Sottile può essere talvolta l’effettiva divisione, se sussistono le giuste condizioni, tra criptidi e animali prossimi all’estinzione. Creature tanto distintive o differenti dalla norma, eppure idonee a branche totalmente opposte dello studio più o meno accademico da parte degli umani. Guardate, per esempio, il modo in cui i primi campioni raccolti dell’ornitorinco furono considerati uno scherzo affine a certi tipi di leggende popolari. O le molte spedizioni compiute, nel corso di oltre un secolo ed organizzate a caro prezzo, alla ricerca del sedicente plesiosauro di Lochness, nelle Highlands scozzesi. Che possa d’altronde esistere, nella distante Colombia sudamericana, un sito dove entrambe le categorie di esseri coesistono da tempo nello studio e l’immaginazione della gente, non è un dato largamente noto al senso comune. Soprattutto per quanto concerne la SECONDA parte di una simile dicotomia, strettamente interconnessa alla storia e documentazioni disponibili per il lago Tota, sulle cui rive sorge la cittadina di Aquitania, nella provincia di Sugamuxi. Più di quanti si potrebbe tendere a pensare, d’altra parte, tengono presente la questione antica del Diavolo Balena (vedi articolo prec.) cornuto essere connesso alle leggende dei popoli nativi Muisca di queste terre. Molti meno parlano, conservano memoria, o hanno presente immagini che mostrino il suo più strano e raro tra i vicini di casa: l’endemico e del tutto esclusivo pez graso o Rhizosomichthys totae, dotato di quell’auspicabile termine referenziale in lingua latina, tipicamente attribuito nelle circostanze di una descrizione formale scritta tra le pagine di una rivista scientifica del 1942. Ad opera del naturalista Cecil Miles, dopo aver avuto la fortuna ormai cronologicamente sfumata di scrutarne personalmente esemplari vivi, dando il proprio contributo alla limitata quantità di esemplari preservati con efficienti maniere per questo “impossibile” animale. Non più di 10, per essere precisi, la stragrande maggioranza dei quali custoditi tra le solide mura del Museo di Storia Nazionale dell’Università Nazionale della Colombia, a Bogotà. Dove da parecchi anni ormai perplimono e lasciano basite tutte le figure competenti che si ritrovano al loro improbabile cospetto. Poiché in quale altro luogo, che non sia la fervida immaginazione di un creatore di romanzi, è possibile vedere un essere baffuto configurato in questa specifica maniera? Come un siluride di 13-14 cm, essendo un effettivo pesce gatto ma coperto da uno spesso strato di grasso corporeo distribuito in una serie d’anelli, non dissimili dalle gomme d’automobile di quel famoso personaggio della pubblicità, l’omino della Michelin. Ed ulteriori due significativi cuscinetti di tessuto adiposo, situati in corrispondenza della nuca posteriore del tutto assenti in qualsiasi altro pinnuto sia mai stato oggetto di studi effettivi. Abbastanza da donargli un tipo d’aspetto che potrebbe facilmente essere descritto come strano, mostruoso o persino alieno…
Presumibilmente un tempo ragionevolmente comune tra le acque del lago Tota, tanto da esser stato ricordato aneddoticamente dai nativi intervistati all’epoca della sua scoperta scientifica, il pez graso vede risalire tuttavia il suo ultimo avvistamento in natura all’ormai distante 1957, giustificando ampiamente la sua iscrizione dai primi anni 2000 alla lista rossa degli animali a rischio critico d’estinzione, sebbene in molti sospettino che tale evento possa essersi già verificato da tempo. Come affermò effettivamente anche lo stesso Cecil Miles, scagliandosi contro la decisione molto poco avveduta del pregresso 1936, quando il governo cercando di creare una fonte di cibo per la popolazione consentì il rilascio di 100.000 uova di trota arcobaleno assolutamente non nativa (Oncorhynchus mykiss) molto probabilmente trasformatasi negli anni in concorrente ambientale o persino predatore del pesce grasso colombiano. Il che costituisce di suo conto, come ogni altra tesi relativa alla creatura nel suo ambiente d’appartenenza, una mera ipotesi basata sui fattori di contesto, laddove in molti furono di contro pronti a garantire la possibilità di convivenza tra le due specie, essendo il pez graso, come ogni altro appartenente alla famiglia dei Trichomycteridae, un abitante obbligato e sfruttatore dei fondali più profondi, ove le trote normalmente sono tutt’altro che solite cercare soddisfazioni gastronomiche di alcun tipo. Altrettanto aleatorie risultano essere, nel frattempo, le possibilità vagliate per l’insolita forma del protagonista della nostra trattazione, con timidi tentativi di giustificare il rivestimento adiposo in funzione di un qualche tipo di ausilio al galleggiamento (comunque assente in ogni altro pesce locale) o termoregolazione estrema (presumibilmente poco utile a questa latitudine temperata) o ancora che possa trattarsi di un metodo per immagazzinare riserve energetiche nei periodi di magra. Il che appare, per lo meno sulla base della logica, forse l’approccio maggiormente ragionevole e condivisibile all’intera faccenda. Notevole anche il racconto, proveniente dal corpus folkloristico locale, secondo cui la popolazione fosse solita catturare questi pesci ed infilzarli direttamente su un bastone, poco prima di dargli fuoco per sfruttarli come vere e proprie torce data la facilità con cui il loro strato di grasso era incline incendiarsi e bruciare vivacemente nella lunga notte colombiana. Una risorsa particolarmente utile un paio di generazioni fa, si narra, nel caso dei frequenti terremoti e le conseguenti interruzioni di energia elettrica nella regione.
Impossibile da ignorare data l’esistenza dei campioni tanto lungamente studiati, il pesce grasso ha quindi suscitato nella comunità accademica una grande serie di emozioni nel corso degli anni, la più frequente delle quali può essere identificata come la frustrazione. Come mai proprio in questo luogo può esistere un pesce così drammaticamente diverso, dal punto di vista evolutivo, da qualsiasi altro appartenente allo stesso ramo del vasto albero della vita? Con che sicurezza possiamo veramente affermare che esso sia ormai estinto da tempo, quando molte altre specie in condizioni simili, nascoste nelle profondità lacustri e irraggiungibili, sono riemerse alla cognizione collettiva anche dopo più di un secolo di speranzosa attesa? Domande scomode, che avrebbero portato a diverse spedizioni scientifiche nel corso degli anni fino a quella del 1999 del Dr. Ian Harrison, finalizzata ad individuare e far qualificare l’intero lago Tota come zona certificata AZE (Alliance for Zero Extinction) con notevoli presupposti di aumento della tutela contro lo sfruttamento improprio delle sue preziose acque. Un discorso ripreso in epoca più recente nel settembre del 2023, con l’avvio di un progetto della SHOAL britannica per l’individuazione della creatura da fattori genetici ambientali, ovvero il DNA rilasciato più o meno accidentalmente nella colonna acquatica soprastante. E non è impossibile affermare che l’intera comunità scientifica interessata all’argomento, soprattutto nell’area geografica sudamericana, attenda i risultati conseguenti con il fiato letteralmente sospeso.
Dopo tutto, in questo mondo dove ogni cosa è ormai perfettamente razionale ed accertata tramite fonti oggettive, non capita molto frequentemente di poter confermare l’esistenza di creature pseudo-mitologiche e acquisire nuove, fondamentali nozioni in merito al loro stile di vita. C’è soltanto una quantità finita di creazioni meramente immaginifiche che la nostra mente, per quanto abile, possa riuscire a contenere tra i disordinati scaffali “scozzesi” della memoria.