi, contenuto all’interno di un super-cubo più grande e due anni dopo un vero e proprio teatro, il ‘t Speelhuis. Mentre le forme platoniche ed equilibriste continuavano, senza ripensamenti, ad aumentare…

Il primo punto forte delle case cubiche è che sono, chiaramente, iconiche in un modo modernista, che potremmo paragonare a monumenti pratici ed involontari come la svettante forma della Tour Eiffel. Ma il secondo, alquanto inaspettatamente, è che esse vantano dei pregi abitativi non del tutto evidenti, sebbene accompagnati dai problemi estremamente atipici che nascono dalle loro caratteristiche del tutto inusuali. Fatto sta che entro il 1982 la commistione di tali fattori piacque e venne giudicata degna di essere riproposta negli spazi sopra mostrati e descritti a Rotterdam, con un obiettivo strutturalmente più ambizioso. Nel modo efficientemente esemplificato dalla disposizione distanziata delle forme cubiche, per lo più colorate da una sgargiante tonalità gialla solare, ad accentuare ulteriormente l’effetto di straniamento nell’elettivo quartiere di appartenenza. Il risultato, realizzato con solai in cemento armato ed uno scheletro in legno per quanto concerne le oblique facciate, ma sobri pannelli in fibra di vetro nella parte interna, fu in grado di offrire fin da subito una schiera di appartamenti dalla dimensione unitaria pari a circa 100 metri quadri disposti su tre livelli, ciascuno dei quali concepito dall’architetto con una finalità particolarmente precisa. Quello più basso dunque, definito “la casa in strada” avrebbe ospitato salotto e cucina, potendo beneficiare grazie alle proprie finestre diagonali di una vista privilegiata verso i passanti nelle strade sottostanti, in un punto strategicamente situato non lontano dalla fermata della metro cittadina. Il piano mediano, “casa dei cieli” avrebbe invece offerto uno spazio privato da dedicare a studi e camera da letto, mentre proseguendo fino alla piramide sovrastante, il residente avrebbe avuto accesso ad un solarium-balcone dalla luminosità estremamente pronunciata, sfortunatamente condizionato nei mesi estivi da temperature particolarmente, e forse inaspettatamente elevate. Anche le Kubuswoningen di Rotterdam, di loro conto, avrebbero potuto disporre della vicinanza strategica a cubi più grandi, ospitanti originariamente non spazi culturali come quelli di Helmond bensì delle attività commerciali di varia natura. Finché col passare delle decadi, il più grande avrebbe visto prosperare per qualche tempo al suo interno una sala per il laser tag prima di restare sfitto a causa degli affitti elevati. Da che l’idea, immediatamente sgradita ai residenti ed anche per questa ragione mai davvero implementata, di farne un rifugio per la riabilitazione dei detenuti amministrato dall’associazione Exodus. Così che oggi il cubo in questione ospita un ostello della catena olandese Stayokay, mentre in un altro vicino ha trovato collocazione il locale/discoteca Huiskantine. I cubi residenziali nel frattempo, regolarmente fotografati ed in grado di attrarre significativa attenzione da parte dei turisti, sarebbero stati riconvertiti in ben due casi in dei piccoli musei: uno dedicato alla vita e le opere di Pieter Blom, l’altro finalizzato ad esporre una collezione alquanto affascinante di scacchi, collezionati originariamente dallo psichiatra Ridder Dijkshoorn.

Che la vita in un cubo possa essere affascinante, atipica, singolare, intrigante, distintiva, eccetera… Resta un assioma facilmente sostenibile, particolarmente quando si osservano le strane meraviglie sopraelevate con un certo tipo di gusto estetico e per tempi ragionevolmente brevi. Laddove la vita al loro interno può essere condizionata da fattori problematici quali la riduzione degli spazi disponibili a causa dell’inclinazione delle pareti, la mancanza di luce nelle camere inferiori e la necessità di utilizzare degli speciali mobili ed arredi costruiti su misura. Tutti aspetti destinati a diventare progressivamente meno tollerabili, con l’aumento esponenziale in epoca contemporanea degli edifici strutturalisti o in altro modo inclini a rompere le regole dei crismi abitativi imposti dalle trascorse generazioni. Eppure riesce difficile immaginare qualcosa che possa dirsi situato parimenti al vertice di un significativo cambiamento dei presupposti, in quel contesto, anticipando di parecchi anni un’attuale e persistente stato delle soluzioni proposte. Lasciando come un mero dettaglio, ogni tipologia di compromesso implicitamente richiesto all’utilizzatore finale. Un singolo fattore, piuttosto che il solo ed unico risultato, dell’equazione costruita sulla base dei fossili di un tempo ormai oggettivamente trascorso.

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