Come nell’ipotesi sulla vita extraterrestre della foresta oscura, migliaia se non milioni di startup rimangono nell’ombra, in attesa di poter cambiare il mondo tramite realizzazione delle proprie logiche contrarie agli usi ed alle convenzioni del nostro Presente. Allorché occasionalmente, nell’allineamento fortunato di particolari condizioni o linee guida di contesto, l’una o l’altra si colora di una luce altamente visibile, avvicinandosi all’aspetto cosmico di una supernova. Metafora, quest’ultima, in un certo senso adatta a definire l’impresa della scorsa settimana della ditta di Houston Velocity Aerospace, il cui nome viene associato da anni al concetto sempre più discusso dell’aeroplano ipersonico, un tipo di velivolo idealmente in grado di raggiungere qualsiasi punto della Terra nel giro di una singola ora. Distanze in altri termini come Roma-Sydney o San Francisco-Tokyo, trasformate nel dispendio cronologico di una trasferta quotidiana verso il luogo di lavoro, sebbene con dispendi certamente superiori di carburante, manutenzione, materiali di supporto. E una visione lungamente paventata, quanto immateriale negli aspetti pratici, di come il futuro appare progressivamente migliore del modo in cui tende a materializzarsi il susseguirsi delle generazioni. Possibile, dunque, che stavolta le cose possano essere diverse? Osservate e giudicate con i vostri stessi occhi, questo breve ma importante video promozionale, in cui viene mostrato l’effettivo funzionamento di un oggetto volante a decollo assistito mediante l’impiego di un vecchio aereo da addestramento Aero Vodochody L-29C Delfin, che potremmo descrivere come un tubo lungo due metri e mezzo, dal peso di 130 Kg. Dotato in altri termini dell’aspetto di un missile, ma l’esclusivo e indiscutibile funzionamento di qualcosa di concettualmente diverso. Ovvero l’apparecchio in grado di volare senza nessun tipo di pilota e in modo almeno parzialmente indipendente, nel modo che va sempre più spesso incontro alla definizione ad ombrello di “drone”. Il che non inizia d’altra parte neanche in modo vago a caratterizzare quello che costituisce, in modo principale, il nesso maggiormente notevole dell’impresa. Che ha visto tale arnese, proiettato a poco meno del Mach 1 per non causare problemi nello spazio aereo statunitense deputato al test, raggiungere tale velocità attraverso l’utilizzo di un impianto tanto inusuale, così strettamente associato al mondo di un fantastico e infinito potenziale, da essere stato relegato per decadi al regno della pura ed intangibile teoria. Salvo rare eccezioni, s’intende. Sto parlando del motore a rotazione detonante (RDE) il cui stesso funzionamento fu scoperto in modo ragionevolmente catastrofico, proprio a causa di un significativo incidente…
Storie aneddotiche collegate al lancio del razzo Saturn V del 1967, parlano dunque di come la NASA stesse perfezionando il suo gigantesco motore F1 quando gli ingegneri si trovarono di fronte a un significativo fattore di rischio. Ovvero la maniera in cui, in determinate quanto inevitabili condizioni, le oscillazioni termo-acustiche dell’apparato potessero portare a un feedback di potenziamento ricorsivo, fino all’accelerazione del flusso energetico al di sopra della velocità del suono. Al punto da causare l’autodistruzione letterale dell’impianto in questione, che invece di esplodere come ci si sarebbe aspettati tendeva ad aprirsi in corrispondenza nei bordi in una maniera in grado di ricordare la buccia di una banana. Tale comportamento, una volta dimostrata la ripetibilità dell’occorrenza, venne dunque ricondotto alle teorie elaborate per la prima volta negli anni ’50 di dal professore emerito dell’Università del Michigan, Arthur Nicholls che aveva realizzato la possibilità di costruire motori a reazione esponenzialmente più efficienti e possibilmente, veloci di quelli correntemente impiegati nel suo settore. Ciò mediante un’ottimizzazione funzionale del metodo del pulsogetto, il reattore consistente in una semplice camera di scoppio di per se completamente vuota in cui il flusso stesso dell’aria agevola ritmicamente il ciclo di combustione. Ma ad un volume e con potenza notevolmente aumentata, tanto da trasformare la convenzionale deflagrazione dei gas in vera e propria detonazione; uno spostamento, in altri termini, al di sopra della velocità del suono. Il che costituiva, come ampiamente descritto in un rapporto consegnato ai militari nel 1964, il funzionamento pratico del motore a pulsazione detonante (PDE) ma lo stesso Nicholls, pur non disponendo delle risorse utili a costruirlo, aveva già tratteggiato l’ipotesi di un sistema persino migliore. Ovvero quello stesso doppio cerchio di ugelli, all’interno del grande tubo principale, in grado di riempirlo di combustibile in maniera circolare o per esser più precisi, spiraleggiante. Così che a seguito dell’accensione, la normale spinta intermittente del pulsogetto potesse essere trasformata in una produzione del tutto continuativa di potenza, nella scala del tutto perseguibile mediante lo sfrenato principio esplodente. Un approccio che evidenti calcoli potevano associare in linea di principio a velocità raggiungibili fino al Mach 5.0, ovvero perfettamente in linea con il tipo di aspettative comunemente associate al sogno del trasporto passeggeri ipersonico di fronte a cui persino il Concorde, dovrebbe finire per sembrare poco più di una rondine in volo.
Da va se d’altronde che il raggiungimento di simili ritmi in volo comporti un ampio catalogo di problemi, la cui risoluzione da parte della Velocity Aerospace resta al momento per lo più un mistero. Con soltanto un singolo rendering del loro aereo ipersonico denominato Stargazer, con apparente ala a delta e doppia coda il cui spazio di volo dovrà idealmente trovarsi collocato sopra la metà della linea di Kármán: l’ideale confine, situato a 100 Km da terra, dell’atmosfera del nostro pianeta. Stiamo parlando in altri termini di altitudini e velocità tali da poter circondare un aeroplano di gas ionizzato in maniera non dissimile da quella del rientro dello Space Shuttle. Il che dovrà richiedere particolari accorgimenti e l’utilizzo di materiali dalle prestazioni niente meno che eccezionali.
Ora come dicevamo in apertura, nell’ipotesi extraterrestre della foresta oscura non si hanno nozioni particolari di un punto di contatto con l’Empireo finché l’entità aliena di turno non mette in pratica l’azione di contatto facente parte del suo piano. E qualora ciò dovesse capitare, sarebbe certamente inappropriato dubitare dell’effettiva buona fede della creatura o creature inclini a materializzarsi innanzi all’ottimismo delle moltitudini mai sopite. Così come schiere d’investitori, a quanto pare, sono sempre pronti a finanziare una possibilità, per quanto remota, di cambiare senza possibilità d’appello le attuali regole del gioco. Pur sapendo che un domani, accada quel che accada, sarà letteralmente impossibile tornare allo stato d’origine delle condizioni vigenti.