Molto sulle caratteristiche e le abitudini di un animale preistorico può essere desunto dalla forma del suo cranio. Il più prezioso tra i fossili, scatola nera, o bianca, o grigiastra del processo di evoluzione, tale parte dello scheletro originario costituisce lo spazio ospitante il cervello, l’apparato visivo e tutto ciò che occorre per poter procacciare e fagocitare il cibo. Eppure, talvolta, determinati misteri tendono a restare irrisolti: vedi il caso della lucertola di Muttabburra, erbivoro bipede del Cretaceo inferiore con la testa ragionevolmente piatta in senso longitudinale, ma che appariva triangolare quando vista dall’alto. E soprattutto fornita di una vistosa gobba o gibbosità in prossimità del muso, la cui funzione costituisce un saliente mistero della paleontologia contemporanea. Forse costituiva una caratteristica visuale utile alla riproduzione? Possibilmente favoriva la produzione di un verso altamente riconoscibile tra i consimili, per avvisare dell’arrivo dei terribili Afrovenator o Tyrannotitan? Di sicuro, esso non poteva condividere l’origine del fenotipo con la struttura biologica che oggi tende ad avvicinarvisi maggiormente: l’impressionante becco del Corvus crassirostris, il più imponente (ed impressionante) tra i tutti i passeriformi. Un volatile lungo tra i 60-64 cm, con 8-9 di “attrezzatura” nella parte frontale dedicata a strappare, sminuzzare, trangugiare bocconi degni di un un’aquila di medie dimensioni. Pur non essendo, d’altronde, primariamente né principalmente un carnivoro, bensì fagocitatore di praticamente qualsiasi cosa gli capiti a tiro, tra cui le carcasse scartate da praticamente qualsiasi altro uccello condivida il suo ambiente di provenienza, presso l’estremità del corno d’Africa e zone limitrofe del continente nero. Dove sussiste, non a caso, un nome alternativo per tale essere, che lo vede definito “corvo avvoltoio” il che in ultima analisi, evidenzia soltanto un aspetto della storia completa. Poiché una creatura di questa schiatta, lungi dall’essere un mero praticante della vita aviaria sulla base dei comportamenti istintivi e tutto ciò che questi comportano, è anche una presenza tra le più intelligenti ad essere ricoperte di piume e dotate d’ali, capace di comprendere concetti sofisticati come il desiderio, il lutto e la coscienza di se stessi, riuscendo facilmente a riconoscersi quando si guarda allo specchio. Il che dimostra, comparativamente a primati o delfini, la maniera in cui non soltanto una parte del corpo dall’utilizzo pratico, ma anche le strutture responsabili delle interconnessioni tra le diverse zone del cervello possano avere origini chiaramente distinte, giungendo a conseguenze innegabilmente parallele. E voci che si rivolgono, nella propria maniera, a zone distinte dell’umana ed incontrollabile immaginazione…
Esteriormente non dissimile dal corvo albicollis africano, fatta eccezione per la caratteristica portata ancor più all’estremo del “grasso becco” da cui prende per l’appunto l’appellativo scientifico (ciò significa in latino crassirostris) il corvo dell’Abissinia presenta una colorazione nera lucida del corpo e delle remiganti, che tende maggiormente al marrone in prossimità delle spalle e diventa candida sulla nuca, prima di ritornare alla colorazione cupa di testa, occhi e il gibboso rostro frontale. Tratto distintivo degno di nota risulta senz’altro essere la poca lunghezza delle piume a partire dal collo in su, un possibile adattamento alle abitudini saprofaghe dell’animale. Il che non gli preclude, come un vero onnivoro, il consumo altrettanto frequente d’insetti ed altri invertebrati cui tende a dare la caccia nelle pile di escrementi, piuttosto che piccole prede tra i mammiferi o il pollame ucciso a colpi di becco o ancora l’occasionale porzione di bacche o frutta. Ciò che potrebbe sorprendere dunque è la maniera in cui una creatura dalla dieta tanto variegata necessiti nondimeno di dedicare la maggior parte della propria giornata alla ricerca di cibo, con frequenti e brevi pause per guardarsi intorno e decidere dove ampliare i confini del proprio territorio. Forse l’abitudine maggiormente problematica, quest’ultima, proprio perché porta gruppetti nutriti di questi uccelli a sconfinare nei villaggi o insediamenti umani, andando a cercare soddisfazione tra la spazzatura.
Con un periodo riproduttivo situato tra i mesi di ottobre ed aprile-maggio (siamo, del resto, in prossimità dell’equatore) il corvo abissino è monogamo e tende ad isolarsi assieme con la compagna dai propri simili nel momento in cui la coppia inizia a costruire il nido. Una struttura di rami a forma di ciotola, imbottita all’interno con muschio o pelo, dove lei provvederà a deporre 3-5 uova di colore verde pallido, che verranno successivamente covate e difese aggressivamente dai predatori per un periodo di tre settimane. Fino alla schiusa dei piccoli in condizioni altriciali (non-autonome) tanto che riusciranno ad involarsi soltanto dopo un paio di mesi minimo, rimanendo coi genitori per un lungo periodo ulteriore, talvolta pari anche a un anno o più. Un’abitudine, questa, tipica degli appartenenti alla rilevante famiglia e che viene ritenuta parte integrante della loro intelligenza, poiché permette alla nuova generazione d’apprendere comportamenti e abitudini di coloro che li hanno messi al mondo, verso l’istituzione ed il mantenimento di una vera e propria cultura corvina destinata a perpetuarsi nei secoli, se non addirittura millenni.
Membro di un popolo guardato con sospetto, ma mai davvero bistrattato o cacciato in maniera insostenibile, il corvo crassirostris, così come il suo cugino albicollis può vantare uno stato di conservazione poco meno che ottimale. Condizione cui contribuisce, naturalmente, anche la notevole adattabilità all’uomo di questi gracchianti osservatori, che tanto spesso sembrano comprendere o persino condividere le nostre più recondite aspirazioni. Inconfondibile risulta essere dunque il loro richiamo profondo e nasale, simile a un ronzio dal sottotono acuto, percettibilmente composto dal susseguirsi di due sillabe distinte. La cui traslitterazione in lingua inglese recita: “Raven-raven-raven!” o “Dink, dink!” Il che ci lascia davvero ben pochi dubbi su chi possa essere, tra noi e lui, l’individuo che possiede prerogativa ed inclinazione a ridere per ultimo. Se mai possa esserci stato, nel frattempo, un primo.
Perché bellezza o avvenenza risiedono spesso nell’occhio dell’osservatore. E tante volte derivano, in modo assolutamente inaspettato, dalla forma che corrisponde ad una specifica funzione operante. Anche quando quest’ultima, come nel caso degli antenati dominatori dell’ambiente terrestre, risulta essere ad oggi largamente misteriosa. Perché sia il canto latente del vento, e soltanto quello, a custodire l’imprescindibile verità della vita.