Nel sistema iconografico dell’animazione fantascientifica giapponese, la squadra degli eroi decolla dall’astronave in orbita dentro la testa dei propri robot antropomorfi, per combattere le presenze indesiderate. Nella Russia sovietica, la presenza indesiderata pratica il base jumping direttamente dalla testa del robot, per girare un video pronto alla pubblicazione online. E meno male che aveva il paracadute! Questo gioco delle inversioni d’altra parte, inventato possibilmente negli anni ’30 dall’autore di musical statunitense Cole Porter, è da sempre stato utilizzato al fine d’identificare le ironiche contraddizioni di uno stato di sorveglianza. Del tipo che parrebbe voler pubblicizzare se stesso la figura della Дом Советов o “Casa dei Soviet”, il massiccio edificio che fu approvato negli anni ’70 per poi restare eternamente incompleto, venendo associato dai locali al quasi-mezzo busto di un colosso sepolto, con le balconate quadrate simili ad occhi per scrutare le tribolazioni dei cittadini sottostanti. 50 metri di cemento brutalista o “futuribile” per dare forma ad un progetto dichiaratamente ispirato al Congresso nazionale di Brasilia, di suo conto disegnato dal celebre architetto sudamericano Oscar Niemeyer. Laddove l’autore di quello che sarebbe diventato il principale avamposto del blocco orientale nel contesto geografico mitteleuropeo, il suo collega vincitore dell’appalto Yulian Lvovich Shvartsbreim, aveva palesemente deciso di premere l’acceleratore con enfasi sul tema del modernismo post-bellico impersonale ed oggettivista, finendo per creare qualcosa di drammaticamente rappresentativo della propria epoca, eccezionalmente alla moda ed al tempo stesso, facilmente discutibile con il senno di poi. L’idea di ispirarsi più o meno direttamente ad una città costruita dal nulla in epoca contemporanea, nel frattempo, sembrò da subito perfettamente calzante, data la condizione derelitta in cui si trovava ancora il centro storico della strategicamente rilevante exclave lituano-polacca, già due volte di troppo coinvolta nei bombardamenti e le battaglie della seconda guerra mondiale. Il che aveva portato, tra le altre cose, al grave danneggiamento del magnifico castello dei Cavalieri Teutonici del XIII secolo della loro omonima Königsberg, demolito infine tra il 1969-70 piuttosto che restaurato a caro prezzo, con la scusa probabilmente scelta ad arte che potesse costituire un simbolo del fascismo storico di questi luoghi (benché gli fosse antecedente di circa 6 secoli, ma tant’è).
Quale miglior luogo, dunque, per edificare un nuovo grattacielo amministrativo dell’altezza di 28 piani, dove i rappresentanti del Partito giunti da Mosca potessero risiedere ed esercitare il proprio potere, in quella che potremmo definire unicamente come una monumentale, ponderosa ed abitabile allegoria…
“Il palazzo che tutti amano odiare” è per l’appunto il titolo scelto da arte nel servizio della BBC, che tanto efficientemente pare introdurre la questione del Дом Советов per il suo aspetto e ciò che ancora oggi sembrerebbe rappresentare. Benché sia altrettanto possibile, come in molti hanno fatto attraverso gli anni, identificare in esso un certo tipo di fascino grigiastro e coerente, non privo di una vaga imperscrutabile armonia. Diventando forse il più imprevisto ed eclettico tra tutti i simboli cittadini. Potrà dunque sorprendervi apprendere di come, dopo i molti progetti di demolizione vagliati attraverso le decadi, ne sia stato finalmente approvato uno per la sua demolizione a novembre del 2020, con i lavori cominciati a maggio dell’anno corrente ed attualmente giunti alle vie di fatto (mentre scrivo, in effetti, un’alta gru ha già cominciato a rimuovere i pannelli delle facciate). Ciò per un semplice fatto che a ben vedere avremmo già dovuto sottolineare: con un periodo di costruzione originariamente stimato attorno ai 10 anni, il progetto finì per esaurire i fondi nel giro di una quindicina, avendo completato soltanto 21 dei 28 piani originariamente previsti. Era ormai il 1985 e tra l’altro, si era scoperto di come i tunnel sotterranei un tempo facenti parte del castello di Kaliningrad stessero minando la solidità dell’edificio, in una problematica contingenza che voci di corridoio locali amarono soprannominare “La vendetta dei Cavalieri”. Fatto sta, ad ogni modo, che la Casa dei Soviet non venne mai occupata, restando vuota e silenziosa a parte un fallimentare tentativo di riprendere i lavori nel 1992. Ed ovviamente, le schiere di giovani festaioli, abitanti abusivi, graffitari e saltatori col paracadute che sarebbe stato del tutto lecito aspettarsi tra le sue svettanti mura.
Tanto riconoscibile da essere riuscita a comparire, nel giro dell’ultimo ventennio, in un certo numero di gadget e magliette prodotte localmente, al pari di monumenti ben più antichi e celebri delle capitali d’Occidente. Mentre una certa fazione di apologisti del brutalismo, in qualche misura facente parte delle amministrazioni locali della città, era riuscita ad ottenere nel 2005 che il palazzo fosse dotato di finestre in vetro integre e ridipinto di un pacifico color azzurrino, giusto in tempo per il 750° anniversario dell’antica Königsberg e la conseguente visita del presidente Vladimir Putin. Nient’altro che una patina mirata a salvaguardare le apparenze, visto lo stato in alcun modo migliorato dei singoli ambienti interni, per i quali uno studio tedesco contattato dai nuovi proprietari successivamente alla caduta dell’Unione Sovietica aveva stimato cifre astronomiche di restauro e tempistiche più che decennali. Il che avrebbe dato inizio, paradossalmente, alle numerose ipotesi di costruzioni sostitutive potenzialmente installabili dopo la rimozione del colosso, molte delle quali dedicate alla celebrazione della lunga e articolata storia della regione.
Vedi le numerose idee sostenute a più riprese dall’attuale governatore, Anton Alikhanov per la ricostruzione anche soltanto parziale dell’originale castello teutonico, piuttosto che magnifici musei e centri culturali utili al turismo e la creazione di un senso d’orgoglio identitario tra i cittadini. Benché molti scherzino cupamente in assenza di dichiarazioni ufficiali, guardando lo spazio presto destinato a ritornare vuoto della Kaiser-Wilhelm-Platz: “Quasi sicuramente, ci costruiranno un centro commerciale!”
Difficile non individuare, in tal contesto, l’ironia. Scandalizzati dalla distruzione originale di un castello dal valore storico indiscutibile, pur essendo pericolante e instabile, i praticanti del buon pensiero hanno da sempre gridato ai quattro venti la bruttura del blocco di cemento costruito nella seconda metà del secolo scorso. Giungendo a sostenere, ed infine ottenere in qualche trasversale modo, la sua sospirata demolizione. Ma la Casa dei Soviet non costituisce la testimonianza, forse, per l’epoca di una speranza cittadina proiettata verso il futuro, di un hub economico e dei commerci in una Russia più connessa, pacifica e diplomaticamente rilevante? Ogni Operazione, di restauro o tutt’altra, speciale natura, tende a richiedere una copiosa quantità di fondi. Proprio per questo occorre sempre scegliere con la massima attenzione, dal seggio del potere supremo, un ordine opportuno delle priorità funzionali.