Tentando di considerare quale sia la presenza di maggiori dimensioni che riesce a passare inosservata, le persone comuni tendono a vagliare insetti, piccoli mammiferi, presenze notturne come pipistrelli o gufi. Mentre gli astronomi rivolgono la mente a nubi gassose o pianeti raminghi, possibilmente liberati dalla presa gravitazionale della loro stella. Semplicemente esiste un ordine di luminosità e grandezza, oltre il quale non è facilmente immaginabile l’assenza di una presa di coscienza, per il tramite di annotazione sui diari condivisi della nostra memoria. Ma che dire, invece, di tutti quei casi in cui una cosa tende ad essere fraintesa? Come quando nel 1980, durante il Sondaggio Stellare del Cielo Meridionale del telescopio ESO in Cile, a un punto luminoso tra milioni venne attribuito il numero di serie J0529-4351, tale da porlo in mezzo al novero di una delle tante tra quelle che vengono comunemente dette stelle fisse dei cieli. Benché molti siano perfettamente coscienti della maniera in cui lo splendore di un corpo ardente possa dirsi la diretta risultanza di due fattori: potenza e distanza. Così che la prima possa essere, talvolta, sottovalutata per sbaglio. Stiamo parlando in altri termini della maniera in cui l’impiego della matematica computerizzata o meglio un tipo di ragionamento automatico su parametri regolarmente imposti possa, in determinate circostanze, condurre a conclusioni errate. O “piccoli” errori della portata di sette milioni di anni luce, ovvero 15.000 volte la distanza tra il nostro Sole e il pianeta Nettuno. Questa l’effettiva ampiezza, dunque, dell’alone circostante la “cosa” che possiamo conseguentemente definire straordinariamente distante ed in funzione di ciò, antica. In quanto altrimenti, non sarebbero ancora trascorsi i 12 miliardi di anni necessari affinché la sua presenza potesse rendersi visibile anche da questo particolare distretto dell’Universo. Due fattori a dire il vero non direttamente correlati quando si considera che siamo necessariamente innanzi al tipo di oggetto cosmico chiamato tradizionalmente quasar, fin da quando nel 1964 l’astrofisico Hong-Yee Chiu ebbe la necessità di riferirsi ad un qualcosa che era Quasi una Stella, ma non Proprio. Anni sarebbero trascorsi, conseguentemente, affinché l’utilizzo di strumenti d’analisi maggiormente avanzati permettessero di comprendere di cosa stavamo effettivamente parlando: il tipo di di orizzonte degli eventi, simile ad un letterale uragano galattico, che ruota attorno ad un buco nero supermassiccio o SMBH. Categoria entro cui la massa complessiva viene misurata normalmente in milioni o miliardi di volte la nostra insignificante stella o come in questo caso, oltre 500 trilioni (milioni di bilioni o 1 milione alla terza) tale entità specifica misura. O per usare un’altra metodologia internazionalmente beneamata molti, moltissimi campi da football americano. Abbastanza a dire il vero, da farne di gran lunga l’oggetto più potente mai osservato da occhi umani…
In bilico tra il grande buio e la nostra esistenza transitoria tra le pieghe inconsapevoli del tempo, la nostra mente incerta può trovarsi certe volte in dubbio sull’effettiva possibilità di determinate circostanze immanenti. Eppure un qualcosa di corrispondente all’effettiva presenza di J0529-4351, al centro di un nuovo studio pubblicato ad inizio febbraio da Christian Wolf, Samuel Lai ed altri ricercatori dell’Australian National University (ANU) non può essere facilmente subordinato alla natura interpretabile dei dati raccolti, laddove una distanza più che meramente approssimativa può essere annotata sulla base del redshift o spostamento verso il rosso, una deviazione cromatica delle radiazioni dovuta all’effetto Doppler, che permette di escludere una variabile, proiettando la seconda verso cime mai toccate dalle cognizioni pregresse in materia. In merito a cosa permetta effettivamente la sussistenza di una quasar tanto immensa, di gran lunga oltre il limite della luminosità di Eddington, considerata la tendenza di un corpo astrale a collassare su stesso a causa della forza della propria stessa gravità, la spiegazione appare semplice quanto impressionante: il buco nero al centro dell’osservabile disco di accrescimento, ovvero la nube di materia che lo circonda, ne ingoia una quantità di poco superiore al Sole ogni volta che trascorrono all’incirca 24 ore. Facendone effettivamente un vero e proprio mostro, un motore infernale che non conosce sosta o requie poiché per esso l’esistenza stessa, è sinonimo di distruzione illimitata e continuativa nel tempo. Difficile immaginare l’esistenza nelle regioni periferiche di una simile galassia, dove la vita è teoricamente possibile (su tale scala, non lo è forse sempre?) Così come la chiara percezione di trovarsi in corso di scivolamento verso un’apertura inusitata nel tessuto stesso dell’esistenza. Oltre la quale esiste solo un’effettiva possibilità: l’annientamento.
L’osservazione di oggetti atipici e relativamente rari quanto le quasar ha già aperto di suo conto prospettive interessanti sulla natura stessa ed il funzionamento dell’universo, avvalorando la già credibile tesi del Big Bang a causa della loro maggiore concentrazione all’inizio della linea temporale direttamente osservabile in funzione della distanza. Anche se, almeno fino a febbraio del 2023, momento del corretto spostamento di J0529-4351 dal catalogo delle stelle relativamente prossime alla nostra posizione, si credeva che la dimensione di questa tipologia di fenomeni necessitasse di un lungo periodo di genesi conseguentemente alla formazione della materia, secondo tempistiche che ora dovranno essere rimesse in discussione. Mediante strumenti nuovi quali il potenziamento GRAVITY+ dell’interferometro VLT del telescopio cileno, ma anche l’ELT (Extremely Large T.) attualmente prossimo al completamento nel centro esatto dell’Atacama. Per non parlare dell’intelligenza artificiale, un nuovo approccio alla collocazione dei fattori risultanti utili a collocare gli avvistamenti nei più appropriati insiemi.
Che una galassia possa nascere iniziando già a distruggersi, per l’eccessiva possenza ed attrazione del suo perno centrale costituisce già una realtà abbastanza terrificante. Senza entrare nel merito di come buchi neri supermassicci possano formarsi, in modo pressoché spontaneo, la palesarsi di determinati eventi. Vedi l’eventualità futura, paventata tra appena 5 miliardi di anni, dello scontro tra la Via Lattea ed Andromeda, che in base ad alcune teorie potrebbe conseguentemente porre in essere la presenza di una quasar di portata niente meno che impressionante. Lasciando possibilmente i discendenti dei nostri discendenti (sempre che siano ancora vivi) a dover rivalutare largamente il proprio ruolo e le prospettive che ne conseguono nell’asse temporale degli eventi. Come altre specie intergalattiche, forse più longeve di noi, possibilmente dotate di super-tecnologia superiore al tipo III della scala Kardashev, potrebbero essersi già trovate ad affrontare. Dopo tutto chi può dire cosa sia effettivamente successo, dopo quel fugace attimo, un letterale ed insignificante minuto, corrispondente al tempo a ritroso perché la luce di J0529-4351 potesse raggiungere i nostri basilari organi di acquisizione della conoscenza. Occhi e orecchie, bocca, naso. Alla base di precipue quanto scomode domande. Qual è l’odore di un buco nero? Quale, il suo sapore? Tutti o nessuno allo stesso tempo. Come teorizzato, tanto lungamente, dall’umana percezione della divinità.