Il nostro pianeta non è un mondo statico e ospitale, scenografia immobile delle creazioni umane. La sottile crosta terrestre, strato solido profondo appena qualche decina di chilometri, poggia instabile su sfere sovrapposte di magma liquido e minerali fusi. Passeggeri nostro malgrado della perenne deriva dei continenti, risentiamo inevitabilmente di catastrofi geologiche come terremoti e eruzioni, fenomeni tanto gravi noi esseri viventi quanto insignificanti da un ipotetico e oggettivo punto di vista cosmico. Ed è così che le aperture verso il mondo sotterraneo, dischiuse attraverso i secoli dalle forze inerziali delle zolle emerse, diventano vulcani o sorgenti di magma, luoghi inospitali e terribili. Ma talvolta capita che dal profondo della Terra non scaturiscano fuoco e fiamme, bensì le acque nutrienti e preziose di bacini acquiferi, doni naturali in grado di creare fiumi immensi e nutrire intere civiltà. Qualcosa di simile avvenne, milioni di anni fa, nell’America meridionale: il suo frutto, chiamato un tempo Apurimac (l’oracolo) è oggi noto come Rio delle Amazzoni. Con i suoi 6937 Km di lunghezza, un volume d’acqua impressionante e innumerevoli affluenti, questo fiume è tuttora il più grande e significativo tra quelli visti da occhio umano. Tuttavia di recente, grazie al lavoro di un team multiculturale di scienziati, il suo primato sarebbe in pericolo. Perché è stata ipotizzata l’esistenza di un fratello segreto, a 4 chilometri di profondità direttamente sotto di lui, altrettanto lungo, più antico e di gran lunga più imponente. Si tratterebbe di un fiume sotterraneo le cui sponde arriverebbero a distare tra loro anche 400 Km: il colossale e misterioso Rio Hamza.
Valiya M. Hamza, scopritore, è il geologo di origini indiane a capo del Laboratorio Geotermico di Rio de Janeiro (NGRI), uno studioso con oltre 40 anni di carriera che nel corso del 2011 si è dedicato alla raccolta di dati termici da 241 pozzi petroliferi della zona, posseduti dalla compagnia brasiliana Petrobras, per poi metterli a confronto attraverso un procedimento matematico. Le caratteristiche di conduttività dell’acqua per quanto concerne il calore, differenti in base alla rapidità del suo flusso, hanno permesso di determinare la presenza del grande fiume, incanalato solo in parte tra rocce carsiche e calcaree, mobile al basso ritmo di qualche millimetro l’ora. La casualità avrebbe poi trovato parziale conferma nella bassa salinità del Rio delle Amazzoni in prossimità della sua foce, un fenomeno parzialmente dovuto alla filtrazione delle acque verso il suo vicino sotterraneo. Un’intervista in lingua inglese, che analizza più a fondo il procedimento utilizzato e le sue implicazioni, è disponibile a questo indirizzo.