Quando si considera il futuro di una società fondata almeno in parte sull’utilizzo di una risorsa prossima all’esaurimento, come sappiamo ormai da decadi essere i carburanti fossili, non è in modo particolare questo stesso aspetto a decretare il suo possibile collasso inerente. Molto prima che si renda necessario gestire le derive maggiormente problematiche di un mondo allo sbando, tuttavia, potremmo ritrovarci e fare i conti con la privazione di alcuni dei vantaggi tecnologici che siamo inclini a dare per scontato. Primo tra tutti: la capacità di decollare e avventurarci nel regno dei Cieli, destinato a ritornare esclusivo appannaggio di uccelli, insetti e ragni che cavalcano il vento. Poiché se l’aeroplano è il mezzo di trasporto più di ogni altro responsabile del tipo di emissioni che appesantiscono la troposfera terrestre, è anche vero che esso stesso ha la necessità di divorare la maggiore quantità di quelle sostanze, che derivano dai resti materiali della vegetazione del Cretaceo e del Pleistocene. Fino ad ora? Fate una domanda in merito alla dirigenza della compagnia aeronautica slovena fondata nel 2004 Pipistrel, o quella del suo partner tedesco nel progetto più importante della sua storia ventennale, il Deutsches Zentrum für Luft alias DLR e avrete l’occasione di vederli sghignazzare con sensibile soddisfazione, persino un certo grado di furbizia latente. Questo per la graduale concretizzazione nel corso degli ultimi 6 anni, e l’importante traguardo oltrepassato all’inizio di questa stessa settimana, di uno dei letterali santi Graal del volo pilotato umano. Sto parlando di un vero, funzionante velivolo alimentato principalmente (ma non esclusivamente) dall’energia dell’elemento più comune dell’Universo, quello stesso idrogeno che sarebbe l’assoluta soluzione di ogni nostro problema, se non fosse anche tragicamente dispendioso da accumulare, mettere da parte e trasportare a bordo in qualsivoglia mezzo di trasporto. Questo per le alte pressioni necessarie a intrappolarlo in forma gassosa, o la temperatura inferiore ai -235 gradi affinché la sua versione liquida non vada in ebollizione. Il che aveva fino ad oggi fatto preferire la prima delle due alternative per chiunque avesse l’intenzione di farlo staccare da terra, in forza del potenziale di rovina già elevato posseduto da ogni tipo di mezzo volante, laddove è giunta a palesarsi, qui ed ora, l’opportunità di dare luogo all’espressione dell’approccio contrapposto. Guadagnando, nel contempo, la capacità d’incrementare in teoria la portata massima dell’apparecchio da soli 750 a 1500 Km, superiori di oltre un terzo a quelli di un piccolo aereo da turismo come il Cessna 172. Un vantaggio alquanto notevole per il prototipo H2FLY, un adattamento ad-hoc del popolare aliante auto-alimentato Taurus della Pipistrel, nell’accezione con doppia fusoliera e quattro posti del G4, a sua volta costruita per la prima volta nel 2011 per partecipare alla Green Flight Challenge della Nasa e mettere alla prova nel contempo i sistemi di guida dell’allora futuribile aliante Panthera. Fino alla creazione di quello che potremmo definire, in più di un senso, come un vero e proprio Frankenplane….
Chiunque conosca almeno in linea di principio i dispositivi volanti della seconda guerra mondiale, in effetti, non tarderà a riconoscere nella sagoma dell’H2FLY un’ispirazione vagheggiante del P-38 Lightning, il bimotore da combattimento simile a un catamarano che fu probabilmente uno dei caccia più temibili ed affidabili dell’intero conflitto mondiale. Con una singolare inversione delle funzionalità, laddove il doppio corpo unito dal longherone centrale sono stati ricreati ad oggi per ospitare, piuttosto che i motori, altrettante cabine di controllo e dei passeggeri. Mentre nella gondola centrale trovano collocazione l’elica ed il motore. Dovete considerare a tal proposito come l’originale Taurus G4 fosse stato concepito come dicevamo in base ai crismi di un letterale aliante autonomo, con appena una decina di minuti di autonomia delle proprie batterie al litio, impiegate nel raggiungimento iniziale della quota operativa prima di affidarsi unicamente alla portanza delle sue larghe ali. Un principio di funzionamento almeno in parte mantenuto in entrambe le versioni a idrogeno, con la significativa differenza di affidarsi successivamente all’energia di tale problematico elemento al fine di prolungare in modo significativo la propria permanenza nei cieli. Problematico non in funzione del suo stesso peso, in realtà 57 volte inferiore a quello di qualsiasi carburante nella sua forma gassosa o 11 volte inferiore se mantenuto come liquido, ma di quello posseduto dai serbatoi ed impianti necessari ad impiegarlo, oltre al suo significativo volume. Risultando essere in entrambi i casi tanto ingombrante da non poter essere in alcun modo stoccato all’interno di un’ala convenzionale, ed è qui effettivamente che entra in gioco la singolare forma fin da sempre posseduta dal Taurus G4 della Pipistrel. In cui le due fusoliere laterali sono state trasformate dalla DLR in altrettanti contenitori d’idrogeno, mentre le batterie al litio, le celle di carburante necessarie per agevolare la trasformazione dell’H2 in combustibile ed il motore propriamente detto trovano tutte posizione nello spazio centrale, senza nessun sacrificio aerodinamico e con la massima tutela del bilanciamento e stabilità di volo. E addirittura mantenendo, nell’originale versione del 2016 alimentata con idrogeno gassoso, anche i quattro posti per l’equipaggio mentre l’attuale approccio liquido al problema ha rinunciato alla cabina di sinistra, al fine di massimizzare lo spazio dedicato al serbatoio corrispondente. Il che ha costituito un fattore chiave nel calcolo dell’autonomia posseduta dall’ultima versione dell’aereo, comunque non ancora messa alla prova a parte una serie di decolli finalizzati alle prove di affidabilità del prototipo revisionato. Che parrebbe aver superato, da ogni punto di vista rilevante, le aspettative dei suoi costruttori.
Questa stessa idea che possa esistere, al giorno d’oggi, una compagnia aerospaziale come la Pipistrel, con la sua intera divisione di ricerca e sviluppo dedicata a fonti d’energia alternative rappresenta in effetti un significativo segno del cambiamento in atto. In un’epoca in cui lo stesso CEO e fondatore Ivo Boscarol ha più volte descritto nelle sue interviste il futuro in bilico del kerosene, una casistica cui si è prospettato di far fronte grazie alla quantità di modelli atipici prodotti dopo aver stabilizzato la propria reputazione grazie alla competenza negli approcci tradizionali. Vedi l’intera serie di trainer (aerei d’addestramento) ad esclusiva alimentazione elettrica ed autonomia oggettivamente ridotta prodotta a partire dal 2015, di cui l’ultimo coronamento Velis Electro si è dimostrato nel 2020 capace di ottenere l’ambita certificazione dell’Agenzia Europea per il Volo (EASA) in un periodo record di soli tre anni, risultando il primo della sua intera categoria. Il che rappresenta in linea di principio soltanto il primo capitolo, o persino l’antefatto, del futuro teorizzato da Boscarol in cui le città potranno disporre di piccole piste di atterraggio nei loro diversi quartieri, e la gente potrà utilizzare aerei silenziosi, economici e ad emissioni zero per raggiungere quotidianamente il posto di lavoro.
Un’immagine senz’altro poetica e per molti versi rivoluzionaria, sebbene non del tutto priva di svariate problematiche irrisolte. Come il livello d’incompetenza al volante dimostrato dall’automobilista medio, ancor prima di sostituire le sue ruote con un ben più preoccupante, e ancor più incontrollabile paio d’ali.