Compilare un elenco degli uccelli più magnifici, interessanti o particolari del mondo non sarebbe necessariamente un’impresa semplice: troppo soggettivo è il gusto estetico e le fondamentali opinioni che tendono a derivarne, in funzione dei fattori contestuali e il tipo di educazione estetica di cui si è stati destinatari. Qualunque sia il proprio luogo o nazione di provenienza, tuttavia, sarebbe particolarmente insolito non restare colpiti dal variopinto abitante pennuto di una singola isola dell’Indonesia, alto fino ad 80 cm e del peso massimo di 2500 Kg. Cupe le sue ali, come un draculesco mantello, eppure sormontate da una testa sopra il collo giallo candido che non sfigurerebbe nella ricostruzione fantastica di un dinosauro: gli occhi cerchiati di blu e una pappagorgia dello stesso colore. Inframezzati da un becco sproporzionatamente grande che ricorderebbe quello del tucano, se non fosse per la copertura di una placca zigrinata chiara e scura in regolare alternanza. Ed a ornare tutto questo, come la cresta impossibile sull’elmo di un centurione, una struttura ossea con la forma simile a una banana, di un marrone scuro e lucido, che rientra in un ciuffo di piume della stessa tonalità sfumata. La coda bianca a forma di ventaglio conclude quindi l’outfit di una creatura che potrebbe essere straordinariamente elegante, se non sembrasse ancor prima di questo fuoriuscita da un catalogo delle creature ritrovate sul quarto pianeta del sistema Vega. Eppure l’Aceros/Rhyticeros cassidix (a seconda che si voglia utilizzare la nuova o vecchia nomenclatura) è una presenza relativamente ricorrente nella terra emersa labirintina di Celebes, undicesima tra le isole maggiori del mondo. Dove con l’appellativo locale di Julang sulawesi vive, si riproduce e tenta di proteggere il suo territorio, in un mondo che cambia lasciandogli sempre meno spazio a disposizione, nonostante chiunque sia nominalmente pronto a rendere chiara la sua ammirazione. In quale altro luogo è possibile, d’altronde, osservare un simile prodotto magnifico della natura? La cui capacità d’adattamento è la diretta risultanza, per quanto ci è dato comprendere, di un’ampia nicchia ecologica e la sua capacità di sfruttarla con esplicita quanto invidiabile competenza. Almeno finché non giunse l’impossibilità fisica ed oggettiva di occupare, con le proprie piume, determinati ambienti…
Con un grado di parentela estremamente distante dai tucani sudamericani, i buceri (fam. Bucerotidae) sono dunque uccelli dell’area principalmente asiatica, con alcune specie distribuite anche nel continente africano che occupano una nicchia ecologicamente simile, nutrendosi in maniera opportunista di pressoché qualsiasi possibile fonte di cibo. Biologicamente onnivori, pur preferendo foraggiare frutta direttamente dagli alberi più alti per ragioni di convenienza e sicurezza, essi sono soliti del resto catturare anche insetti o piccoli vertebrati inclusi altri uccelli, che schiacciati con la forza superiore alle aspettative del grande becco vengono quindi ingoiati grazie a un movimento singolare della testa, data la lunghezza della lingua insufficiente a trascinare i singoli bocconi all’interno. Nell’epoca contemporanea, d’altra parte, questi uccelli fondamentali per la diffusione delle piante native si stanno abituando sempre più all’uomo penetrando nelle zone urbane e andando a mangiare direttamente dagli orti e dai frutteti in stormi di fino a 50 esemplari, con comprensibile fastidio dei loro legittimi locatari. Senz’altro un problema, assieme alla caccia tradizionale per ragioni alimentari, per la sopravvivenza delle specie maggiormente a rischio, tra cui il nostro bucero caruncolato che formalmente ha ricevuto la qualifica di “vulnerabile” da parte dell’ente di conservazione dello IUCN, soprattutto per la sua natura endemica di un singolo, sovraffollato territorio. Non che manchi, da parte sua, un sincero sforzo di ripopolarlo, soprattutto grazie all’adozione di un comportamento tipico dell’intera genìa di cui fa parte ma non per questo meno empatico ed affascinante. In cui la femmina, dopo la deposizione delle sue 2-3 uova dopo la stagione delle piogge all’interno di un cavo degli alberi, ne sigillano l’ingresso grazie all’utilizzo di un miscuglio di saliva, detriti e le proprie stesse feci, così da lasciare una singola stretta apertura per l’approvvigionamento e la pulizia del nido. Accorgimento a seguito del quale, per i due interi mesi successivi sarà soltanto il maschio ad occuparsi di portare da mangiare sia alla madre che ai nascituri, donandogli l’opportunità di rimanere al sicuro dall’attenzione indesiderata di eventuali predatori. Inclusi, incidentalmente, gli altri maschi della stessa specie, per cui la pratica del cannibalismo è purtroppo un’eventualità tutt’altro che rara.
Culturalmente rilevante come emblema faunistico della provincia del Sulawesi meridionale, dove viene tradizionalmente soprannominato “uccello degli anni” per la credenza che le strisce sul becco ne indichino l’età, il bucero caruncolato rientra in una categoria di uccelli dalla notevole rilevanza mistica e quasi sovrannaturale, risultando interconnessi nella culture dei popoli indigeni del Borneo al ruolo di psicopompi o diretti intermediari tra l’uomo e le sue divinità. Ruoli tipici di molti uccelli di dimensioni medio-grandi e dall’aspetto impressionante, come il condor per le genti nordamericane o il gufo reale nei territori europei, ma che vengono affiancati nel caso specifico anche dagli onori attribuiti ad alcuni dei suoi simili di “Re” o “Imperatori” dei volatili del mondo, a cui assurgono per quanto possiamo facilmente desumere proprio grazie alla natura estremamente riconoscibile delle loro armonie cromatiche ed insolite forme. Degne di lasciarli comparire all’interno dei nostri momenti maggiormente onirici, come portatori di un’impossibile novella moralizzatrice. Che la natura merita e richiede di essere preservata? Che il profitto nello sfruttamento del territorio dovrebbe venire dopo, per quanto possibile, alla conservazione delle sue caratteristiche maggiormente insostituibili ed evidenti? Se questi uccelli potessero parlare, probabilmente si affretterebbero a convenire in materia. Cominciando, possibilmente, ad esercitare l’autorità di cui possiedono l’assoluto e inalienabile diritto. Della nascita, della bellezza, di chi merita il suo cinguettante domani.